Quei teppistelli sul tamigi

William Ward

Ormai hanno fatto il giro del mondo, le immagini più simboliche dei disordini sociali londinesi che nemmeno la Bbc si degna più di chiamare proteste. Nei paesi arabi e asiatici, dove circola ancora forte l'irritazione per le critiche britanniche ai loro variegati riti di prevaricazione politica, quelle indecorose immagini londinesi vengono invece presentate come una specie di “estate britannica”, in tandem con la già nota “primavera araba”.

    Ormai hanno fatto il giro del mondo, le immagini più simboliche dei disordini sociali londinesi che nemmeno la Bbc si degna più di chiamare proteste. Nei paesi arabi e asiatici, dove circola ancora forte l'irritazione per le critiche britanniche ai loro variegati riti di prevaricazione politica, quelle indecorose immagini londinesi vengono invece presentate come una specie di “estate britannica”, in tandem con la già nota “primavera araba”. E nei paesi europei, dove ancora fideisticamente sussiste il credo nelle tradizionali analisi marxiste, se ne parla addirittura come “la volta buona” che “la masse oppresse” si “ribellano” contro “l'establishment britannico, bianco, reazionario e razzista”. Persino la Grey Lady, il New York Times, in genere abbastanza bravo e attento a separare i fatti dalle opinioni, produce giorno dopo giorno racconti quasi surreali da Londra, citando un immaginario “Dna ideologico” che sarebbe rimasto nel circuito sanguineo inglese dai tempi delle famose rivolte degli anni Ottanta contro le politiche sociali piuttosto rigoriste della signora Thatcher.

    In seguito alla prima nottata di disturbo della pubblica quiete londinese, l'ex sindaco della metropoli Ken Livingstone, che in genere possiede un fiuto e un tempismo politico pari alla sua straordinaria furbizia mediatica, ha cercato incautamente di accusare il governo di coalizione di aver “provocato i disordini con i suoi tagli alle spese sociali”, senza badare al fatto che: a) gli effetti dei tanto strombazzati tagli alle spese sociali sono relativi, e del resto obbligatori per qualsiasi governo che voglia evitare le furie dei mercati: non a caso, il Regno Unito continua a prendere prestiti dai “money markets” a tassi bassi quanto quelli tedeschi, nonostante un'economia in forte crisi; b) i tafferugli giovanili del 2011 non hanno nulla che vedere con le cause delle rivolte degli anni Ottanta. Ora Red Ken ha cercato di fare marcia indietro, candidandosi a un discutibile “premio governo Tambroni” in qualità di primo politico britannico a evocare l'uso dei famigerati “water cannons” che di solito si usano solo in paesi meno civili del suo: tranne che per l'Irlanda del nord, dove del resto la guerriglia civile è durata per oltre 40 anni, e molti diritti civili erano stati sopressi.
    Ora, l'unica figura inglese con un certo profilo politico a sostenere seriamente che si tratti di vere rivolte sociali con matrice ideologica è un certo Lee Jasper – che sotto l'amministrazione londinese dello scaltro Livingstone aveva capeggiato un improbabile assessorato dedicato a “Uguaglianze razziali e Affari della polizia”– e che nei giorni scorsi ha rilasciato ad alcune testate straniere nostalgiche delle vecchie certezze ideologiche un'intervista molto retrò, cercando di tracciare una sorta di nobile linea di successione apostolica dalle rivolte sociali degli anni 80 agli schiamazzi con furto e scasso di questi giorni. Ovviamente, Jasper non ha menzionato il fatto di essere stato allontanato da City Hall dopo una lunga inchiesta per peculato e conflitto di interessi per cifre molto importanti in cui era stato coinvolto.

    A chi ricorda con lucidità e senza deludenti wishful thinking retroattivi gli scontri epocali degli anni thatcheriani, non può non venire una quasi nostalgia per quelle forti battaglie, scatenate da due fronti ideologicamente così distanti; uno scontro titanico, fra un premier conservatore così sicura delle sue convinzioni da aver condotto una specie di guerra di persecuzione nei confronti dei suoi avversari ideologici (sindacati marxisti, impiegati statali poco collaborativi e molto lavativi, un circuito mediatico-accademico da quinta colonna della Guerra fredda) tutti ostili alle sue tesi liberiste fino al punto di sabotarle a ogni occasione buona. Ci si metteva persino la chiesa ufficiale, the Church of England, che sotto l'allora primate, il social-liberal Robert Runcie, pubblicò un'importante relazione dottrinale intitolata “Faith in the Cities” che apertamente contestava – a nome dei fedeli anglicani inglesi – le politiche decise da un governo democratico regolarmente eletto. Quando l'allora leader del GLC – the Greater London Council, la struttura un po' vaga che dagli Anni 30 aveva governato i 32 boroughs – borghi, ossia distretti – della metropoli – fece di tutto per contrastare le decisioni del suo governo, nel 1986 la Lady di Ferro lo abolì: così Red Ken ha guadagnato lo status quasi mitico di martire della causa per buona parte della vecchia sinistra. Red Ken aveva fatto di tutto per estendere il suo potere (costituzionalmente molto debole) sull'immensa metropoli, persino soffiando sulle fiamme delle rivolte di quartiere di quegli anni. Ma almeno, fra lui e la Thatcher c'era una specie di rispetto implicito per le capacità politiche dell'avversario.

    La Broadwater Farm Estate – il massiccio comprensorio di case comunali a Tottenham dove sabato scorso si sono accesi i primi disordini in seguito all'uccisione da parte di una pattuglia di polizia armata del 29enne Mark Duggan, notorio spacciatore di droga e leader di una gang criminale che domina la zona – negli anni Ottanta era considerata da alcuni studi sociologici una delle zone più brutte e malsane dove vivere in Europa, e fu infatti là che si verificarono alcune delle rivolte più violente e selvagge, culminate nell'uccisione grandguignolesca di un coraggioso poliziotto, Ken Blakelock, ucciso a colpi di machete da giovani neri inferociti che lo decapitarono, infilando la sua testa su un palo, come nel medioevo.

    Come in altri quartieri poveri delle grandi città – come a Birmingham, Manchester e Liverpool – in seguito alle rivolte del 1985-'86 i governi britannici che si sono succeduti (a cominciare da quello della Thatcher) hanno speso miliardi di sterline per bonificare, migliorare, risanare: Brixton a sud del Tamigi, così come Toxteth a Liverpool, si sono trasformati in zone molto più gradevoli. Oggigiorno – o almeno fino a sabato scorso – la stessa Broadwater Farm Estate – gode del più basso tasso di criminalità di qualsiasi grande conurbazione in Europa. Un salto qualitativo straordinario. La stessa polizia britannica – divisa da sempre in unità che corrispondono alle contee e quindi pienamente autonome, senza né un comando centrale (retaggio continentale del codice napoleonico) né agli ordini diretti del ministro dell'Interno – è stata fortemente riformata negli ultimi tre decenni, per eliminare ogni traccia di quel “razzismo istituzionale”. Il termine è quello, che fece scalpore, usato nel celebre MacPherson Report: una relazione vergata dall'ex giudice eponimo in seguito alla penosa uccisione di un giovane di colore, Steven Lawrence, i cui cinque assassini bianchi la fecero franca grazie alla quasi totale indifferenza al caso della polizia di quegli anni. Da allora, qualsiasi tipo di discriminazione identitaria viene sanzionata all'interno della polizia. A differenza della Metropolitan Police degli anni 80, quella di oggi è un fedele specchio della società multiculturale e multiforme londinese: donne (molte le lesbiche dichiarate), minoranze, gay e persino qualche transgender, tutti insieme appassionatamente, nella celebre divisa del Bobby di iconografica memoria.

    Lo stesso dicasi dei vari governi, succedutisi a quello indubbiamente “social conservative” degli anni thatcheriani: il politically correct, in ogni sua coniugazione grammaticale, è l'ordine del giorno. Lasciamo perdere le robuste innovazioni zapateriane dei quattro governi Blair e Brown: a sorvegliare i tanti poliziotti che sfilano orgogliosamente al Gay Pride, il cui serpentone scorre per le strade di Soho ogni anno per sfociare a Trafalgar Square, c'è un giovane e carino ministro tory della polizia, Nick Boles: ma non sorveglia dal suo ufficio ministeriale a Whitehall, bensì direttamente dalla processione stessa, magari sotto braccio con il proprio fidanzato.

    Tante le discussioni in questi giorni – sui media ma anche fra i cittadini – sulla funzione pubblica della polizia: da sempre il mantra vuole che nel Regno Unito viga il principio del “policing by consent” – ossia una dinamica sociale che vede i poliziotti come dei servitori pubblici che ti danno del lei, e ai quali rispondi usando il tu: assieme ai commessi dei negozi o dei ristoranti più all'antica, sono infatti le uniche persone in Inghilterra che ti chiamino ancora “sir” or “madam”. Ma, in passato, questo tipo di cortesia era legato a un concetto ferreo del “Law and Order”: non si poteva sgarrare senza poi dover assaggiare “the long arm of the Law”. Oggigiorno, i poliziotti non osano toccare più nessuno: come abbiamo visto nelle scene dei disordini, sono rimasti il più delle volte passivi; attaccare i rivoltosi significava rischiare la denuncia per aver “leso i diritti umani” di qualche facinoroso, e gli avvocati specializzati in diritti umani abbondano a Londra, e amano questo tipo di caso legale.

    L'establishment britannico (persino i reali), le strutture ammistrative pubbliche, la cosa pubblica, il senso comune in tutte le sue varie manifestazioni, non è mai stato così in armonia – in senso social liberal, politically correct e sostanzialmente post ideologico – da forse quarant'anni. Nella totale mancanza di scontro ideologico – fosse pure anacronistico e assurdo, come ai tempi della Thatcher – manca oggi quasi qualsiasi senso dinamico, urgente, che dia ai suoi membri un senso non solo di appartenenza, ma anche una ragione da vivere e di manifestare il proprio credo.

    Senza dubbio Margaret Thatcher avrebbe reagito con fermezza ai disdicevoli e immotivati tafferugli di questi giorni, mentre il suo “ammiratore”, l'ondivago David Cameron, reduce dalla sua “tennis holiday” in Toscana, esprime solo fatue incertezze logistiche (ora iper garantista, ora vagamente rigorista); come lui, la sua Home Secretary Theresa May, che martedì ha dichiarato con sicumera alla BBC che i “water cannon” non fanno parte delle nostre tradizioni politiche sociali, e mercoledì è tornata agli stessi microfoni con il messaggio contrario: via coi cannoni d'acqua, questa è la volta buona. Ancor meno tutto d'un pezzo, come dovrebbe essere, il sindaco di Londra, che l'anno prossimo se la vedrà alle urne con il vecchio avversario, Livingstone il Rosso: pur attaccando i mocchiosi insorti, riserva non poca bile per i suoi colleghi di Downing Street, criticando gli annunciati tagli alla spesa per la sicurezza alla capitale.

    Zitto il furbissimo Ken Livingstone, e va da sé che rimanga muto (o almeno senza dire nulla di polemico) Ed Miliband, leader laburista rientrato anche lui (come Cameron, come la May e come il sindaco) solo al terzo giorno del casino: oltre a condannare “le scene di indescrivibile criminalità” e minacciare “la punizione più veloce possibile per i colpevoli”, non ha nessun particolare messaggio da comunicare. Aridatece la vis polemica del passato!
    Alcuni politici e molti editorialisti commentano il motivo centrale che spiega le scene di insensata violenza e ruberia, i negozi distrutti e saccheggiati, messi alle fiamme: sarebbe il collasso dell'ordine sociale, il declino del rispetto dei cittadini per le loro (pur sempre democratiche e abbastanza funzionali) istituzioni, a comincire dalla più basiliare di tutte, la famiglia. Ma le denunce dei politici suonano abbastanza ipocrite, dal momento che il graduale e sempre più evidente collasso della vecchia moralità privata (e pubblica di conseguenza) è frutto inconsapevole e indesiderato delle molte riforme sociali e legali dagli Anni Sessanta in poi, sempre più individualiste. Ma con un establishment politico e culturale sostanzialmente allineato dietro al progetto social liberal, non c'è nemmeno più dibattito sull argomento. Non a caso, le voci più incisive e convincenti sull'argomento sono quelle di alcuni cittadini di evidenti origini afro-caraibiche, ripresi dai tanti “citizen journalist” con le proprie telecamere e telefonini mentre imprecano contro la mancanza di rispetto che imperversa nella maggior parte delle famiglie di colore (ma non solo), dove spesso manca una figura paterna costante, e dove nessuno vuole lavorare.

    Così questi giovani, in gran parte di colore (ma non solo) non sono nemmeno frustrati o arrabbiati – come lo erano con le loro sanguigne ragioni i minatori e i disoccupati dell'era Thatcher – né si sentono esclusi della società, perché la maggiore parte di loro ha rifiutato ogni tentativo da parte delle istituzioni di coinvolgerli nella società. Per ironia della sorte, proprio ora con i tanti e discussi tagli del governo di coalizione verranno meno molti di quei progetti sociali per i ragazzi della periferia che loro, quegli stessi ragazzi in passato hanno rifiutato, con tutte le buone occasioni di inserimento sociale, scolastico, professionale. Perché allora il resto della società si dovrebbe sentire così colpevole?
    “Another Brick in The Wall”, la canzone del 1980 di Roger Waters e dei Pink Floyd che voleva condannare gli insegnanti britannici crudeli e ottusi, responsabili di aver soppresso il vero spirito creativo dei ragazzi, è amatissima ancora da molti italiani (non tutti più tanto giovani, poi) convinti che quella hit al tramonto del rock rappresenti ancora una solida realtà e verità. Invece mai è stata così fuorviante, e stupida: questi sono ragazzi che non vogliono sapere che cosa sia un libro, per non dire un diploma o una laurea. La “mindless violence”, la violenza incosciente di questi giorni è spettacolare da guardare in tv, su YouTube e sui siti dei giornali; ma, come diceva Shakespeare, si tratta di “sound and fury, signifiying nothing”. Abbiamo scoperto così una specia di neo nichilismo: non quello tipico di fine Ottocento, eretto a filosofia da persone che volevano rifiutare tutti i precedenti sistemi di valore, ma un rifiuto da parte di persone che hanno già riufiutato persino di sapere che cosa siano le idee o le ideologie. Gioventù bruciata, degna di un film di James Dean? Macchè, tutt'al più è gioventù incrostata alla padella.

    Molto si è già detto e scritto sul fenomeno delle nuove tecnologie che hanno reso possibile la diffusione rapidissima delle istruzioni da parte di alcuni capobands sulla prossima località dove svuotare i negozi, magari grondanti con i nuovi modelli di iPhone, scarpe Nike o televisori al plasma. Curioso invece il fatto che vediamo una replica simile a quegli avventimenti ludici di cinque-sei anni fa, i “flashmob” – dove le persone si davano appuntamento in un luogo prescelto, per mettere in scena un qualcosa di surreale o curioso, ma in tanti. Abbiamo visto in questi giorni riciclare a Londra dei “flashmob”, soltanto con una coda infantile, la sorpresa Kinder, ossia il premio. Ma pescato dentro un negozio saccheggiato, non in un uovo di cioccolato.

    Una polizia e una classe politica dunque deboli e incerti, buona parte dei commentatori confusi e senza parole, una nuova generazione di giovani talmente vuota da non saper nemmeno come si costruisce una bella rivolta eroica. Da elogiare, ci sono solo i molti cittadini londinesi anonimi, che sono scesi in strada con le scope e le palette per ripulire i danni fatti, e persino per offrire una tazza di tè alle centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa: un atteggiamento concreto e incurante dei rischi, come quello del “Blitiz Spirit”, quando i londinesi sfidarono Hitler e i suoi a fare del loro peggio. Almeno a Londra c'è rimasto ancora qualcuno chi si ricorda di quale stoffa siamo fatti.