Due o tre idee per salvare la gnocca Camila dai cileni che fanno oooohhh

Stefano Pistolini

Il problema di essere presi sul serio. E' quello con cui sta facendo i conti la Compañera Camila, ovvero la sbalorditiva Camila Vallejo Dowling, 23 anni, faccia nuova della politica cilena, della quale è impossibile non innamorarsi subito, o perlomeno restarne abbagliati, impostando immediatamente il rapporto con lei nel modo sbagliato. Problema: valore e disvalore della bellezza, del sex appeal ai piani alti, allorché si cala in un contesto che non è il suo naturale.

    Il problema di essere presi sul serio. E' quello con cui sta facendo i conti la Compañera Camila, ovvero la sbalorditiva Camila Vallejo Dowling, 23 anni, faccia nuova della politica cilena, della quale è impossibile non innamorarsi subito, o perlomeno restarne abbagliati, impostando immediatamente il rapporto con lei nel modo sbagliato. Problema: valore e disvalore della bellezza, del sex appeal ai piani alti, allorché si cala in un contesto che non è il suo naturale. Se non avete presente Camila, pensate a una sosia di Kristen Stewart, la sua quasi coetanea, star istantanea della saga “Twilight”.

    Solo che la Vallejo viene alla ribalta su un altro palcoscenico: la protesta degli studenti di Santiago per il diritto allo studio, per un'educazione più abbordabile (le famiglie cilene si indebitano per mandare un figlio all'università e pagarne le spropositate rette) e per un ruolo dello stato più responsabile nella formazione delle nuove generazioni (0,84 del pil per l'istruzione contro il 3,5 investito in spese militari). A capo di questo movimento, animato dalla sinistra studentesca e dall'ala progressista del paese, è arrivata la ragazza dai leggiadri occhi verdi e dall'inglese fluente con cui si concede ai media internazionali.

    In coro, il mondo politico cileno ha fatto “oohhh”: perfino Giorgio Jackson, diretto avversario nella corsa alla presidenza del Fech, la federazione degli studenti, s'è inchinato a un simile prodigio: Camila è già pronta per altri campionati, tutti a vedere dove arriverà. Lei, figlia di due militanti del Partito comunista cileno, ribattezzata dalla stampa popolare “l'Angelina Jolie del Cile”, per adesso gioca la parte della serissima, impegnatissima, concentratissima e, naturalmente, corteggiatissima. Dice d'avere tempo solo per la politica e per la causa dei suoi colleghi studenti, disdegna le domande personali – figuriamoci quelle sulla vita sentimentale – ma non nasconde ambizioni lungimiranti, se il suo blog l'ha chiamato “Camila presidente”, come fosse la sua qualifica naturale, presidentessa per status, leader, icona, caterpillar mediatico.

    Già: questo è il cuore del problema, che s'intuisce perdendosi nei lineamenti di Camila, mentre c'indottrina da YouTube: quanto il formidabile tasso di mediaticità del suo personaggio corroderà la cauasa politica della quale pare al servizio. Quanto il mezzo surclasserà il fine, quanto le tv si nutriranno del suo melodrammatico carisma – che prevede ascese e discese, enigmi e sorprese – e quanto tutto ciò porterà veri risultati agli studenti squattrinati. Le manifestazioni di piazza convocate da Camila per ora, in uno scenario politicamente pigro come quello del Cile di oggi, hanno ottenuto risultati insperati, con centinaia di migliaia di dimostranti e la presidenza di Piñera messa a dura prova da una simile forza di pressione. Ma la sindrome “Reds”, quella che esplode quando a fare la rivoluzione sono personaggi conturbanti come Diane Keaton e Warren Beatty nel filmone sulla Russia del '17, rischia di travolgere Camila, obbligata a dichiarare davanti a una telecamera: “Non ho scelto io il mio aspetto fisico, ho scelto le mie battaglie”. Scatta la sindrome opposta: ammirandola, s'aspetta l'inciampo, la perdita della perfezione.

    “Sei tanto intelligente. Ma dovresti essere meno bella, perché uno si distrae e non ascolta”, gli rimproverano i politici navigati nei dibattiti. Fossi più brutta, andresti più dritta allo scopo. Il Cile e il mondo, l'ascoltano, però pensano ad altro. Terribile ma forse inevitabile, nella contaminazione che mescola ruoli e desideri sotto la squallida sigla di “società dello spettacolo”.