I ribelli dell'ovest

Carlo Panella

Chi è mai quel Suleiman Sifaw che ieri tutte le agenzie del mondo definivano “comandante militare dei ribelli” che hanno conquistato Tripoli? Di certo c'è soltanto che Sifaw è un nome berbero e che questo comandante – che ha un ruolo centrale nella battaglia di Tripoli – non è mai stato citato da alcuna fonte da febbraio a oggi e che, con ogni probabilità, nulla ha a che fare con i “ribelli di Bengasi” che per mesi hanno riempito le pagine dei giornali.

Leggi I sei mesi di guerra in Libia - Leggi Qui a Tripoli si spara ancora troppo

    Chi è mai quel Suleiman Sifaw che ieri tutte le agenzie del mondo definivano “comandante militare dei ribelli” che hanno conquistato Tripoli? Di certo c'è soltanto che Sifaw è un nome berbero e che questo comandante – che ha un ruolo centrale nella battaglia di Tripoli – non è mai stato citato da alcuna fonte da febbraio a oggi e che, con ogni probabilità, nulla ha a che fare con i “ribelli di Bengasi” che per mesi hanno riempito le pagine dei giornali. E' l'ennesima conferma di un elemento già evidente: le truppe di Bengasi (i cui dirigenti hanno torturato e ucciso il proprio comandante militare Fattah al Obeidi venti giorni fa) non sono riuscite ad avanzare da est lungo la litoranea neanche alla vigilia del collasso delle truppe di Gheddafi. Tripoli invece è caduta per mano delle tribù berbere del Fezzan e delle montagne Nafusa, che stanno a ovest, con il contributo ovviamente determinante dei bombardamenti Nato (i servizi segreti francesi hanno sempre avuto eccellenti contatti con i berberi, minoranza etnica ferocemente repressa da Gheddafi).

    Questo dato di fatto sarà determinante da domani, perché è evidente che vi è una assoluta sproporzione tra il controllo della rappresentanza politica dei vincitori, il Consiglio nazionale transitorio egemonizzato dalle tribù della Cirenaica, e la marginale se non nulla rappresentanza nello stesso Cnt delle disciplinate tribù occidentali e berbere che hanno però vinto sul terreno, là dove invece le truppe di Bengasi hanno sempre dato pessima prova.

    In questo contesto si colloca un'ulteriore questione focale: Abdessalam Jallud, ex braccio destro del Colonnello, è fuggito tre giorni fa dalla Libia perché Gheddafi stava per cadere oppure – come è ben più probabile – è stato proprio Jallud a determinare l'improvviso e contemporaneo collasso di Gheddafi? Non è questione di poco conto perché più ancora del presidente del Consiglio nazionale transitorio, Mustafa Abdul Jalil, e del capo del governo di Bengasi, Mohammed Jibril, Jallud incarna la continuità con il lato peggiore del regime libico. Se venissero sottoposti a processo davanti al Tribunale internazionale dell'Aja – cosa che mai accadrà – questi tre leader ribelli sarebbero infatti considerati con certezza corresponsabili di buona parte dei peggiori crimini di Gheddafi.

    Fra i tre, Abdessalem Jallud è sicuramente il più importante e ha il ruolo più determinante nelle fratture che si sono create tra le tribù libiche e che poi sono diventate la ragione della fine  del regime. E' probabile che la causa vera della sconfitta di Gheddafi sia stata proprio la decisione di Jallud di spostare la sua tribù dei Magharia da un'iniziale posizione di neutralità al conflitto con il governo di Tripoli. Questa tribù, assieme a quella del rais, i Ghaddafa, controlla il centro del Golfo della Sirte e dal 1969 al 1993 ha funzionato come baricentro dell'equilibrio tribale costruito da Gheddafi dopo il golpe che detronizzò re Idris.

    Jallud doveva il proprio ruolo di rispettato numero due del regime non solo alle sue doti e al suo cinismo (organizzazione del terrorismo libico in primis), ma anche alla rappresentanza della sua tribù. Nel 1993, però, Gheddafi lo allontanò bruscamente dal potere, sospettandolo, probabilmente a ragione, di complicità in un complotto militare contro di lui. Assieme a Jallud vennero deposti tutti i generali della tribù Magharia, in una purga che determinò l'innesco della crisi tribale che infine ha segnato la sorte del suo regime. La crisi non è stata risolta, come si è visto, dalla decisione di Gheddafi di associare esponenti della Cirenaica e della tribù degli Harabi, come appunto Jalil, Jibril e Fattah al Obeidi, al suo governo. Né è stata attutita dal tentativo di recuperare il consenso degli al Magrahi, tribù a cui apparteneva Abdel Basset al Megrahi, “comprando” – tramite la Bp – la sua libertà da un carcere inglese in cui scontava l'ergastolo, come responsabile dell'attentato di Lockerbie.

    Il ruolo centrale di Jallud è sempre stato tale che proprio sul recupero della alleanza con lui e i suoi al Megrahi puntava Saif al Islam, il figlio “riformista” del rais, per evitare prima di febbraio l'esplosione della crisi. Jalil ha subito chiesto a Jallud di unirsi al Cnt di Bengasi e così avverrà, probabilmente in un ruolo “ombra”, suggellando così gli equivoci e i potenziali conflitti futuri di una “vittoria disastrosa” – come dicono molti analisti – che ha visto la Nato combattere per consegnare alla fine Tripoli ai più stretti collaboratori e complici trentennali dei crimini di Gheddafi. Mentre oggi i berberi del Fezzan e di Nafusa, vincitori veri della battaglia finale, sono emarginati e contano ben poco nel governo della nuova Libia.

    Leggi I sei mesi di guerra in Libia - Leggi Qui a Tripoli si spara ancora troppo