Consigli di marketing a Landini per far diventare la Fiom ancora più pop

Michele Boroni

Chi l'avrebbe mai detto che nel 2011 il marketing o, meglio ancora, il branding sarebbe diventato una sorta di livella tra padroni e operai, una piattaforma comune basata su senso di appartenenza, immagine e raccolta fondi? Inizialmente sembrava semplicemente una boutade. A inizio anno durante le manifestazioni della Fiom, il sindacato degli operai metalmeccanici che sogna di diventare movimento, al posto delle tradizionali tute blu si iniziarono a vedere qua e là alcune felpe rosse.

    Chi l'avrebbe mai detto che nel 2011 il marketing o, meglio ancora, il branding sarebbe diventato una sorta di livella tra padroni e operai, una piattaforma comune basata su senso di appartenenza, immagine e raccolta fondi? Inizialmente sembrava semplicemente una boutade. A inizio anno durante le manifestazioni della Fiom, il sindacato degli operai metalmeccanici che sogna di diventare movimento, al posto delle tradizionali tute blu si iniziarono a vedere qua e là alcune felpe rosse, con scrittona grossa FIOM sul petto. Le felpe ricordavano, e continuano oggi a ricordare, quelle che Lapo Elkann ideò per rilanciare tra i giovani l'immagine Fiat nei primi anni di questo decennio.

    Un'operazione che fece sorridere qualcuno – specialmente per il prezzo al pubblico piuttosto esoso (217 euro) – ma che insieme ad altre operazioni di comunicazione e branding, e a un sostanziale piano industriale di qualità sul settore auto, fece riemergere Fiat da un periodo oscuro fatto di Duna e brutta pubblicità. Nelle successive manifestazioni si capì che l'operazione felpe per Fiom non era una provocazione, bensì un'azione che faceva parte di un piano e di una strategia di comunicazione ben più vasta, la stessa ad esempio che ha portato nei mesi successivi a vedere il segretario Maurizio Landini e il responsabile auto Giorgio Airaudo nei principali talk show e programmi di approfondimento televisivi. Non solo le felpe erano in vendita in appositi gazebo durante le manifestazioni al prezzo di 20 euro (realizzati dalla Fruit Of The Loom, storico marchio del merchandising personalizzabile e che di certo non produce in Italia), ma con il tempo si è aggiunta una extension line composta da t-shirt, shopping bag, mouse pad e beauty case, tutti marchiati Fiom.

    Risultato dell'operazione? In pochi mesi sono stati venduti circa 10 mila pezzi per un guadagno netto di circa centomila euro che andranno a finire nelle casse del sindacato. Insomma, in Fiom sono piuttosto convinti che sia necessario andare oltre le bandiere, consigli di fabbrica, manifestini  e le vecchie forme di comunicazione per poter motivare gli iscritti e invitarli alla partecipazione. Ci permettiamo allora di dare un consiglio a Landini (che tra l'altro possiede una felpa di colore diverso dalle altre, nera con scritta rossa, forse per evidenziare la sua leadership). Fare branding oggi non significa più diffondere loghi e marchi in giro o presenzialismo sui media. Magari lo era negli anni Ottanta o Novanta. Ma da qualche anno il marketing di successo ha ripreso valori e parole d'ordine che sembrano uscite da un volantino degli anni Settanta: partecipazione, condivisione, comunità, dialogo, costruzione di esperienze condivise, magari anche legate a qualche attività nella rete e nei social network. Le cose cambiano. In fretta.