Qui a Tripoli si spara ancora troppo

Rolla Scolari

I ribelli prendono a sassate un ritratto gigante del colonnello Muammar Gheddafi in uniforme, poi gli sparano contro con i kalashnikov, e per finire, un enorme camion, facendo retromarcia, abbatte il cartellone in metallo, tra le urla di gioia degli uomini armati. Ieri, a soli due chilometri dalla piazza Verde, i membri delle diverse brigate di ribelli, in arrivo da tutta la Libia, mettevano in sicurezza gli edifici dell'Accademia femminile per ufficiali della capitale.

    Tripoli. I ribelli prendono a sassate un ritratto gigante del colonnello Muammar Gheddafi in uniforme, poi gli sparano contro con i kalashnikov, e per finire, un enorme camion, facendo retromarcia, abbatte il cartellone in metallo, tra le urla di gioia degli uomini armati. Ieri, a soli due chilometri dalla piazza Verde, cuore del regime del colonnello Gheddafi che da domenica notte è in rapida disintegrazione, i membri delle diverse brigate di ribelli, in arrivo da tutta la Libia, mettevano in sicurezza gli edifici dell'Accademia femminile per ufficiali della capitale. “Non bruciate i ritratti di Gheddafi, non saccheggiate i locali e non trattate male i prigionieri”, urla un giovane ribelle mentre i suoi compagni portano all'interno dell'edificio un uomo africano, un soldato delle truppe governative, con i polsi tenuti assieme da una kefiah bianca e rossa. Soltanto pochi minuti dopo, in un ospedale improvvisato da alcuni abitanti del quartiere occidentale di Seyahia, in una bassa casa colorata, quattro ribelli che si trovavano nel cortile dell'Accademia sono arrivati feriti, dopo che qualcuno ha aperto il fuoco con mitragliere pesanti attorno alla scuola militare. L'automobile dell'inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi è stata colpita ed è andata a fuoco, il giornalista – che non si trovava a bordo – è rimasto illeso.

    Le speranze che la battaglia per Tripoli sarebbe stata veloce sono collassate davanti a una situazione tesa e molto volatile. La rapida entrata in città delle forze rivoluzionarie, sabato notte, aveva fatto pensare che la fine del conflitto, dopo sei mesi, fosse vicina. I ribelli però controllano soltanto alcune parti della città e i combattimenti vanno avanti in molte aree, soprattutto attorno al bunker di Gheddafi e del suo entourage, a Bab el Azizia, dove secondo alcune voci si troverebbe ancora il rais. A pochi metri di distanza, nell'hotel Rixos, il regime tiene sotto chiave quaranta giornalisti stranieri, come scudi umani.

    Da domenica, la Nato ha colpito almeno quaranta obiettivi nella capitale libica, il numero di bombardamenti più alto, su una singola città, dall'inizio della missione Odyssey Dawn. L'Alleanza atlantica ha fatto sapere che continuerà i raid aerei finché tutti gli uomini del regime non si saranno arresi. Secondo al Jazeera, sarebbero stati ritrovati i cadaveri del capo dell'intelligence libica, Abdullah al Senussi, e di Khamis, sesto figlio del rais, comandante dell'esercito. Altri due figli del colonnello libico, al Saadi e Seif al Islam, sono stati arrestati, dice il capo del Consiglio dei ribelli, Mustafa Abdul Jalil. Il primogenito Mohammed, costretto ai domiciliari, sarebbe scappato con l'aiuto di alcuni militari.
    L'emittente del regime, al Jamahiriya, ha interrotto le trasmissioni. “Abbiamo preso il controllo di tutte le stazioni televisive”, ha detto il portavoce militare dei ribelli, Mohammed Zawiwa. Hala Misrati, la giornalista che aveva agitato una pistola in diretta promettendo lotta fino al martirio, è stata arrestata.

    Tripoli, nonostante le celebrazioni di domenica sera, arrivate fino alla piazza Verde – riportata dai ribelli al vecchio nome di piazza dei Martiri –, ieri non aveva l'aria di una città liberata che ha lasciato alle spalle i combattimenti. Certo, nel primo pomeriggio molti abitanti eccitati hanno iniziato a formare capannelli ai lati delle strade, gridando in inglese, con una grammatica traballante, “We are freedom”. Dai quartieri a ovest, da Jandur, poi da Seyahia e dalla ricca zona commerciale di Hay Andalus, i ribelli si sono mossi con i loro pick up in carovana verso la piazza Verde, con lentezza, fermandosi a mettere in sicurezza le vie centrali, e in molti casi lasciando scoperti e inesplorati i vicoli laterali. L'accesso al cuore di Tripoli, in cui gruppi di ribelli sono avanzati domenica notte, è ancora difficile e pericoloso ed è impossibile identificare chi controlla la piazza. I cecchini sparano dai tetti, senza andare per il sottile: tra le vittime ci sono due bambini di tre e undici anni.

    Centinaia di brigate sono arrivate domenica sera da ovest e da est per combattere nella capitale, per ripulirla dai nemici e garantire la sicurezza degli abitanti, dicono i ribelli. Abu Baker al Muaqaf ha 32 anni, e ieri mattina si trovava a guardia dell'Istituto petrolifero nazionale. “Siamo stati addestrati per mettere in sicurezza gli edifici strategici, i palazzi del governo e le istituzioni. Lo scopo è quello di evitare saccheggi, incendi e distruzione. Dobbiamo poter riutilizzare subito queste strutture per non perdere tempo con il nuovo governo”, spiega. La tensione è alta e la situazione troppo volatile. Nonostante un centinaio di ribelli addestrati dalle forze speciali del Qatar siano entrati per primi domenica pomeriggio per venire in sostegno ai combattenti locali, in strada da sabato, e subito dopo centinaia di uomini armati si siano riversati in città per mantenere sicure le strade, è difficile trovare qualcuno che conosca le sorti di un quartiere al quale non è stato assegnato.

    In teoria, la capitale è stata divisa in aree di azione, ogni brigata ha un'area limitata entro la quale agire. La comunicazione tra i gruppi di ribelli che stanno cercando di ripulire la capitale dalle forze del colonnello, però, non c'è. E le parole di due giovani ribelli di Zawiyah, che celebravano sabato sera nella periferia della capitale l'entrata dei rivoluzionari a Tripoli, adesso sembrano profetiche. “Domani prenderemo tutta Tripoli”, ha detto il primo. “Forse”, ha risposto il suo compagno, con un vecchio kalashnikov appeso alla spalla.