Sincero teatro
Vedi che teatro questa vita nostra, sembra dire Nicla Tarantini fra le lacrime, mentre si scosta i capelli dal bel viso e racconta al pubblico ministero il feuilleton mortificante che sta per essere esibito sui giornali e che terrorizza suo marito Gianpi (“dopo che usciranno questi verbali, sicuramente mia moglie mi lascerà”). Bisognerebbe divertirsi, forse, godersi il set allestito dai giornali fra telefonate e interrogatori, aspettare il big bang dei verbali, ma fa troppa tristezza. Sono rimasti solo loro due, adesso, a guardarsi negli occhi, a decidere se c'è qualcosa da salvare.
Vedi che teatro questa vita nostra, sembra dire Nicla Tarantini fra le lacrime, mentre si scosta i capelli dal bel viso e racconta al pubblico ministero il feuilleton mortificante che sta per essere esibito sui giornali e che terrorizza suo marito Gianpi (“dopo che usciranno questi verbali, sicuramente mia moglie mi lascerà”). Bisognerebbe divertirsi, forse, godersi il set allestito dai giornali fra telefonate e interrogatori, aspettare il big bang dei verbali, ma fa troppa tristezza. Sono rimasti solo loro due, adesso, a guardarsi negli occhi, a decidere se c'è qualcosa da salvare. Si erano innamorati, bei ragazzi di provincia che volevano spaccare il mondo, convinti però che il mondo fosse una cosa strana, veloce, griffata e furba, partita da un romanzo di Piero Chiara e precipitata in un film dei fratelli Vanzina, con le mogli di notaio, la borsa Cartier, il conto dal macellaio da quindicimila euro, le vacanze a Cortina (e al centro il presidente del Consiglio, vera novità letteraria).
Vedi che teatro, “mio marito mi ha riempito di corna”, ma non lo lascio sennò si ammazza. E “certi giorni non sapevo neanche cosa mettere a tavola, da mangiare”. “Sono una donna davvero sfigata”. “Gianpi è stato un deficiente”, “Non potevo occuparmi della casa e delle figlie, perché vivevo un momento terribile”, “a me mia moglie può anche morire di fame, non me ne frega un cazzo, ma le bambine come fanno!” (gentile intercettazione di Tarantini al telefono con Valter Lavitola).
E' una vita vera, con vera disperazione, ma sembra di più una commedia senza alcuna attinenza con la realtà, un dietro le quinte di un programma televisivo del pomeriggio, con i tronisti che litigano e poi baciano le ragazze ma ne baciano anche altre, e dicono che vogliono una storia “vera”, una donna “vera”, ma la frutta che mangiano prima di baciarsi sembra di cartone, e finti sono i divani su cui si sdraiano, con le telecamere dietro gli specchi e le luci abbaglianti che fanno sudare e colare il trucco.
Nicla e Gianpi Tarantini si sono sciolti sotto troppa luce, e adesso resta solo il teatro della loro rabbia, le parole sgangherate, anche la paura di non potere perdonarsi l'uno con l'altro, di restare soli nel mondo reale. I tradimenti continui di Tarantini con le amiche di lei, il tradimento di Nicla con l'amico di lui, Lavitola (“ma l'amore è un'altra cosa”), il migliore amico e peggior nemico che doveva loro insegnare come si sta in quel mondo (“Non dirgli tutti i cazzi, perché quella si fa pigliare dalle crisi isteriche e mi fa una capoccia così”) con baldanzosa disinvoltura, con i conti in Uruguay, con una montagna di balle, come piaceva a loro.
A Nicla però non poteva piacere più, se piangeva sempre, aveva le crisi isteriche, si lasciava sedurre da Lavitola. Vedi che teatro questa vita nostra: lei si era perfino rassegnata a fare l'avvocato, come qualcuna si rassegna a fare la portiera, a lavare le scale, ma guadagnava “soltanto duemila euro al mese”, ha detto al pubblico ministero. Duemila euro, nel mondo dell'irrealtà e della disabitudine alla vita, sono la fame, non avere niente da mettere in tavola, la base per un crepacuore esibito di stampo napoletano ma probabilmente sincero. Loro due sono sinceramente ignari di trovarsi dentro un libro scritto male, e allora: vedi che teatro questa vita nostra.
Il Foglio sportivo - in corpore sano