Alla Germania e all'Europa serve un Krugman a Berlino
Pensiamo l'impensabile: non la fine dell'euro perché a questa ormai puntano in molti; tanto meno al default della Grecia perché al fallimento controllato sta già lavorando il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, e Angela Merkel ieri lo ha di fatto annunciato. No, l'impensabile è che la Germania, scattata come una molla nel 2010, grazie alle esportazioni, lanci un vero e proprio programma di espansione della domanda interna.
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Pensiamo l'impensabile: non la fine dell'euro perché a questa ormai puntano in molti; tanto meno al default della Grecia perché al fallimento controllato sta già lavorando il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, e Angela Merkel ieri lo ha di fatto annunciato. No, l'impensabile è che la Germania, scattata come una molla nel 2010, grazie alle esportazioni, a questo punto lanci un vero e proprio programma di espansione della domanda interna, trasformandosi così nella locomotiva dell'Unione europea. Oggi come oggi l'export resta ancora il motore dell'industria. Basti pensare a Volkswagen che si avvia a diventare numero uno al mondo grazie ai mercati che tirano: l'Asia e il sud America, soprattutto Brasile.
La Germania è ormai diventata una potenza mondiale, non più solo continentale, e ciò acuisce il suo attaccamento alla disciplina finanziaria e alla moneta sana e forte, miglior passaporto per entrare in qualsiasi mercato. Tuttavia la stessa Bundesbank, nel suo ultimo rapporto congiunturale, pur sottolineando che la domanda di “beni di qualità” in tutto il mondo ha favorito il Modell Deutschland, nota che il più è fatto. “La produzione è tornata ai livelli pre crisi nel primo trimestre di quest'anno”, scrive la Buba, nei prossimi mesi è destinata a scendere (e gli ultimi dati statistici confermano la previsione) fino all'1,8 per cento nel 2012, a causa di “una capacità di utilizzazione degli impianti sopra la media e alla fine dell'effetto trascinamento per gli investimenti”. La Banca mette in guardia dalle pressioni sui prezzi che vengono dai salari e da una occupazione che torna a crescere, a fronte di un rallentamento della produttività. Conclusione logica, è ora di cambiare spalla al fucile. Insomma, un po' di Paul Krugman anche a Berlino.
Il governo, prima o poi dovrà cominciare a chiedersi se imprimere una spinta interna alla crescita. Per il sistema produttivo italiano (soprattutto del nord est) fortemente integrato con la macchina tedesca, sarebbe lo stimolo migliore, molto più di qualsiasi incentivo assistenziale dal bilancio pubblico (ammesso che resti ancora un po' di grasso da spalmare). Un kick da domanda è più efficace di trasferimenti monetari (anche fiscali) i quali possono sempre essere accantonati sotto forma di risparmio o per motivazioni precauzionali.
Una scelta espansiva, del resto, è l'unica via d'uscita dalla trappola del debito. La classe politica tedesca è divisa dal dilemma se finanziare ancora i paesi deboli e conservare l'euro. La pressione si sta facendo forte da parte dell'industria (soprattutto i gruppi davvero globali) mentre le banche, imbottite di titoli pubblici, sono per un salvataggio ben temperato come un clavicembalo bachiano. Schäuble lavora sull'ipotesi, sempre più concreta, che Atene non ce la faccia a onorare gli impegni e dovrà svalutare il debito: bisogna mettere in conto una perdita fino al 50 per cento del valore dei titoli, a scapito delle banche creditrici e della Banca centrale europea. A quel punto, la Grecia abbandona l'euro? Il Finanzminister insiste che non è necessario. Per questo vuole usare il fondo di salvataggio (European Financial Stability Facility) dotato di 750 miliardi. Il suo intervento con prestiti ponte ai paesi in difficoltà potrebbe creare un cordone sanitario, evitando che il crac greco provochi una reazione a catena. La seconda ciambella è una iniezione di denaro nelle banche per coprire i buchi di bilancio. Non è escluso nemmeno un blocco temporaneo dei capitali ellenici che non sarebbe incompatibile con i trattati europei.
La Kanzlerin e Schäuble non la pensano allo stesso modo. Entrambi sostengono la linea del rigore, ma l'uno crede che sia la premessa per una maggiore integrazione, Eurobond compresi, l'altra è convinta che se tutti mettono in ordine le loro stanze la casa europea potrà andare avanti senza pericolose innovazioni.
Le due linee si rispecchiano anche nella Bce. Il nuovo membro Jörg Asmussen è un fido di Schäuble, mentre il capo della Bundesbank, Jens Weidmann, era il consigliere della Merkel. Una colomba e un falco, dunque. Il loro duello aereo condizionerà senza dubbio la prima fase della gestione Draghi. Secondo Krugman il peccato originale della Bce è proprio la sua ossessione sul controllo della quantità di moneta per evitare inflazione. A differenza della Fed, che bada anche al pieno impiego, e della Banca d'Inghilterra, la cui autonomia dal governo non arriva fino al punto da non stampare sterline per comprare buoni del Tesoro.
Oggi che non c'è domanda di moneta per attività reali, come ha confermato Jean-Claude Trichet, ha ancora senso il dogma germanico? Krugman risponde di no. Il suo approccio è molto americano e molto keynesiano. Il paradigma europeo-continentale resta influenzato da Hayek e dalla scuola austriaca. La Bce non cambierà natura, ma il pragmatismo di Draghi si può incontrare con il buon senso di Schäuble. Ancor più se maturasse una svolta sviluppista a Berlino.
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