Parla Wolfensohn, ex presidente della Banca mondiale

Perché per tornare competitiva l'America ha bisogno di una leadership

Amy Rosenthal

Rassegnato sulla situazione greca, ottimista per quella italiana e critico delle scelte obamiane in politica economica: questi, in estrema sintesi, gli stati d'animo di James D. Wolfensohn, presidente della Banca mondiale dal 1995 al 2005, sull'attuale congiuntura economica. E' abituato a ragionare su scala globale Wolfensohn, nato a Sydney – in Australia – da una famiglia di immigrati ebrei che fuggì la Grande depressione statunitense del 1929, laureato ad Harvard prima di una brillante carriera nella finanza privata conclusa poi ai vertici delle organizzazioni internazionali, e che ha di recente pubblicato per PublicAffairs un'autobiografia intitolata “A global life” (“Una vita globale”).

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    Rassegnato sulla situazione greca, ottimista per quella italiana e critico delle scelte obamiane in politica economica: questi, in estrema sintesi, gli stati d'animo di James D. Wolfensohn, presidente della Banca mondiale dal 1995 al 2005, sull'attuale congiuntura economica. E' abituato a ragionare su scala globale Wolfensohn, nato a Sydney – in Australia – da una famiglia di immigrati ebrei che fuggì la Grande depressione statunitense del 1929, laureato ad Harvard prima di una brillante carriera nella finanza privata conclusa poi ai vertici delle organizzazioni internazionali, e che ha di recente pubblicato per PublicAffairs un'autobiografia intitolata “A global life” (“Una vita globale”). Forse per questo, parlando con il Foglio delle turbolenze che interessano oggi Stati Uniti ed Europa, ci tiene a fare una premessa: “Nessuno dei due si rende bene conto di quanto sta accadendo in Asia. L'assurdità è che noi europei e americani continuiamo a parlarci addosso come se fossimo i leader del mondo, ma di fatto la leadership si sta spostando”. Parlano i numeri: “Fino al 2000 i paesi dell'Ocse, prevalentemente Europa e Stati Uniti più Giappone, costituivano l'80 per cento del prodotto interno lordo (pil) mondiale. Di qui al 2050 questa cifra si ridurrà al 35-40 per cento, mentre il 65 per cento sarà prodotto in Asia. La maggior parte dell'opinione pubblica non ne ha idea”.
    Poi l'ex presidente della Banca mondiale inizia a ragionare sulla crisi dei conti pubblici di Atene: “La Grecia è stata investita dalla realtà”, commenta con uno slogan Wolfensohn. Che poi spiega: “Una famiglia può chiedere prestiti per superare un momento particolare, ma se prende denaro in prestito per poi pranzare nei migliori ristoranti della città, ovviamente finisce nei guai”. Lo stesso è successo, seppure a livello istituzionale, nel piccolo paese del Mediterraneo; e il problema peggiore è che “i greci non hanno ancora compreso appieno i gravi problemi che dovranno affrontare”. Il salvataggio da parte dell'Europa, comunque, “non può continuare all'infinito: alla fine si dovrà cancellare il debito e ciò significa che chi ha prestato alla Grecia, siano essi privati o banche, dovrà accettare di subire perdite sostanziose”.

    Che rimandare non sia più un'opzione
    per i governi europei, d'altronde, lo conferma oggi anche la situazione italiana. Eppure Wolfensohn non intende assimilare il nostro paese ad altri che hanno bisogno di un intervento esterno: “Penso che se il governo italiano non decide di affrontare rapidamente la questione della spesa pubblica, allora l'Italia potrebbe correre pericoli seri. Ciò detto, il paese ha in sé la capacità di sistemare i propri conti. Naturalmente bisogna vedere se ha la leadership necessaria per farlo”. Facciamo qualche nome: il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti? “Lo conosco abbastanza bene e mi piace. E' un professionista valido, ha un'idea abbastanza chiara dell'entità dei problemi e delle possibili soluzioni. Ciò che gli serve è il sostegno politico necessario per rendere attuabili queste soluzioni”. L'economista poi però sposta l'attenzione sull'attuale governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi: “Non ho dubbi sul fatto che sia l'uomo giusto per succedere a Jean-Claude Trichet per la presidenza della Banca centrale europea – osserva – Mario ha un'ottima formazione ed è assolutamente preparato al compito. Sicuramente una perdita per l'Italia”.

    Cittadino statunitense, Wolfensohn si muove a proprio agio (e senza troppe remore) nel commentare l'attualità statunitense, e non sembra sorpreso dal fatto che il debito pubblico della prima economia del pianeta sia stato appena declassato da Standard&Poor's: “Il paese sta spendendo troppo, punto. Ha oltre un trilione e mezzo di deficit quest'anno. Ciò è in parte dovuto alla spesa militare, tuttavia la cosa più importante è che gli Stati Uniti devono iniziare a preoccuparsi della spesa sociale e dei relativi diritti, affrontare questi problemi di petto e in modo lungimirante, assieme alla questione della riduzione delle tasse che ovviamente è un problema politico”. Quanto alla futura commissione parlamentare bipartisan che dovrà perfezionare l'accordo raggiunto sul tetto al debito pubblico e organizzare risparmi di spesa per il futuro, Wolfensohn è caustico: “Si confrontino e si rendano conto di quello che capirebbe qualsiasi studente di economia del secondo anno, e cioè che il bilancio non va bene”.

    Non solo conti pubblici, però: “Dobbiamo rendere il nostro paese più competitivo di quanto non sia attualmente e rinnovare il sistema dell'istruzione, in modo da offrire ai nostri giovani un sogno da realizzare e reagire così alla flessione economica. Infatti non stiamo soltanto perdendo competitività, stiamo perdendo anche terreno in termini di leadership intellettuale”. Il dossier “leadership”, poi, dovrebbero tenerlo bene a mente anche alla Casa Bianca: “Per fare tutto questo abbiamo bisogno di una leadership dall'alto. Che sia il presidente Barack Obama ancora nel 2012 o chiunque altro, serve qualcuno che dica alla nazione: ‘Abbiamo fatto un bel viaggio, ma adesso dobbiamo pagarlo'”. Inutile prendersela con la “domanda stagnante”, come continuano a fare antichi e attuali consiglieri dell'Amministrazione democratica: “Il punto è che bisogna anche essere competitivi all'estero. In altre parole, occorre avere metodi di produzione e competitività a livelli simili a quelli degli altri, mentre purtroppo sono fin troppi i settori in cui gli Stati Uniti stanno perdendo il proprio margine di vantaggio e l'innovazione che ha caratterizzato il paese”. Chiaro, non tutto è perduto: “Abbiamo visto che c'è un rimbalzo in corso nell'industria automobilistica. Oggi si stanno facendo prodotti migliori e ci comportiamo ancora molto bene nell'high-tech, ma nel manifatturiero di base e nel terziario perdiamo colpi”. La tendenza non sarà invertita a meno che non venga attuato “un piano decennale di riforma del nostro sistema dell'istruzione”, insiste Wolfensohn.

    Un metodo simile, fatto di attenzione a una serie ampia di indicatori economici e sociali, sostiene di averlo utilizzato anche nella sua lunga esperienza alla Banca mondiale: “Sono contento di essere riuscito a portare le istituzioni a pensare in modo olistico allo sviluppo”. Ovvero: “Ho capito che non dovevo occuparmi soltanto di progetti come la costruzione di ponti, ma degli aspetti umani dello sviluppo, quali la questione femminile, l'uguaglianza, l'istruzione e la salute. Bisogna occuparsi di un ‘quadro integrato di sviluppo'”. Bilancio del tutto positivo dunque? “Penso che oggi questa tesi l'abbiano tutti chiara. Certo, non c'è la mia firma sotto tutte queste idee e non penso nemmeno che mi sia stato riconosciuto chissà che merito – conclude Wolfensohn – ma l'idea è passata, e oggi l'approccio allo sviluppo è decisamente più integrato e lungimirante. Se ho potuto in qualche modo contribuire a far succedere tutto questo, è un bene”.

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