Rivoluzioni neglette

Stefano Cingolani

Una delle misure più eclatanti della convulsa manovra economica riguarda l'articolo 8 del decreto, dedicato ai contratti di lavoro aziendali e territoriali che possono derogare alle norme con l'accordo dei sindacati più rappresentativi. Eppure, non ha ispirato le firme vagabonde della grande stampa nazionale né i riformatori a corrente alternata del Pd, che ieri ha rilanciato le liberalizzazioni salvo aderire allo sciopero indetto dalla Cgil per oggi.

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    Una delle misure più eclatanti della convulsa manovra economica riguarda l'articolo 8 del decreto, dedicato ai contratti di lavoro aziendali e territoriali che possono derogare alle norme con l'accordo dei sindacati più rappresentativi. Eppure, non ha ispirato le firme vagabonde della grande stampa nazionale né i riformatori a corrente alternata del Pd, che ieri ha rilanciato le liberalizzazioni salvo aderire allo sciopero indetto dalla Cgil per oggi.

    Il Corriere della Sera non ha commentato ieri l'articolo 8. Ferruccio de Bortoli ha bacchettato Susanna Camusso perché il segretario Cgil ha bloccato l'uscita del quotidiano di via Solferino in vista dello sciopero senza nemmeno la cortesia di rispondere alla gentile richiesta di chiarimenti da parte del direttore. Anche la Stampa, il quotidiano della Fiat, si è astenuto (per il momento) nonostante il governo accolga buona parte delle nuove regole contrattuali introdotte da Sergio Marchionne negli stabilimenti italiani. Qualcuno ha persino definito l'art. 8 una “norma salva Fiat” e non solo tra i politici di sinistra. Ma forse i giornali più vicini alla borghesia del nord vogliono meditarci su.

    La Repubblica ha delegato il tema al sociologo Luciano Gallino, il quale ha emesso un verdetto inappellabile: “Così si abolisce il diritto al lavoro”. Il comma 1 e il comma 2 uniti scatenano la “libertà di licenziare” e “aboliscono di fatto non solo l'articolo 18 ma l'intero Statuto dei lavoratori”. Le cose stanno così? Il segretario della Cisl Raffaele Bonanni giura di no.

    Pietro Ichino, giuslavorista e senatore pd, critica il provvedimento perché “la riforma di una materia tanto delicata non può essere delegata alla contrattazione aziendale”. Ma Ichino riconosce che “sia la Banca d'Italia, sia la Bce ci chiedono tre cose: una maggiore flessibilità dei rapporti di lavoro regolari stabili, una corrispondente maggiore protezione dei lavoratori nel mercato del lavoro, e il superamento del dualismo tipico del nostro tessuto produttivo, cioè del regime di apartheid oggi vigente in Italia fra iperprotetti e poco o per nulla protetti”.

    Quando Jean-Claude Trichet ha inviato la sua missiva a Silvio Berlusconi, una delle “raccomandazioni” riguardava “meno rigidità nelle norme sui licenziamenti dei contratti a tempo indeterminato”; e ieri il presidente uscente della Banca centrale europea è tornato a incalzare sulla “liberalizzazione del mercato del lavoro sul modello tedesco”.

    Nel giorno della lettera inviata dalla Bce e dalla Banca d'Italia, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari non mancava di applaudire al “commissariamento”. Lo stesso accadeva per la penna del vicedirettore Massimo Giannini allorché, usando contro il governo le considerazioni finali di Mario Draghi il 31 maggio scorso, lamentava che troppo spesso sono state prese come “prediche inutili” (citando Luigi Einaudi). Ma cosa diceva Draghi nel suo discorso di commiato? “La diffusione nell'ultimo quindicennio dei contratti di lavoro a tempo determinato ha contribuito a innalzare il tasso di occupazione, ma al costo di introdurre nel mercato un pronunciato dualismo: da un lato i lavoratori in attività a tempo indeterminato, maggiormente tutelati; dall'altro una vasta sacca di precariato. Riequilibrare la flessibilità del mercato del lavoro, oggi quasi tutta concentrata nelle modalità d'ingresso, migliorerebbe le aspirazioni di vita dei giovani; spronerebbe le unità produttive a investire di più nella formazione delle risorse umane, a inserirle nei processi produttivi, a dare loro prospettive di carriera”.

    La flessibilità “tutta concentrata nelle modalità d'ingresso” vuol dire che ci vuole flessibilità anche in uscita. Spiegazione ufficiale della frase da parte della stessa Banca d'Italia. Se ciò viene realizzato con la contrattazione decentrata o con una norma di legge, non cambia molto. Dunque, l'articolo 8 della manovra si inserisce perfettamente nel solco delle considerazioni finali. Questa volta non sono state prediche inutili.

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