Zapatero spiegato a Concita

Sergio Soave

Il ricorso alle elezioni anticipate annunciato dal premier spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero è stato considerato da Pier Luigi Bersani un segno di responsabilità, di volontà di far prevalere l'interesse del paese su quello personale, e messo in contrapposizione con la resistenza a Palazzo Chigi di Silvio Berlusconi. Comprensibile sul piano propagandistico, il confronto è infelice dal punto di vista dell'esame della realtà dei fatti.

    Il ricorso alle elezioni anticipate annunciato dal premier spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero è stato considerato da Pier Luigi Bersani un segno di responsabilità, di volontà di far prevalere l'interesse del paese su quello personale, e messo in contrapposizione con la resistenza a Palazzo Chigi di Silvio Berlusconi. Comprensibile sul piano propagandistico, il confronto è infelice dal punto di vista dell'esame della realtà dei fatti. Zapatero non dispone in Parlamento di una maggioranza autosufficiente, per ottenere l'approvazione dell'ultimo bilancio e delle misure di austerità ha dovuto patteggiare con il Partito nazionalista basco (Pnv) e altri partiti territoriali, il che ha comportato altre cessioni di sovranità ai Paesi Baschi, che hanno chiesto di anticipare le proposte di bilancio e annunciato che le avrebbero approvate solo in cambio di altre devoluzioni inaccettabili per una parte consistente dei parlamentari socialisti. Zapatero, in sostanza, non era in grado di passare la prova dell'approvazione del bilancio, anche a causa dell'indebolimento della sua leadership sul Partito socialista, di cui resta formalmente segretario, ma che è passata di fatto a Alfredo Pérez Rubalcaba, candidato socialista per le imminenti elezioni. D'altra parte la Costituzione spagnola conferisce al presidente del governo la facoltà di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni, così, a differenza di Berlusconi, Zapatero sa che dopo il suo governo ci sarà quello scelto dagli elettori e non un qualche pasticcio parlamentare ordito ai suoi danni.

    In Spagna nessuno si è stracciato
    le vesti per la fine politica di Zapatero, maturata in aprile subito dopo la sconfitta dei socialisti in tutte le regioni in cui si è rinnovata la rappresentanza – di qui la sua rinuncia a candidarsi per un terzo mandato. La nomina del successore, avvenuta all'unanimità tra i dirigenti del Psoe, anche per evitare una imbarazzante consultazione degli iscritti demotivati e arrabbiati, ha creato una dualità di leadership che, come insegna il caso italiano di Romano Prodi e Walter Veltroni, porta quasi inevitabilmente alla verifica elettorale. Concita De Gregorio (Repubblica di ieri), invece, ha nostalgia del “primo” Zapatero, quello che ruppe con il presidente americano e con il Papa, e definisce addirittura “magico” il socialismo zapateriano delle origini. In realtà le origini furono funestate dall'attentato di Atocha, e la magia si esplicitò in un processo ininterrotto di spaccature nella società e nelle istituzioni spagnole.

    L'attaccamento della parte definita tradizionalista della società all'unità nazionale, alla chiesa cattolica, alla famiglia, è stato denunciato come retaggio franchista e questo ha permesso di non tenerne conto nell'adottare misure legislative, dal matrimonio tra persone dello stesso sesso all'aborto anche per le minorenni a semplice richiesta, al divorzio lampo. Più che magico lo zapaterismo delle origini è stato costruito sul pericoloso gioco dei simboli, che ottiene attenzione e anche simpatia quando vede sfilare le Forze armate sotto la guida di una titolare del ministero incinta, ma che diventa grottesco e macabro quando, in nome della legge sulla memoria storica, impone di riesumare i cadaveri delle vittime della guerra civile o di scalpellare dalle chiese i nomi dei caduti franchisti.

    Anche sull'altro versante critico
    dell'unità spagnola, quello del multilinguismo e delle rivendicazioni di autonomia di Paesi Baschi, Catalogna, Galizia e altre comunità minori, la politica di Zapatero è stata fin dall'inizio altalenante e alla fine disastrosa. Persino Jordi Pujol, patriarca del catalanismo democratico, si è spostato su posizioni secessioniste, mentre nei Paesi Baschi è stato riconosciuto un partito sospettato di legami con l'Eta. Ecco gli effetti del “socialismo magico” di Zap, la cui dissoluzione non può essere spiegata solo con la gestione malferma degli effetti, particolarmente virulenti per l'economia e l'occupazione spagnole, della crisi internazionale.