Primi giorni di Mostra veneziana, prime delusioni
Primi giorni di Mostra veneziana, prime delusioni. E' un classico: si leggono i titoli in programma, si contano i registi che ci interessano, si leggiucchiano le trame (non troppo, i festival sono ormai gli unici luoghi, in epoca internettiana, dove capita di vedere un film senza aver curiosato prima tra decine di recensioni, non vale la pena di guastarsi il piacere). Si parte convinti che sarà un anno magnifico, che dimenticheremo il buco del nuovo Palazzo del Cinema (tutta colpa di Francesco Rutelli, ha fatto sapere Giancarlo Galan in un'intervista al Corriere della Sera edizione locale), che le code per entrare in sala saranno dimenticate appena cala il buio.
Primi giorni di Mostra veneziana, prime delusioni. E' un classico: si leggono i titoli in programma, si contano i registi che ci interessano, si leggiucchiano le trame (non troppo, i festival sono ormai gli unici luoghi, in epoca internettiana, dove capita di vedere un film senza aver curiosato prima tra decine di recensioni, non vale la pena di guastarsi il piacere). Si parte convinti che sarà un anno magnifico, che dimenticheremo il buco del nuovo Palazzo del Cinema (tutta colpa di Francesco Rutelli, ha fatto sapere Giancarlo Galan in un'intervista al Corriere della Sera edizione locale), che le code per entrare in sala saranno dimenticate appena cala il buio. Bastano tre giorni per cambiare idea.
Abbiamo ancora una settimana per ricrederci, ma questo al momento è lo stato delle cose. Delude Madonna, che dopo una disastrosa carriera da attrice aveva azzeccato il primo film da regista, “Sacro e profano”. Spiace per Valentino, che probabilmente non va al cinema dai tempi di “A qualcuno piace caldo” (lo cita a proposito in “L'ultimo imperatore” documentario che Matt Tyrnauer ha dedicato al sarto e ai suoi carlini dai denti perfettamente spazzolati). Altri carlini – i duchi di Windsor ne andavano pazzi – e la perfezione vestimentaria non bastano a salvare “W. E.” dal disastro. La pop star scopiazza Stephen Daldry in “The Hours”, accostando freneticamente il passato dell'avventuriera Wallis Simpson e il presente di una moglie masochista (troverà consolazione in un maschio russo che fa il portiere da Sotheby's, suona Chopin e ha un loft spropositato rispetto allo stipendio).
Alle Giornate degli Autori delude “Café de Flore” del canadese Jean-Marc Vallée, che sei anni fa aveva scatenato proprio al Lido un grandioso passaparola con “C.R.A.Z.Y.”. Un disco in vinile tiene insieme i due film – nel vecchio ascoltavamo il brano di Patsy Cline, nel nuovo una canzone amatissima da un ragazzino ritardato, che la madre negli anni 60 si ostina a educare come i coetanei. Fine delle somiglianze. Tanto quella storia di famiglia incantava, tanto queste due storie giustapposte (l'altra ha per protagonista un dj di successo) lasciano freddi nonostante il grande tema: perché chi ha tutto non è felice, e chi ha poco riesce a esserlo? Del verboso e didattico film di David Cronenberg sulla psicoanalisi (“A Dangerous Method”) abbiamo detto in Quinta colonna. Possiamo aggiungere che i film gli riescono meglio quando si occupa dei corpi e lascia in pace l'inconscio. Ci aspettavamo poco invece da Roman Polanski (assente per pericolo di estradizione, again) e “Carnage” ha tutto quel che uno spettatore può desiderare. Un geniale copione di Yasmina Reza, bravissimi attori, scene madri. Per chi lo desidera, anche un richiamo all'attualità. Guardiamo i genitori che si azzannano mentre i figli dopo una rissa hanno fatto pace. E pensiamo ai campetti di calcio dove i ragazzini giocano e i padri attaccano briga in tribuna. Dopo aver insultato l'arbitro, si intende, reo di non stare dalla parte dei loro mocciosi.
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