La nefasta rincorsa a indebolire le salutari liberalizzazioni

Carlo Stagnaro

Liberalizzazioni? Macché. Il continuo rimpallo tra governo e Parlamento ha prosciugato la manovra. La politica si è mossa come se l'obiettivo inconfessabile fosse semplicemente non disturbare nessuno, o disturbare il meno possibile, anziché salvare il paese da un rischio-default mai stato così tangibile. Non si spiegherebbe altrimenti il triste destino delle misure pro crescita, inizialmente previste. La versione su cui l'esecutivo porrà la fiducia, pur frenando alcune degenerazioni e rinunce degli ultimi giorni, è insoddisfacente ma almeno rappresenta un piccolo passo.

    Liberalizzazioni? Macché. Il continuo rimpallo tra governo e Parlamento ha prosciugato la manovra. La politica si è mossa come se l'obiettivo inconfessabile fosse semplicemente non disturbare nessuno, o disturbare il meno possibile, anziché salvare il paese da un rischio-default mai stato così tangibile. Non si spiegherebbe altrimenti il triste destino delle misure pro crescita, inizialmente previste. La versione su cui l'esecutivo porrà la fiducia, pur frenando alcune degenerazioni e rinunce degli ultimi giorni, è insoddisfacente ma almeno rappresenta un piccolo passo avanti nell'ottica dell'equilibrio fiscale. Viene da pensare che, se l'avessero fatto subito, prima dello scontro frontale tra l'Italia e l'inflessibile durezza dei mercati, forse oggi la situazione non sarebbe così drammatica. Proprio per questo, l'avventura non può considerarsi conclusa: riconquistando mezza tacca in disciplina di bilancio, abbiamo, al massimo, comprato il tempo per riaprire sul serio il dossier della crescita.

    Il paradosso è che, seppure molto mancava, qualcosa in principio c'era, ma è stato eroso durante le trattative politiche e l'ammuina dei partiti. Per esempio, la liberalizzazione degli ordini professionali, con cui peraltro il governo sconfessava la controriforma dettata dagli avvocati, è subito scomparsa. Idem l'accorpamento delle province: spuntato a Ferragosto, è rimasto solo un piccolo taglio al numero di assessori e consiglieri. Sulle pensioni, l'ostracismo leghista ha impedito un intervento più ampio e razionale. Addirittura gli enti pubblici non economici con meno di 70 dipendenti sono riusciti a salvare la pellaccia.

    E le constituency storiche del centrodestra? I tassisti hanno conquistato l'esenzione, le farmacie li hanno seguiti a ruota, e persino la deregolamentazione di orari e giorni di apertura degli esercizi commerciali è rientrata nel perimetro originale delle città turistiche e d'arte. L'esecutivo ha ingranato la retromarcia anche sul Sistri, l'assurdo meccanismo di tracciabilità dei rifiuti: la patria della complessità non tollera le semplificazioni. Questa caotica e rumorosa regressione verso lo status quo si somma a un “track record” certo non esaltante, tra occasioni perdute (come la mancata apertura dei mercati energetico e postale, col recepimento delle direttive europee) e riforme smantellate per insipienza di destra e populismo di sinistra (la legge Ronchi sui servizi pubblici locali).

    Restano, nella manovra, l'articolo 8 sui contratti aziendali e l'esangue tentativo di liberalizzare i servizi pubblici locali acqua esclusa. Entrambi desiderabili, dato il contesto, ma da soli insufficienti. Anche perché le responsabilità della maggioranza sono speculari alle reticenze dell'opposizione. Ieri, parlando a margine dello sciopero della Cgil (dello sciopero della Cgil!), il segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, ha chiesto “un'operazione seria di liberalizzazioni”.

    Eppure i suoi emendamenti andavano perlopiù in senso contrario: e comunque il Pd era disponibile a ritirarli in cambio dello stop alla norma sui licenziamenti e i tagli agli enti locali, cioè l'ennesimo indebolimento di una manovra omeopatica in tema di concorrenza e troppo centrata sul prelievo.

    Qualcuno sperava che, dove la virtù liberalizzatrice ha fallito, potesse farcela la necessità. Sarebbe bastato rispettare gli impegni presi con la Bce. Siamo agli sgoccioli: ogni attimo e ogni forza vanno investiti per allargare i polmoni del mercato, o soffocheremo tra tasse e monopoli.