Gli anticorpi di Londra
Non è che “Stux” sia pronto a discutere il fallimento del conservatorismo britannico e l'idea di Big Society mentre si dondola con il sedere attaccato al finestrino di un'automobile. Stux è un giamaicano nero, così nero che sembra pure lui metallizzato e la notte di Tottenham, la zona nord di Londra da dove sono partite le violenze, dietro la sua sagoma enorme sembra meno scura. La teoria politica non è il suo forte, però ha una versione dei fatti chiara: “Voi giornalisti state mischiando due cose diverse. Una cosa è la morte di Duggan, lo spacciatore. Un'altra cosa sono tutte le violenze che sono venute dopo. Non c'entrano niente.
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Dal nostro inviato a Londra. Non è che “Stux” sia pronto a discutere il fallimento del conservatorismo britannico e l'idea di Big Society mentre si dondola con il sedere attaccato al finestrino di un'automobile. Stux è un giamaicano nero, così nero che sembra pure lui metallizzato e la notte di Tottenham, la zona nord di Londra da dove sono partite le violenze, dietro la sua sagoma enorme sembra meno scura. La teoria politica non è il suo forte, però ha una versione dei fatti chiara: “Voi giornalisti state mischiando due cose diverse. Una cosa è la morte di Duggan, lo spacciatore. Un'altra cosa sono tutte le violenze che sono venute dopo. Non c'entrano niente. La protesta contro la polizia, dopo che gli agenti gli hanno sparato, è stata sì e no una cosa di una cinquantina di persone. Ma poi tutti si sono accorti che c'era un buco nel sistema d'ordine, i poliziotti si erano ritirati, hanno abbandonato la zona, e in quel buco si sono infilati tutti il più rapidamente possibile. Una bazza. Liberi tutti. E naturalmente la prima cosa che hanno fatto è andare a fare il pieno nei negozi di elettronica e di vestiti. Non gliene fregava niente di Duggan o di chi è al governo. E' stata una grande chance. E più gente s'univa, maggiore era la bazza. Chi non ne avrebbe approfittato? Anche tu in Italia avresti fatto lo stesso”.
Il grande equivoco di Tottenham, e poi di Brixton, Croydon, Birmingham, Liverpool, Manchester tutti i luoghi dove i saccheggiatori hanno sciamato tra i negozi incendiando e rubando – e poi sono tornati nel nulla appena hanno incontrato resistenza – è questo: c'era la certezza che fosse una protesta sociale contro il governo, contro l'austerità, contro la politica dei tagli più severa d'Europa che lascerà a piedi chi s'affida ai servizi sociali pagati dallo stato. Sono balenati paragoni con gli indignados delle piazze spagnole e addirittura con i rivoltosi della primavera araba. Eccoli, quelli della vampata di risentimento inglese, come se non si temesse o si aspettasse altro. E invece, in mezzo agli abitanti dei quartieri esterni, la prospettiva è totalmente diversa: macché contestazione, qui si parla di un disastro quasi naturale, di un fenomeno senza volto, su cui non sprecare troppa filosofia. Le locuste: sono arrivate, si sono portate via televisori al plasma e sneaker Adidas e sono volate via.
Così, sotto il sole del quarto giorno, le cose sono cambiate. Sembrava che il governo inglese fosse intrappolato nella sua ora più buia e invece ha ripreso velocemente quota. Downing Street ha fatto più o meno quello che ci si aspetta da un esecutivo conservatore chiamato a misurarsi per la prima volta con una crisi reale. Linea dura contro “quelli che credono che il mondo debba loro qualcosa e che le loro azioni non abbiano conseguenze”, come ha detto ieri il primo ministro David Cameron, che ha parlato anche di sacche della società “francamente nauseanti”. “Le loro azioni avranno invece conseguenze. Adotteremo qualsiasi misura necessaria a riprendere il controllo delle strade”. Grande enfasi sui cannoni ad acqua e sui proiettili di gomma, per ora non utilizzati, “cose mai viste sul suolo inglese” come sottolineano con civetteria apocalittica i giornali. E soprattutto sedicimila poliziotti spediti a sorvegliare la capitale annullando le ferie, richiamando quelli in pensione e stravolgendo i turni – venti ore filate in servizio e poi di nuovo si ricomincia, con pause di due ore.
Downing Street si è così ripresa il controllo della capitale: nella notte estiva tra martedì e mercoledì a Londra, dalla zona 1 del centro alla zona 3 della periferia violenta, il silenzio era così perfetto che era possibile ascoltare i propri passi da un capo all'altro delle vie deserte. I locali erano chiusi. Il traffico era inesistente. Del resto durante il G8 di Genova nel 2001, quando ci si aspettava l'assalto dei black bloc alla zona rossa, i poliziotti schierati furono cinquemila. E per il surge americano che riconquistò Baghdad nel 2007, i soldati americani mandati in più da Washington contro la guerriglia furono ventimila.
Aslan è piccolo, chiaro e turco, racconta ai presenti per l'ennesima volta che cosa è successo domenica sera, quando in una traversa di Kingsland Road è sceso in strada con gli altri proprietari a difendere i negozi. “Abbiamo dovuto farlo noi, perché la polizia stava lontano, a guardare. Avevamo i coltelli, ma non c'è stato bisogno, quelli erano in cerca di un posto da saccheggiare senza la minima resistenza”. Per ora, la rivolta è stata il trionfo del multiculturalismo londinese. Contro le locuste indistinguibili – “erano bianchi, neri, asiatici” – e senza nessun senso di se stesse a trattenerle dal bottino facile, le identità culturali forti sono state il primo centro attorno a cui raccogliersi a difesa. Per la comunanza di lingua, come è successo con i turchi e i curdi armati di coltellaccio di Hackney e con gli asiatici dell'East Ham. Per la fede religiosa, è il caso delle moschee, guardate dai fedeli e intoccate – i vandali si sono ben guardati dall'attaccare gli afghani – e di un tempio sikh, circondato per due notti da una barriera minacciosa e inflessibile di indiani. Per la fede calcistica, come è successo martedì quando duecento tifosi del Millwall si sono radunati per una notte di veglia nei pub di Enfield al grido di “Millwall!”. “Siamo pronti a proteggere la città. Non tollereremo altro. Se qualcuno vuole venire qui stasera e saccheggiare ci provi pure – siamo pronti”. Le identità culturali sono state i primi anticorpi a scattare davanti al contagio, anzi, a fare la differenza. Chi si riconosce in una comunità non la saccheggia, è come rapinare la vostra famiglia, è il grido disperato delle nonne che vedono i nipoti predoni sulle foto segnaletiche.
E' la stessa molla di appartenenza che ha mandato in strada i “battaglioni delle scope”, a ripulire dopo il disastro. Ora già si paventa l'effetto “vigilantes” e a Birmingham si temono scontri tra etnie dopo la morte di tre giovani asiatici investiti da un'auto pirata. Ma l'impulso spontaneo dei londinesi alla difesa e al repulisti nelle strade e la responsabilità presa senza troppe storie sulle proprie spalle assomigliano molto alla Big Society di David Cameron: risolvere i problemi da sé e a chiedersi “cosa posso fare di più senza aspettare l'aiuto dello stato?”. L'idea, che soltanto l'altro ieri sembrava morta, potrebbe uscire da questa crisi più in forma di prima.
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