Il film su Osama è in ottime mani, e chissenefrega se Obama lo cavalca

Stefano Pistolini

Un paio di scene sono potenzialmente formidabili: la porta sfondata e Osama bin Laden beccato in cannottiera dal Navy Seal salito al piano superiore del compound di Abbottabad, l'esecuzione. E poi la control room di Washington, dove i top cats della Casa Bianca seguono in diretta il blitz su cui hanno scommesso la carriera. Era questione di tempo prima che tutto ciò diventasse cinema, perché a Hollywood non stanno col filo d'erba in bocca quando s'intravede una storia che è materia da celluloide.

    Un paio di scene sono potenzialmente formidabili: la porta sfondata e Osama bin Laden beccato in cannottiera dal Navy Seal salito al piano superiore del compound di Abbottabad, l'esecuzione. E poi la control room di Washington, dove i top cats della Casa Bianca seguono in diretta il blitz su cui hanno scommesso la carriera. Era questione di tempo prima che tutto ciò diventasse cinema, perché a Hollywood non stanno col filo d'erba in bocca quando s'intravede una storia che è materia da celluloide, ma ci si buttano come fiere sulla preda.

    E a prima vista sembra andata bene: quelle scene tanto potenti quanto foriere di eventuali disastri cinematografici sono nelle migliori mani possibili: Kathryn Bigelow e il suo sceneggiatore Mark Boal, il team che ci ha consegnato il film più vero sull'Iraq, “The Hurt Locker”, l'unico che ha restituito le atmosfere dense di quella vicenda. Ma a quindici mesi dalle elezioni non poteva non saltare all'occhio la data d'uscita programmata: 12 ottobre 2012, tre settimane prima del voto, nel momento rovente dei sondaggi, della caccia agli indecisi e dei colpi bassi.

    I repubblicani sono saltati sulla sedia: cos'è questa storia che l'Amministrazione avrebbe collaborato con la produzione (la Sony, guarda caso, major già supporter dell'elezione di Obama) fornendo documenti secretati? La scintilla è stata accesa dal repubblicano Peter King, capo della commissione per la Sicurezza nazionale della Camera, che ha preteso chiarimenti dalla Cia, provocando reazioni indignate dagli interessati. Jay Carney, portavoce della Casa Bianca, ha replicato che nei compiti di una buona amministrazione c'è la cooperazione con chiunque racconti una verità storica. La Bigelow ha sollevato la questione etica: il suo film è un lavoro serio sulla caccia a Osama e l'eliminazione del più pericoloso terrorista del mondo va considerata una vittoria dell'umanità da celebrare, oltre che un trionfo americano senza colore politico. E ciò farà con il suo film.

    A mettere pepe sulla notizia ci pensa Maureen Dowd, dalla sua column sul New York Times: “Anche Obama, come il predecessore W. era a caccia del suo momento ‘missione compiuta'. Almeno in questa occasione qualcosa l'ha compiuto davvero”. Il bello è che il film della Bigelow non è l'unico in pista. Il raid ha definito nuovi standard nella spettacolarizzazione della caccia al cattivo e gente come Brad Pitt e Oliver Stone già annusa l'aria. La pellicola della Bigelow rischia di sprofondare tra le cattive imitazioni. Quanto alla sua versione di Abbottabad, c'è da scommettere che saprà contenere equamente onore e orrore.