Tre palle, un soldo

Giorni contati, colpa della manovra pasticciata

Enrico Cisnetto

Borrowed time. Il Wall Street Journal usa questa espressione – “vivere con i giorni contati” – per rappresentare la condizione dell'Italia, vittima di una crisi politica che per molti versi somiglia a quella del 1992-1994 ma che rischia di rubarle il primo posto nella classifica delle situazioni più critiche della storia repubblicana. In realtà, i giorni da contare sono quelli in cui la Bce sarà ancora disposta a comprare titoli del debito pubblico italiano sul mercato secondario.

    Borrowed time. Il Wall Street Journal usa questa espressione – “vivere con i giorni contati” – per rappresentare la condizione dell'Italia, vittima di una crisi politica che per molti versi somiglia a quella del 1992-1994 ma che rischia di rubarle il primo posto nella classifica delle situazioni più critiche della storia repubblicana. In realtà, i giorni da contare sono quelli in cui la Bce sarà ancora disposta a comprare titoli del debito pubblico italiano sul mercato secondario. Dall'inizio del programma di interventi di messa in sicurezza del mercato obbligazionario pubblico europeo fino a tutta la settimana scorsa, Trichet aveva firmato ordini di acquisto per un totale di 115,5 miliardi. Non è dato sapere quanto di questo ammontare sia stato dedicato ai nostri Btp, ma è assai probabile che si tratti di ben più della metà (il resto è andato ai Bonos spagnoli). Ora, fino a quando e per quanto la Bce è ancora disposta a mettere mano al portafoglio?

    Alcuni indizi suggeriscono una risposta assai preoccupante: per poco, molto poco. Prima di tutto perché la banca di Francoforte è in via di principio contraria a questa che considera un'indebita supplenza nei confronti dei governi, cui Trichet ha sempre chiesto di essere responsabili della “credibilità” dei loro paesi sui mercati finanziari. Il secondo motivo sta nella necessità da parte dell'Eurotower di non svenarsi, dovendo assicurare la liquidità al sistema bancario continentale, oltre 6 mila istituti di credito che, con il mercato interbancario piuttosto asfittico – bloccato com'è dalle reciproche diffidenze dei banchieri – pompano denaro come non mai, viste anche le operazioni di ricapitalizzazione in cantiere. E' vero che Trichet non più tardi di lunedì ha tranquillizzato le banche confermando che ci sono ben 14 mila miliardi di asset idonei per operazioni di credito nell'eurosistema.

    Tuttavia, non conforta il richiamo di Christine Lagarde (Fmi) alla necessità urgente di ricapitalizzare le banche anche eventualmente utilizzando il fondo europeo salva stati (Efsf). Ma il motivo principale per cui è ragionevole pensare che la Bce possa smettere presto di fronteggiare la speculazione sui nostri titoli sta nell'orribile pasticcio creato dal governo sulla manovra. Non tanto per via dei conti che non tornano – se così fosse, per ripristinare i saldi c'è sempre un condono fiscale a portata di mano o un facile aumento dell'Iva da varare – quanto per la totale privazione di credibilità che la manovra stessa ha dovuto subire prima ancora di essere approvata, da un lato, e per il profilo complessivamente congiunturale dei singoli provvedimenti (tutti, quelli rimasti e quelli cassati), dall'altro.

    Sullo “sputtanamento” del decreto d'emergenza (viene da ridere già a definirlo così, perché le emergenze sono una cosa seria) c'è ben poco da dire. Basta mettere in fila quanto è successo negli ultimi due mesi: dalla manovra di luglio quando il governo ha approvato il piano per l'azzeramento del deficit entro il 2014 al suo anticipo di un anno alle prime avvisaglie di pressione dei mercati, dal varo del decreto in agosto in piena bufera finanziaria e sotto dettatura della Bce alla sua successiva riformulazione, fino alle convulsioni delle ultime ore.

    E' evidente che, quali che siano i suoi contenuti, la manovra ha perso ogni credibilità agli occhi dei partner europei – che non a caso hanno già mandato segnali di forte preoccupazione – e della stessa Bce (in particolare dei due firmatari della famosa lettera, Trichet e Draghi). E dei mercati, che attendono solo il momento buono – la fine degli acquisti di Btp da parte di Francoforte – per tornare alla carica. Se poi, in più, anche i vari provvedimenti della manovra lasciano il tempo che trovano, il patatrac è fatto. Perché una cosa è ormai chiara: quali che siano le scelte definitive, non c'è alcuna possibilità che ne esca una manovra strutturale. Anzi, l'Italia avrebbe dovuto fin dall'inizio negoziare con l'Europa un altro tipo di manovra. Non attaccare il deficit, che era e rimane uno dei migliori in Europa, ma il debito. O meglio, aggredire il rapporto debito pil, facendo scendere il numeratore – alienazione di patrimonio pubblico per ridurre lo stock di debito accumulato – e aumentando il denominatore, prima di tutto evitando di prendere provvedimenti potenzialmente recessivi (quelli di cui si parla rischiano di far diminuire il pil di mezzo punto percentuale) e poi cercando di sostenere la crescita e la domanda, trasformando pezzi di spesa pubblica in investimenti. Invece, prima ci siamo infilati nel vicolo stretto dell'azzeramento del deficit corrente, poi sia le guerre intestine dentro la maggioranza e dentro i partiti e gruppi che la compongono, sia la paura di perdere consenso – ma una manovra correttiva di bilancio o fa male a qualcuno o non è – hanno fatto il resto, sputtanando il tutto. Fino al punto da indurre un uomo saggio ma prudente come Lamberto Dini a dire “non create nuovo debito”. Significativamente.