Diario dalla tempesta

Si poteva tornare a casa e raccontarla, e invece che palla

Andrea Marcenaro

Cielo scuro, poche automobili, un paio di camion, tre o quattro figurine e non di più che attraversano frettolosamente l'incrocio della grande avenue. Lo spettacolo spalancato sotto gli occhi di chi si affaccia dalle finestre del nono piano è da tregenda. Franca, io, Gabriella, Anita: “La città non è più lei”. “Vero?”. “Vuota”. “Spettrale”. “Non c'è nessuno”. “Manco un taxi”. “Mai vista una roba così”. “Sarà dura”. Voce dell'amico arrivato da dietro: “Irene? Che cazzo c'entra Irene? E' sabato. Alle sei di mattina la gente dorme”.

    Cielo scuro, poche automobili, un paio di camion, tre o quattro figurine e non di più che attraversano frettolosamente l'incrocio della grande avenue. Lo spettacolo spalancato sotto gli occhi di chi si affaccia dalle finestre del nono piano è da tregenda. Franca, io, Gabriella, Anita: “La città non è più lei”. “Vero?”. “Vuota”. “Spettrale”. “Non c'è nessuno”. “Manco un taxi”. “Mai vista una roba così”. “Sarà dura”. Voce dell'amico arrivato da dietro: “Irene? Che cazzo c'entra Irene? E' sabato. Alle sei di mattina la gente dorme”.

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    Matteo, trent'anni, è il figlio di Gabriella. Gabriella sta con noi a un passo da Park Avenue. Park Avenue è sicura, dicono. Matteo dorme a Soho, città bassa. Che non pare così sicura. Il papà di Matteo, ex marito di Gabriella, tempesta di telefonate dall'Italia: “Sei pazza, portalo immediatamente via da lì”. Aveva letto Vittorio Zucconi e dei grattacieli destinati a cadere come grandi birilli. “Lo portiamo da noi?”, dice Gabriella. “E dove dorme?”. “Sul divano?”. “Sul divanooo?”. Silenzi. Occhiate. Stiamo a Park Avenue, mica alla Sgurgola. Poi, caso vuole che Matteo decida in felice autonomia di restare a Soho.

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    Televisioni che martellano. Bloomberg che martella: “Non sarà uno scherzo”. Obama che martella: “Sarà un evento storico”. Lo stato d'animo si proietta nel futuro: passare da eroi, tornare in Italia e raccontarla per tutto l'inverno. Ma c'è lo shopping. Non si ha idea di cosa voglia dire dover fare lo shopping con un uragano dietro al culo. Sulle ali dell'hurricane. Diventa selvaggio. Acquisti per figli, nipotine, nuore, cognate. Il totosfiga su quanti saranno i morti si intreccia con i commenti rabbiosi sull'esaurimento delle oxford azzurrine botton down, manica 36, vendute dai noti fratelli. Franca vuole pure le calosce. Franca vuole mescolarsi alla popolazione una volta disastrata. Franca soffre acutamente il senso di colpa di vivere in un quartiere dove si rischia meno. Franca è l'unica che vuole fare due shopping: uno di destra e uno di sinistra.
                        
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    Delusione tra sabato e domenica. L'hurricane ci scende dal livello due al livello uno. Una cosa è affrontare a petto in fuori un livello due, altra un livello uno. Ci s'interroga se valga la pena. Se il racconto terrà la stessa botta. L'annuncio del livello uno costituisce l'inizio dell'ammoscio di tutta la questione.

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    Ciascuno tiene famiglia, e questo va da sé. Con l'uragano tra i piedi, è la famiglia che tiene te. Arrivano telefonate alle due del mattino, alle tre, alle quattro, alle cinque e alle sei: “Sarà pericoloso?”. “Non sarà meglio tornare?”. “C'è vento?”. Chiamano i figli, chiamano i mariti, gli ex mariti, gli amici, le amiche, alcuni vecchi compagni, chiamano tutti. Vogliono sapere a che piano stai. Perché? Perché ha scritto, Repubblica, che si sarebbero salvati solo quelli che stavano tra il piano terzo e il nono. Tutti gli altri, si presume, morti. Bene. Ci fosse stato un familiare che, prima di impugnare la cornetta, di notte, si fosse caricato della briga di pensare come accidenti possa restare in piedi un grattacielo cui manchino i primi tre piani. “A che piano stai?”. Nono. E la famiglia, a quale punto, un po' si tranquillizza. Tu non dormi, ma lei si tranquillizza.

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    Per chi in futuro capitasse a New York con un altro uragano alle viste, consiglio: si porti una torcia, poiché per certo mancherà il power, la luce. Poi non è vero, ma tutti giurano che mancherà la luce. Nel qual caso, le torce. Ora. Voi dovete immaginare un povero disgraziato dall'inglese più che zoppicante, girare per la metropoli in attesa della catastrofe più grave della sua storia, che cerca una pila parlando in italiano ma addolcendo le erre. Nel nostro caso, siamo riusciti nell'impresa di accumulare: due candele rosse lunghe, da Natale coi fiocchi, una bianca a torciglione da candelabro barocco, due verdi mosce che solo a vederle facevano buio e alla fine, ma proprio alla fine, due torcette di design, le quali sembravano disegnate da un cugino di Philippe Starck soltanto affinché gli astanti potessero dire: uh, ma che bella torcetta!

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    Non solo le pile. Fondamentale è stato: accumulare derrate alimentari contro le carestie. Grazie a un amico particolarmente prodigo, abbiamo messo da parte i seguenti alimenti: dieci chili di formaggi di diverse qualità, mezza tonnellata di pane, un intero tonno il cui notevole corpo era stato suddiviso in barattoli, un sacco di patate, qualche dozzina di uova, patatine fritte rispettivamente in sacchi di: fritte all'aceto, al peperoncino, alla salvia, al rosmarino e alla fragola, venti chili tra pesche e pesche noci, mele, kiwi, pere, noccioline americane, sei chili di hamburger, tre pezzi da roast beef, pasta lunga, corta, rigata e no, aglio a mazzi, insalata a cespugli, una quiche di pollo che sarà stata sui sei chili, più olio e aceto, sale, zucchero, gomme americane, caramelle, dolci, vini, gin acque toniche, più altro, più, naturalmente, i pelati. Cioè, non i pelati, bensì quelle maledette confezioni già condite e senza linguetta, vale a dire bisognose di apriscatola, capaci di suscitare negli italiani un sentimento di disprezzo incoercibile nei confronti di chiunque, perfino degli amici americani.

    ***
    Irene era in ritardo. Era sempre in ritardo. Arriva sabato mattina. No, pomeriggio. No, sabato sera. Tra sabato e domenica. Già era a livello uno e si permetteva di non arrivare. Grande attesa nella notte tra sabato e domenica. Poi, a letto. Una notte da papi. Non un rumore, nemmeno un fruscio. Ti alzavi per qualche pipì, ti affacciavi alla finestra, e notavi come una pioggia discreta viaggiasse di sguincio, spinta da una brezza nemmeno troppo invadente. Si prepara, ti dicevi, si prepara. L'indomani mattina tutti lì, a guardare di fuori l'arrivo della bestia urlante, delle tonnellate d'acqua, quindi serrati dentro. Finché il solito imbecille, ignaro del pericolo che si correva, oppure per l'abitudine, non ha detto: “Ragazzi, apriamo le finestre che c'è troppo fumo”. Aperte le finestre, entrata un'arietta, la frittata era fatta.

    • Andrea Marcenaro
    • E' nato a Genova il 18 luglio 1947. E’ giornalista di Panorama, collabora con Il Foglio. Suo papà era di sinistra, sua mamma di sinistra, suo fratello è di sinistra, sua moglie è di sinistra, suo figlio è di sinistra, sua nuora è di sinistra, i suoi consuoceri sono di sinistra, i cognati tutti di sinistra, di sinistra anche la ex cognata. Qualcosa doveva pur fare. Punta sulla nipotina, per ora in casa gli ripetono di continuo che ha torto. Aggiungono, ogni tanto, che è pure prepotente. Il prepotente desiderava tanto un cane. Ha avuto due gatti.