Mappa della guerra dei gasdotti combattuta a suon di bombe
L'ultima esplosione è arrivata alla fine di luglio e i ministri d'Israele non hanno mostrato sorpresa quando ne hanno avuto notizia: da qualche mese, da quando Hosni Mubarak ha dovuto lasciare il potere in Egitto per fare largo alla piazza e ai generali, nessuno è più riuscito a tenere sotto controllo il gasdotto del Sinai, che è stato per anni la prova di un patto silenzioso e forte fra il Cairo e Gerusalemme. Due settimane fa, un gruppo di uomini armati ha raggiunto una zona isolata nel cuore dell'impianto e ha sparato due razzi contro la pipeline.
Razzi nel Sinai. L'ultima esplosione è arrivata alla fine di luglio e i ministri d'Israele non hanno mostrato sorpresa quando ne hanno avuto notizia: da qualche mese, da quando Hosni Mubarak ha dovuto lasciare il potere in Egitto per fare largo alla piazza e ai generali, nessuno è più riuscito a tenere sotto controllo il gasdotto del Sinai, che è stato per anni la prova di un patto silenzioso e forte fra il Cairo e Gerusalemme. Due settimane fa, un gruppo di uomini armati ha raggiunto una zona isolata nel cuore dell'impianto e ha sparato due razzi contro la pipeline. E' stato il quinto attacco degli ultimi sei mesi, il terzo in poco più di trenta giorni. Il gruppo conosceva bene l'obiettivo: non ha danneggiato il ramo del gasdotto che corre verso il Libano e la Giordania, ma soltanto quello che rifornisce Israele. Quel tratto era stato colpito il 12 luglio seguendo lo stesso schema, razzi in pieno giorno e fuga per le piste di el Arish fra canti festosi e segni di vittoria. Secondo fonti di Gerusalemme, le consegne non sono più riprese. L'Egitto è fra i principali fornitori di energia di Israele: l'Arab gas pipeline, costata un miliardo e duecentomila dollari, funziona dal 2008 e collega i giacimenti egiziani di el Arish alle piane della Giordania. Una sezione speciale arriva sino ad Ashkelon, mezz'ora d'auto a sud di Tel Aviv. Il Sinai è una zona demilitarizzata e la fine di Mubarak ha cambiato le regole della sicurezza in tutta la regione. Israele ha appena autorizzato gli egiziani a muovere mille uomini nel deserto per un'offensiva contro estremisti e contrabbandieri, ma pochi pensano che la manovra militare basterà a garantire il flusso del gas. Per questo, gli analisti di Gerusalemme cominciano già a programmare un futuro senza l'Egitto e si muovono per sfruttare i giacimenti scoperti di recente nelle acque del Mediterraneo: a dicembre, al largo di Haifa, gli ingegneri di Noble Energy hanno individuato una riserva da 95 miliardi di dollari. Israele può diventare la prossima potenza energetica del medio oriente.
Emorragia in Siria. A poche ore di distanza dal botto nel Sinai, alcuni ribelli hanno messo fuori uso il gasdotto di Talkalakh, una delle città coinvolte nelle proteste siriane. Per una volta il regime di Damasco non ha preteso la censura, ma ha voluto che la tv di stato andasse sul posto per riprendere il cratere di 10 metri provocato dall'esplosione. In un primo momento, gli ufficiali del governo hanno detto che l'impianto trasportava petrolio e che i raccolti e le falde acquifere della regione erano in pericolo; qualche giorno più tardi sono stati costretti a ritrattare perché il tubo trasportava gas, non greggio. La rete di gasdotti e oleodotti è un obiettivo sensibile per il governo siriano. Il più grande giacimento del paese si trova nella città orientale di Deir al Zour, l'oro nero raggiunge Baniyas, una raffineria conosciuta in tutto il medio oriente, e da lì viene distribuito nel bacino del Mediterraneo. Ora che la produzione industriale ha rallentato e gli scambi con l'estero sono ridotti al minimo, Damasco non può rinunciare agli introiti del petrolio e al traffico di gas naturale che attraversa il paese. Per questo motivo, il governo è sempre più preoccupato dagli attacchi contro le infrastrutture dell'energia.
Incendio kazaco. Il governo del Kazakistan dice che è stato un incidente e il Parlamento non è un posto per gente che ha voglia di fare discussioni, quindi sarà difficile capire come sono andate veramente le cose. Ma l'incendio che ha colpito la quarta sezione del gasdotto Cac, un'autostrada dell'energia in grado di unire ogni angolo dell'Asia, ha fatto saltare sulla sedia gli analisti da Pechino a Washington. Perché i gasdotti non prendono fuoco come se niente fosse, e questa regola vale soprattutto per quelli gestiti da Gazprom, il gigante russo dell'energia. Il Cac (Central Asia – Center gas pipeline) ha fatto una fiammata l'8 agosto nel distretto di Zhylyoi, nella parte ovest del paese. Il ministero dell'Energia ha fatto sapere che nessuno è rimasto ferito e non si è fermato a spiegare quali siano le dimensioni del danno e quanto tempo servirà per ripararlo. Le forniture, tuttavia, dovrebbero essere garantite attraverso una linea supplementare. Questo tubo è un'opera colossale, è un impianto sovietico lungo più di duemila chilometri che attraversa Russia, Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan, ovvero i più grandi produttori al mondo d'oro azzurro. Oggi, in Kazakistan, ripetono che il gas nazionale sarà venduto in Cina, mentre il petrolio finirà in Europa: non è detto che questa decisione sia gradita a tutti i vecchi azionisti del Cac.
Tra Turchia e Iran. Tre giorni dopo il botto nella steppa del Kazakistan, anche il governo turco ha dovuto fare i conti con un'esplosione sospetta. Sulle montagne del sud s'è fermato il gasdotto che collega il paese all'Iran e non è stato per un guasto casuale. Un ordigno ha danneggiato il tubo sul territorio turco, come ha riportato l'agenzia Fars, l'organo semiufficiale del regime di Teheran, e le forniture si sono interrotte immediatamente. L'attacco è stato rivendicato pochi giorni più tardi dai ribelli curdi del Pkk: “Il nostro commando ha sabotato il gasdotto turco-iraniano vicino alla città di Dogubeyazit, nella provincia di Agri”, diceva il messaggio. Ankara ha fondato una vera società dell'energia con Teheran e con Baku, la capitale dell'Azerbaigian. Il vertice dell'alleanza è il tubo che collega Tabriz ad Ankara: il segmento turco è costato seicento milioni di dollari e permette di trasportare 11 miliardi di metri cubi di gas ogni anno. Nell'ultimo decennio la Turchia ha importato il 93 per cento del petrolio e il 98 per cento del gas, e il tasso di sviluppo raggiunto dal paese ha già fatto aumentare i consumi del 41 per cento nella prima metà del 2011. Ankara non può fare a meno delle forniture in arrivo dall'Iran, e quando il Pkk interrompe gli scambi con Tabriz, l'Azerbaigian è pronto a sostenere le forniture con i suoi gasdotti.
Saipem in Iraq. L'Iraq ha appena siglato un contratto da 471 milioni di dollari con l'italiana Saipem per la costruzione di un gasdotto sottomarino da 50 chilometri nel sud del paese. Saipem dovrebbe concludere l'opera in due anni. Il contratto fa parte dell'ambizioso progetto di Baghdad per portare la produzione di petrolio a 12 milioni di barili giornalieri entro il 2017. Le condizioni di sicurezza però, anche se migliori rispetto agli anni della guerriglia, ora si sono attestate su un livello ancora basso, fatto di attentati e rapimenti. Il mese scorso nel nord una pipeline che porta petrolio verso la Siria è stata fatta saltare. Forse è stato un gesto contro gli Assad.
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