Robot in fabbrica - L'annuncio di Foxconn
La via cinese al risparmio e contro l'alienazione operaia
L'ultima sorpresa di Terry Gou, miliardario di Taiwan, è venuta fuori venerdì sera, al termine di un ballo aziendale per pochi eletti del suo sterminato impero che risponde al nome di Foxconn: 1 milione e 200 mila dipendenti, per lo più impiegati nei 13 stabilimenti del sud della Cina. Ai dipendenti riuniti in una delle tante feste promosse da Gou per lo svago dei lavoratori dopo l'ondata di suicidi di un anno fa il miliardario ha annunciato di aver trovato un modo per risolvere il problema dell'alienazione in fabbrica senza far salire il costo del lavoro: sostituire gli operai con i robot.
L'ultima sorpresa di Terry Gou, miliardario di Taiwan, è venuta fuori venerdì sera, al termine di un ballo aziendale per pochi eletti del suo sterminato impero che risponde al nome di Foxconn: 1 milione e 200 mila dipendenti, per lo più impiegati nei 13 stabilimenti del sud della Cina da cui escono iPad, iPhone, consolle per la PlayStation Portable di Sony piuttosto che gli smartphone di Nokia. Ai dipendenti riuniti in una delle tante feste promosse da Gou per lo svago dei lavoratori dopo l'ondata di suicidi di un anno fa (14 di fila quasi tutti nell'immensa città fabbrica alle porte di Shenzhen, allora 472 mila dipendenti), il miliardario ha annunciato di aver trovato un modo per risolvere il problema dell'alienazione in fabbrica senza far salire il costo del lavoro: sostituire gli operai con i robot.
Almeno 300 mila automi entro il 2014, tanto per cominciare. Poi altri ancora, fino ad arrivare a un milione di soldatini obbedienti e infaticabili da utilizzare per la verniciatura, il montaggio e altre mansioni semplici, oggi affidate agli ex contadini della grande Cina, meno obbedienti e senz'altro più esigenti dei loro padri. Solo una provocazione o mister Gou fa sul serio? Gou, a giudicare dai precedenti, non ama gli scherzi. E, dal punto di vista della sociologia del lavoro, è un caso di scuola che per essere raccontato meriterebbe un nuovo Charlie Chaplin. Meno di dieci anni fa le sue fabbriche si trovavano a Taiwan. Qui l'operaio Wu Wen-Mai (testimonianza raccolta da Bloomberg) lavorava 12 ore al giorno per uno stipendio di 729 dollari, sufficienti a garantirgli un tenore di vita da aristocrazia operaia, se non da classe media. Ma quando si sono aperte le porte della grande Cina, Gou, al pari di altri imprenditori, ha traversato il mare per spostare il suo impero nelle terre del sud ovest del Dragone, quelle che Deng Xiaoping aveva promosse a Zone speciali per importare e sperimentare il capitalismo nella terra di Mao. Per la cronaca, oggi Wu Wen-Mai vende giornali all'angolo delle strade e rimpiange il benessere perduto.
In Cina si sa com'è andata: lavorare in Foxconn, che nel frattempo è diventata la seconda impresa privata al mondo per numero di dipendenti dietro Wal Mart, è sembrato un sogno per i contadini reduci dalla grande fame degli anni di Mao. Ma non per i loro figli che hanno preso la brutta abitudine di buttarsi giù dalle finestre delle case-caserma garantite da Foxconn dietro il pagamento di una pigione. Ora, tanto per risolvere un problema che, confessione sua, gli ha tolto il sonno, Terry Gou medita la creazione di un esercito di robot. Ma giusto pochi mesi fa lo stesso tycoon taiwanese aveva annunciato la creazione di nuovi stabilimenti: non più nei pressi di Shanghai o Shenzhen, dove la manodopera costa quasi come a Taiwan, ma nell'immenso entroterra cinese, nell'Henan e nel Sichuan, come vuole il Partito che ha lanciato la parola d'ordine della modernizzazione dell'entroterra.
Come si concilia tutto questo con il milione di robot di mister Gou? Forse non si concilia, e in tal caso l'uscita del magnate taiwanese rischia di essere una “boutade” per far pressione sulla classe politica per avere concessioni o ritorni che non è dato conoscere. Oppure indica una direzione di marcia: Foxconn, da grande potenza manifatturiera che produce per conto di Steve Jobs, punta a sviluppare tecnologia made in China superando l'occidente anche nel campo della ricerca, con la benedizione di Pechino che, tra l'altro, conferma di aver mano felice nella gestione dell'economia. E' di ieri la notizia che sembra stia avendo successo l'operazione di “soft landing”, cioè la frenata pilotata della produzione delle piccole e medie imprese per scongiurare l'inflazione. Senza però compromettere la crescita e i posti di lavoro. Mossa complicata ma che a Pechino sembra riuscita. Dopo sei aumenti del costo del denaro dall'inizio del 2011 per arrestare la spirale dei prezzi, il pil sembra avviato a crescere “solo” del 9 per cento, il tasso gradito dalle autorità.
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