Push De Botton
Quando, un mese fa, era stato annunciato il nuovo saggio di Alain de Botton sulla “religione senza Dio” avevamo pensato: eccone un altro, convinto che si possa salvare il buono della fede (bellezza, arte, ispirazione, morale, educazione, consolazione) liberandosi dell'ingombrante Padreterno e rispolverando esperimenti farlocchi come la “religione dell'umanità” di comtiana memoria. Ma ora che abbiamo letto “Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti” (Guanda, 284 pagine, 17,50 euro).
Quando, un mese fa, era stato annunciato il nuovo saggio di Alain de Botton sulla “religione senza Dio” avevamo pensato: eccone un altro, convinto che si possa salvare il buono della fede (bellezza, arte, ispirazione, morale, educazione, consolazione) liberandosi dell'ingombrante Padreterno e rispolverando esperimenti farlocchi come la “religione dell'umanità” di comtiana memoria. Ma ora che abbiamo letto “Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti” (Guanda, 284 pagine, 17,50 euro) dobbiamo ricrederci: vuoi vedere che De Botton, zitto zitto, si è convertito e ha trovato un modo un po' acrobatico per raccontarlo? I suoi consigli per “adattare alla vita laica alcune norme e consuetudini religiose” sono in grado, per la loro soave stupidità, di ravvivare anche la fede più spenta, se non addirittura di rilanciare le vocazioni. Andrebbero messi in appendice al catechismo della chiesa cattolica e suggeriti all'arcivescovo Fisichella come testo della nuova evangelizzazione.
La messa è il più efficace invito alla comunità e alla condivisione, scrive De Botton, e allora sarebbe da fessi non copiare un format che funziona: “Tenendo ben presenti i benefici della messa e gli svantaggi dei ristoranti moderni, possiamo immaginare un ristorante ideale futuro, un ristorante Agape, fedele al significato più profondo dell'eucaristia”. Un posto che “dovrebbe avere la porta sempre aperta, un arredamento dal design piacevole e richiedere un modesto contributo per l'accesso”, dove “tutti i presenti dovrebbero sentirsi liberi di avviare una conversazione con chiunque, senza timore di essere rimproverati e allontanati”. Gli avventori troverebbero “sul tavolo un manuale che ricorda vagamente il messale cattolico o la Haggadah ebraica, e stabilisce regole di comportamento durante i pasti”, tempi e argomenti di conversazione intensi e coinvolgenti: che lavoro fai? Cosa rimpiangi? Di che cosa hai paura?
Così come i cattolici venerano i santi patroni, propone ancora De Botton, anche i buoni laici senza fede dovrebbero cercare con cura i propri modelli, e magari piazzarli in forma di piccole icone e statuette lignee su mensole o comodini. Persone “più equilibrate, coraggiose e magnanime di noi – Lincoln o Whitman, Churchill o Stendhal, Warren Buffett o Paul Smith – attraverso le quali ritrovare un legame con le nostre più autentiche, lodevoli potenzialità”. Perché poi, si chiede De Botton, “l'idea di sostituire la religione con la cultura, di vivere secondo gli insegnamenti della letteratura e dell'arte come fanno i credenti secondo gli insegnamenti della fede, continua a sembrarci così strana?”.
“Anna Karenina” e “Madame Bovary”, per dirne una, potrebbero diventare testi obbligatori “per un corso sulla comprensione delle tensioni nel matrimonio”. E dove la mettiamo l'imbattibile oratoria cristiana, i diecimila sermoni di sant'Antonio da Padova o quelli del poeta John Donne, decano della cattedrale di Saint Paul? Anche qui c'è solo da copiare: “Qualunque concetto dal significato profondo diventa ancora più potente davanti a un pubblico di cinquecento persone che dopo ogni frase esclamano all'unisono: ‘Grazie Gesù'. ‘Grazie Cristo'”. E anche “il significato dei saggi di Montaigne apparirebbe di portata molto più ampia se un coro formato da un centinaio di persone sottolineasse a ogni frase la propria approvazione, con trasporto ed energia”. Dopo, tutti gli astanti cadrebbero “in ginocchio col viso rigato di lacrime, pronti a lasciarsi pervadere e trasformare dallo spirito di alcune delle idee più importanti del mondo”. Amen.
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