Il sommario di decomposizione del comunismo non era già scritto nelle stelle. E neanche nei cuori del popolo
Vent'anni fa la disgregazione dell'Urss poneva termine all'esperienza storica del comunismo, iniziata settantaquattro anni prima e divenuta nel corso del XX secolo uno degli aspetti caratteristici e ineliminabili della storia di quel periodo”. Così prende le mosse “La fine del comunismo” (Bruno Mondadori, pp. 190, euro 18) di Marcello Flores, docente di Storia contemporanea all'Università di Siena.
Vent'anni fa la disgregazione dell'Urss poneva termine all'esperienza storica del comunismo, iniziata settantaquattro anni prima e divenuta nel corso del XX secolo uno degli aspetti caratteristici e ineliminabili della storia di quel periodo”. Così prende le mosse “La fine del comunismo” (Bruno Mondadori, pp. 190, euro 18) di Marcello Flores, docente di Storia contemporanea all'Università di Siena. Un libro che è diviso in tre parti dedicate rispettivamente all'evento, all'analisi e all'interpretazione, e che è stato scritto apposta per questo anniversario. Si vede però che più ancora della fine dell'Urss e del modello comunista a Flores interessa il fallimento dell'estremo tentativo di riforma interna del sistema operato da Gorbacev con la perestrojka e la glasnost.
Quell'esperimento sembrò rilanciare la riformabilità il modello sovietico. Ma, stando a molti osservatori, invece di salvare lo stato nato dalla Rivoluzione di ottobre ne avrebbe precipitato il collasso. Fu dunque quella una conclusione fatalmente predeterminata, a partire da un difetto genetico iscritto nel Dna stesso degli eventi del 1917? Oppure è stata davvero l'opera risoluta di contrasto al comunismo di Ronald Reagan, Giovanni Paolo II e Margaret Thatcher a provocarne l'implosione?
“Come è inevitabile quasi per ogni evento della storia di proporzioni significative, le spiegazioni monocausali sono deboli e insufficienti a dar conto della complessità della storia stessa, soprattutto in età contemporanea”. Pur ricordando che “il permanere al potere in Cina del Partito comunista” non mette “in discussione l'immagine di un'epoca storica ormai conclusa” per via della “decisa e sorprendentemente efficace strategia economica adottata”. Tuttavia questa citazione ricorda implicitamente che un'altra evoluzione era possibile, per conservare un ruolo al partito unico come garante di una transizione al capitalismo autoritario (è peraltro il modello che confusamente si intravede in quell'era Putin iniziatasi dopo la caotica liberalizzazione eltsiniana). Flores ha buon gioco a citare i numerosi esempi di leader e analisti occidentali che, pur riconoscendosi nel paradigma reaganiano, furono presi alla sprovvista dalla improvvisa evoluzione degli avvenimenti. “Non sono stati i governi, i loro apparati di intelligence e di informazione, i servizi segreti e le diplomazie, a raccontare al mondo – e agli stessi ‘grandi' del mondo – quanto stava accadendo attorno alla cortina di ferro più importante, il Muro di Berlino. Sono state le televisioni locali e nazionali, i network internazionali come la Cnn, che inizia da questo momento a crescere d'importanza nella politica internazionale”. “E' stata la Cnn e non la Cia a tenere informata Washington sugli avvenimenti a Berlino. La caduta del Muro di Berlino era il primo colpo di una competizione non dichiarata tra Cia e Cnn che sarebbe continuata per tutti gli anni della Guerra fredda. La Cia non aveva una comprensione umana di quanto stava succedendo, nessuna delle nostre risorse nelle capitali dell'Europa orientale, e in Unione sovietica, era in una posizione tale da dirci quello che stava capitando”. E' anche importante ricordare che “se nei regimi comunisti dell'Europa la pressione popolare è direttamente e attivamente partecipe della fine del comunismo, in Urss esso crolla senza che si sia manifestata una esplicita volontà della maggioranza di abbandonare definitivamente quel regime sotto ogni sua forma. E crolla perché non riesce più a riprodursi e sopravvivere l'Unione, l'insieme delle tante repubbliche, l'impero”.
Insomma, secondo Flores non si tratta della sorte inevitabile di un regime autoritario e immobile, ma di un sistema comunque soggetto a cambiamenti che erano iniziati prima di Gorbaciov. Sarebbe stata proprio la sua politica riformista ad avvicinare l'estremo punto di svolta. Flores ricorda anche un'altra cosa. “La sconfitta americana in Vietnam e l'indebolimento istituzionale seguito al Watergate… inducono il segretario del Pcus a ritenere possibile la modificazione di forza tra le due superpotenze attraverso un impegno diretto ed esteso in Africa e Asia, cui gli Stati Uniti non possono rispondere adeguatamente per la situazione di debolezza in cui si trovano provvisoriamente e che viene ritenuta, da Breznev, ormai ineluttabile e progressiva”. Ma è un'offensiva mondiale per la quale l'Urss non ha le risorse, e che la porterà a sua volta a impantanarsi in Afghanistan. “Un'azione militare che sembra riproporre, ad appena pochi anni dal suo esito fallimentare, l'impasse e il dramma dell'intervento americano in Vietnam”. La conseguente crisi contribuirà ad accrescere la necessità di cambiamento da cui verrà fuori l'esperimento gorbacioviano.
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