Il feticcio della discontinuità
Perché i mercati attaccano in parallelo l'Italia e la Spagna?
Perché i mercati attaccano in parallelo l'Italia e la Spagna? Le due crisi sono davvero lo specchio l'una dell'altra? A giudicare dall'andamento dei titoli di stato, sembra di sì: entrambi sfiorano la soglia del 7 per cento, i Btp italiani sono arrivati al 6,94 per scendere poi di poco. Il differenziale con il Bund tedesco a dieci anni ieri era a 390 punti base.
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Perché i mercati attaccano in parallelo l'Italia e la Spagna? Le due crisi sono davvero lo specchio l'una dell'altra? A giudicare dall'andamento dei titoli di stato, sembra di sì: entrambi sfiorano la soglia del 7 per cento, i Btp italiani sono arrivati al 6,94 per scendere poi di poco. Il differenziale con il Bund tedesco a dieci anni ieri era a 390 punti base. Anche il Tesoro spagnolo – come quello italiano qualche settimana fa – ha annullato l'asta dei titoli prevista in agosto. In realtà, il gemellaggio è del tutto improprio. A Madrid c'è un governo socialista dal 2004, quindi prima del crac finanziario del 2008. Un leader, José Luis Rodríguez Zapatero, che ha alzato bandiera bianca, proclamando elezioni anticipate per il 20 novembre (giorno della morte di Francisco Franco nel 1975, quindi data simbolica per la sinistra). “Certezza è chiarezza”, ha dichiarato. Aveva già annunciato la sua intenzione di non candidarsi, ma avrebbe voluto tirare fino a marzo e chiudere la legislatura. Certo, si può dire che in ogni caso non avrebbe avuto la maggioranza per far passare l'ennesimo giro di vite: i partiti regionali, a cominciare dal catalano, hanno voglia di disincagliarsi. I suoi avversari pensano che in questo modo possa prendere in contropiede il Partido popular: Mariano Rajoy gode meno simpatia di Alfredo Pérez Rubalcaba, il candidato del Psoe. Ma in Spagna non si vota per il premier, e i popolari sono in vantaggio sui socialisti: 44 contro 30 per cento.
In Italia c'è un governo di centrodestra entrato in carica quando la crisi mondiale era già a uno stadio avanzato. Con una maggioranza che ancora regge nonostante divisioni e tensioni interne e un presidente del Consiglio che ha detto alle Camere di voler resistere fino al 2013. Anche se in molti, a cominciare dalla Confindustria, hanno chiesto “discontinuità” perché la vogliono i mitici mercati.
All'origine della crisi iberica c'è la bolla bancaria che ha creato a sua volta la bolla immobiliare. La responsabilità ricade sulle Cajas, le casse di risparmio, istituti locali spesso controllati dai politici. Attraverso le loro 24 mila filiali locali passa circa la metà del credito e il 56 per cento dei mutui. Dalla fine degli anni 90, hanno prestato a go-go, sia alle imprese sia agli individui, sia alle amministrazioni locali. Molto di questo denaro è finito nel mattone. A Madrid i prezzi delle case sono saliti in parallelo con Londra e in parallelo sono crollati. Le Cajas hanno cercato di nascondere la polvere sotto il tappeto. L'opacità del sistema finanziario e i difetti di vigilanza sono venuti alla luce all'improvviso, quando l'intero sistema delle casse è crollato. La Banca di Spagna calcola nel 2009 una esposizione pari a 180 miliardi di euro. Nel marzo dello stesso anno scatta il salvataggio, ma la fiducia degli investitori cade a picco. Durante i primi quattro mesi del 2010, i clienti ritirano 21 miliardi di depositi e anche le grandi banche commerciali chiedono aiuto al governo. Ai debiti dei privati, si aggiungono poi i debiti occulti delle regioni e dei municipi venuti alla luce l'anno scorso. Il governo centrale che ha salvato il sistema bancario, si è trovato a dover salvare anche se stesso e i governi locali. Ha messo in moto il classico armamentario di tagli, riduzioni delle pensioni e dei servizi sociali. Ma il disavanzo pubblico è rimasto molto alto, attorno al 6,5 per cento. L'ultima Finanziaria si impegna a portarlo al 2 per cento entro il 2014 ma anche quell'obiettivo sembra poco realistico. Ciò vuol dire che il debito, oggi solo al 63 per cento del pil, è destinato a salire. A tutto ciò si aggiunge una disoccupazione pari a un quinto della forza lavoro che di per sé riduce le entrate e appesantisce le spese assistenziali.
La differenza con l'Italia salta agli occhi. Da noi la disoccupazione è solo dell'8 per cento, il bilancio tra entrate e uscite dello stato è in attivo al netto degli interessi. A Roma è il fardello del debito (120 per cento, quasi il doppio rispetto alla Spagna) che crea il buco nella finanza pubblica. Quanto alle banche, è vero che quelle italiane debbono aumentare il loro patrimonio per mettersi al sicuro, e sono piene di titoli di stato, quindi vulnerabili a un attacco al debito sovrano, ma non esiste in Italia una crisi bancaria alla spagnola. Non solo. Una relativa pace sociale ha caratterizzato questo triennio di recessione in Italia, mentre Zapatero è stato mollato da tutti i sindacati. In più si aggiunge la protesta più o meno spontanea alla Puerta del Sol, condotta dalla sinistra radicale, un'altra coltellata alle spalle del leader socialista.
Il problema italiano, lo ha ribadito ieri Jean-Claude Trichet, è che “il suo ritmo di crescita non corrisponde in nessun modo al suo potenziale di medio-lungo termine. In un paese dove le risorse umane sono così buone, lo spirito imprenditoriale così chiaro, si capisce subito che l'economia è frenata da ostacoli strutturali”, ha sottolineato il presidente della Bce. Anche la Spagna ha bisogno di riforme strutturali, “non esce dalla zona di pericolo, perché molti degli squilibri e delle debolezze accumulate negli anni del boom non sono state affrontate”, ha spiegato il Fmi due settimane fa. Le sue riforme, però, sono diverse. Entrambi i paesi hanno i mezzi per affrontare le loro difficoltà, dice ancora la Bce che torna a comprare titoli governativi e chiede di anticipare il risanamento del bilancio. E' una corsa contro il tempo, ma i mercati questa volta rischiano grosso anche loro, se i governi hanno il coraggio di passare al contrattacco e la Bce li aiuta.
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