Un brivido per il Leone d'oro al “Faust” e un altro per la scoperta della "casta dei critici"

Mariarosa Mancuso

Un brivido l'abbiamo avuto dopo il Leone d'oro al “Faust” di Aleksander Sokurov, scoprendo che per una volta non ci toccava la parte del bastian contrario (quel che Luca Sofri bolla, arricciando il sopracciglio, come “anticonformismo fogliante”): il film era piaciuto a tutti. Un altro brivido l'abbiamo avuto stamattina, leggendo che esiste “la casta dei critici” (copyright Pierluigi Battista) e noi ne facciamo parte.

    Un brivido l'abbiamo avuto dopo il Leone d'oro al “Faust” di Aleksander Sokurov, scoprendo che per una volta non ci toccava la parte del bastian contrario (quel che Luca Sofri bolla, arricciando il sopracciglio, come “anticonformismo fogliante”): il film era piaciuto a tutti. Un altro brivido l'abbiamo avuto stamattina, leggendo che esiste “la casta dei critici” (copyright Pierluigi Battista) e noi ne facciamo parte. Quando abbiamo letto che la prima telefonata Sokurov l'ha fatta a Vladimir Putin, ci siamo rassicurati: il nostro piccolo universo non è “fuor di sesto” (copyright William Shakespeare), e non siamo “fuor di sesto” neanche noi.

    “Faust” è un film stupefacente e ricchissimo, che fa da perfetto contraltare a “L'albero della vita” di Terrence Malick, vincitore a Cannes. C'è un Mefistofele chiacchierone sempre in scena: brutto, sgradevole e poco virile (come se non bastasse, il minuscolo attributo gli pende sulla schiena). Tutto risulta sordido, terragno, intriso di umorismo nero. Il patto contiene errori di ortografia e il dottor Faust – uno che scommette la testa con il diavolo e ha i numeri per vincere – li fa notare. I corpi sono deformi, malati, moribondi, sezionati sul tavolo anatomico. Malick cerca la grazia nella natura, inquadrando in controluce i volti, lo stormir di fronde, la bellezza della creazione. Sokurov cerca rifugio nella cultura: Goethe, Thomas Mann, i quadri di Rembrandt, di Dürer, di Hieronymus Bosch, di Vermeer (anche lo smalto color fango di Chanel, che rende i piedi cadaverici). Repubblica spiega che il russo è “una roccia di coerenza artistica e politica”. Eppure tra i grandi dittatori ha messo Lenin al pari di Hitler.

    Giusti i premi agli attori, Michael Fassbender per “Shame” di Steve McQueen e Deanie Yip per “A Simple Life” di Ann Hui. Torniamo bastian contrari sugli altri premi. “Terraferma” di Emanuele Crialese è la retorica sulla Sicilia e sui clandestini fatta film. Il regista italiano da premiare era Gipi con “L'ultimo terrestre”, privo di scugnizzi ricciuti o casalinghe con l'abito a fiorellini. Pieno di belle idee, esportabile senza vergogna.