Bollori e capitomboli dei capitalisti su vecchie, nuove e nefaste tasse

Michele Arnese

“Manovra depressiva”, “così si aumenta la pressione fiscale”, “non ci sono riforme liberali”. Critiche e lamentele di imprenditori e capitalisti non sono state risparmiate nel giudicare la manovra economica del governo, che sarà ritoccata dopo il vertice di ieri fra Pdl e Lega. Eppure gli organismi di rappresentanza delle aziende non mancano di contraddizioni. Dal vertice di Confindustria si è paventata una manovra depressiva nel caso di nuove imposte. D'altronde i tecnici del Senato hanno già osservato che la pressione fiscale salirà in due anni dal 46,6 per cento al 48,4 per cento per gli effetti del decreto giunto in Parlamento.

    “Manovra depressiva”, “così si aumenta la pressione fiscale”, “non ci sono riforme liberali”. Critiche e lamentele di imprenditori e capitalisti non sono state risparmiate nel giudicare la manovra economica del governo, che sarà ritoccata dopo il vertice di ieri fra Pdl e Lega. Eppure gli organismi di rappresentanza delle aziende non mancano di contraddizioni.

    Dal vertice di Confindustria si è paventata una manovra depressiva nel caso di nuove imposte. D'altronde i tecnici del Senato hanno già osservato che la pressione fiscale salirà in due anni dal 46,6 per cento al 48,4 per cento per gli effetti del decreto giunto in Parlamento. Chi però contesta tasse vecchie e nuove è lo stesso che dopo l'approvazione prima di Ferragosto proponeva l'aumento dell'Imposta sul valore aggiunto: “Da Iva e riforma delle pensioni di anzianità le risorse per la crescita”, titolava il 14 agosto il Sole 24 Ore un'intervista al presidente degli industriali, Emma Marcegaglia firmata dal direttore Roberto Napoletano.

    Certo, l'incremento dell'Iva era invocato in sostituzione del cosiddetto contributo di solidarietà imposto ai redditi superiori ai 90 mila euro, previsto dal decreto. Però i cambiamenti d'opinione sono evidenti. Prima Marcegaglia ha criticato l'idea di Luca Cordero di Montezemolo, animatore di Italiafutura, di un'imposta sui grandi patrimoni, poi gli stessi vertici della confederazione di viale dell'Astronomia in Parlamento, in un'audizione la settimana scorsa sulla manovra, chiedono un'imposta piuttosto simile: in una delle otto proposte dicono che “il contributo di solidarietà è ingiusto perché incide solo su coloro che dichiarano tutti i propri redditi e già contribuiscono al benessere del paese. Meno iniqua sarebbe, se necessaria, un'imposta ordinaria progressiva sui grandi patrimoni immobiliari” (la sintesi è del Sole 24 Ore di venerdì scorso).

    Peccato, come ha fatto notare ieri Confedilizia, l'associazione presieduta da Corrado Sforza Fogliani che riunisce i proprietari di case, che “chi allegramente pensa a imporre una patrimoniale sugli immobili dovrebbe riflettere seriamente sugli effetti depressivi che questa patrimoniale, anche se si limitasse ai grossi patrimoni, avrebbe comunque sul valore anche delle prime case”. Si scorge un idem sentire fra Confindustria e Terzo polo? La domanda non è peregrina scorrendo le proposte di Udc, Fli, Mpa e Api presentate ieri: per eliminare “l'odioso e iniquo contributo di solidarietà” il Terzo polo propone di introdurre una patrimoniale del “5 per mille sulle grandi attività finanziarie e immobiliari superiori ai dieci milioni di euro”, ha detto l'ex senatore pd, l'economista Nicola Rossi, adesso anche animatore della montezemoliana Italiafutura oltre che presidente dell'Istituto Bruno Leoni (però il centro studi liberista diretto da Alberto Mingardi di sicuro non propone forme di patrimoniali).

    Ma è soprattutto sull'eventuale incremento dell'Iva – escluso ieri dal vertice di maggioranza – che si gioca in queste ore una partita vissuta con apprensione dal settore terziario. Casualmente oppure no, ieri Confcommercio ha diffuso una ricerca che attesta: “La debolezza dei consumi a livello pro capite, complice il biennio di crisi 2008-2009, lascia prevedere un rallentamento generalizzato dell'uscita dalla crisi tanto che, a fine 2011, ben 17 regioni su 20 rischiano di registrare un livello di consumi inferiore a quello del 2000”. Come dire: anche l'incremento di un punto dell'aliquota Iva al 20 per cento può deprimere ulteriormente i consumi. In tutta la confederazione dei commercianti presieduta da Carlo Sangalli, dal centro alla periferia, ci si chiede se un governo liberale voglia deprimere i consumi, possa alzare le imposte e punire una categoria di certo non ostile alle forze politiche moderate. I dubbi sono legittimi quanto una domanda: come possono imprenditori liberali contrastare riforme liberali, come quelle contenute nella manovra di agosto, che estendono la liberalizzazione dell'apertura dei negozi?