Il default dell'euroburocrazia

Enrico Cisnetto

Ormai è evidente anche ai ciechi: in Europa siamo passati prima dagli statisti ai politici e poi dai politici ai politicanti da quattro soldi. L'attacco speculativo in atto sui mercati europei da settimane, che travolge le Borse e i titoli di stato, è un terribile atto d'accusa nei confronti della classe dirigente continentale.

Leggi Il nefasto lassismo monetario di Vito Tanzi

    Ormai è evidente anche ai ciechi: in Europa siamo passati prima dagli statisti ai politici e poi dai politici ai politicanti da quattro soldi. L'attacco speculativo in atto sui mercati europei da settimane, che travolge le Borse e i titoli di stato, è un terribile atto d'accusa nei confronti della classe dirigente continentale. Di quella, in particolare, che ha ereditato i ruoli di comando da coloro che all'inizio degli anni Novanta decisero di accelerare il processo d'integrazione inventandosi Maastricht e dando l'avvio al processo di costruzione della moneta unica. Ma soprattutto di quella – in certi casi è cambiata – che ha raccolto il testimone da chi dieci anni fa ha battezzato la nascita materiale dell'euro e gestito il processo di conversione delle monete nazionali, e negli ultimi tempi si è ritrovata a fronteggiare prima la crisi finanziaria mondiale, poi la recessione e infine, dall'anno scorso, i potenziali default dei paesi appartenenti all'Euroclub più indebitati e con maggiori squilibri di bilancio.

    La speculazione ha preso
    il sopravvento soprattutto per la modestia di questo ceto politico e amministrativo, che non ha capito che le contraddizioni insite nell'euro, che comunque prima o poi sarebbero venute a galla, non potevano che esplodere rumorosamente con la crisi mondiale, quando per fronteggiare un eccesso di debito privato (soprattutto americano) si è scelta la strada della sua trasformazione in debito pubblico. Come si poteva pensare di far fronte a un'emergenza dotati di strumenti, dalla Commissione Ue alla Banca centrale europea (Bce), tarati per ben altri tipi di situazioni e non avendo neppure previsto nei trattati l'eventualità di una crisi e quindi le modalità per affrontarla e individuare le relative responsabilità?

    Si può discutere sul profilo di Barroso, di Juncker (Eurogruppo) e dei vari commissari, ma è evidente che una istituzione non direttamente eletta dai cittadini e dotata di poteri sottratti alla sovranità dei paesi membri, ma al contrario espressione burocratica delle oligarchie degli iscritti al club, non può per definizione avere la forza e gli strumenti necessari per giocare un ruolo significativo in un frangente come questo. Non è stato così nei 16 mesi in cui si è trascinata la vicenda della Grecia – la cui soluzione definitiva ancora non sappiamo se sia arrivata dall'ultima tappa della via crucis, quella del rifinanziamento e potenziamento dell'Efsf, figuriamoci quando a finire nel tritacarne della speculazione sono paesi della portata di Italia e Spagna. Non è un caso, infatti, che Barroso e la Commissione siano stati nettamente soppiantati dai vertici dei capi di governo e persino da quelli dei ministri dell'Ecofin, unici titolati a prendere decisioni (che peraltro non arrivano o comunque tardano maledettamente). Stessa cosa vale per la Bce, anche se va dato atto a Trichet di essere riuscito dal 2008 in poi a conquistare un voto in pagella decisamente migliore di quello, pessimo, che la Banca centrale aveva in precedenza.

    Nella crisi mondiale, prima, e in quella europea, poi, l'Eurotower si è mostrata all'altezza della situazione, pur avendo dei limiti oggettivi nella sua stessa definizione statutaria. Teoricamente, la Bce può solo occuparsi della stabilità dei prezzi e la sua unica missione dovrebbe essere quella di scongiurare l'inflazione. Cosa che a Francoforte hanno fatto fino a quando non sono stati tirati per la giacca dalla crisi. Ma è evidente che la Bce non è la Fed, e bisognerà vedere cosa Mario Draghi potrà fare di più, nelle condizioni date, quando prenderà a novembre il posto di Trichet.

    Insomma, non avendo fatto a suo tempo gli Stati Uniti d'Europa – come quelli definiti sarcasticamente eurodisfattisti chiedevano con ragione – o li si fa adesso, nel pieno della tormenta finanziaria in cui siamo immersi, o la bufera annienterà l'euro. Perché nulla potrà più essere come prima.

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