Lepore, il procuratore capo diverso (troppo?) dalla sua procura

Marianna Rizzini

Si vedeva una settimana sì e una no – finalmente – nell'amata casa in costiera, il procuratore capo di Napoli Giovandomenico Lepore, pensione a dicembre e pasticciaccio Lavitola-Tarantini che lo tiene al chiodo. Pregustava l'immersione negli adorati teatri napoletani, Giovandomenico Lepore detto Mimì, melomane come la moglie Gloria, decenni di matrimonio solido e un figlio architetto da andare a trovare a Milano, in attesa della prima della Scala. Si immaginava come uno che mette in ordine scatoloni e pensieri in prossimità di una gentile dissolvenza di carriera, Lepore.

    Si vedeva una settimana sì e una no – finalmente – nell'amata casa in costiera, il procuratore capo di Napoli Giovandomenico Lepore, pensione a dicembre e pasticciaccio Lavitola-Tarantini che lo tiene al chiodo. Pregustava l'immersione negli adorati teatri napoletani, Giovandomenico Lepore detto Mimì, melomane come la moglie Gloria, decenni di matrimonio solido e un figlio architetto da andare a trovare a Milano, in attesa della prima della Scala. Si immaginava come uno che mette in ordine scatoloni e pensieri in prossimità di una gentile dissolvenza di carriera, Lepore, e invece guarda che turbinio di polemiche sulla presunta estorsione al premier e sul premier “parte lesa” da interrogare (possibilmente senza accompagnamento coatto).

    Buttato alla ribalta dalla sottile
    differenza giuridico-lessicale tra “memoriale” e “memoria difensiva” (del premier), Lepore, napoletano cui piace appianare, tranquillizzare, smussare, da otto anni dirige una procura dove la (sua) voglia di pacatezza cozza contro la furia moralizzatrice un tanto al chilo di alcuni vice. “I miei ragazzi”, li chiama nei momenti buoni (e i “ragazzi” sono per esempio Henry John Woodcock, il pm delle vippopoli approdate a poco o niente, e Vincenzo Piscitelli, il pm della P4). E però nei momenti cattivi che fa, Lepore? “Li lascia a briglia sciolta ma all'ultimo momento frenerà”, dice un suo estimatore. “Si farà trascinare da loro e basta”, dice un non estimatore. Dove sia la verità vera non si sa, eppure Lepore, giudice Unicost che da Napoli ha seguito Calciopoli, il caso Mastella, il caso Cosentino e vari casi “rifiuti”, nel 2009 ha catalizzato le critiche di alcuni suoi pm per la sua presenza all'inaugurazione del termovalorizzatore di Acerra.

    Il fatto è che Lepore non ha in mente la pulizia etica coatta (quella sì) del paese, e anzi è ossessionato dalle “fughe di notizie” in epoca di intercettazioni. Lo dice oggi e l'aveva detto anche l'inverno scorso al Tg1 di Augusto Minzolini, facendo indispettire i fan della magistratura di stampo “intercetto e diffondo”. E se a essere in qualche modo tirata in ballo dal soffio dello spifferamento è proprio la sua procura, Lepore si sforza di dipingerla come un paradiso di compattezza e serenità, mostrando altresì un certo fastidio per l'equazione Napoli 2011-Milano 1992 (“il paragone con Tangentopoli non calza”, ha detto ai cronisti con solenne “z” napoletana). Lontano che più lontano non si può dalla vis schiacciasassi di Ilda Boccassini, Lepore si aggira per Napoli in motoretta e camicia di buon taglio leggermente sbottonata sul collo, distribuendo esortazioni al “dialogo”, vuoi per convinzione vuoi per quieto vivere, e tenendosi distante sia dalle cupezze militanti alla Antonio Ingroia sia dalle indignazioni truculente alla Luigi De Magistris. C'è poi chi ricorda un Lepore riflessivo, seduto sotto una felce nel suo ufficio, intento a dichiarare a Canale9 che i magistrati “devono tornare a fare i magistrati” per recuperare “credibilità” visti i vari “errori” commessi.

    Atteso dai NoB. più manettari
    come il liberatore capace di trasformare il premier “parte lesa” in premier alla sbarra, Lepore si è affrettato a dire che no, non succederà, quasi sicuramente non succederà. E quando la tenaglia mediatica antilobbista, mesi fa, si è per un attimo posizionata su Gianni Letta, Lepore si è ripresentato in tv (“gli piace, la tv”, dice un amico scherzando sulla sua “vanità veniale”) a dire che “no”, Letta non era indagato e non lo sarebbe stato. Lepore, insomma, messo dal Gruppo Espresso nel calderone dei pm che danno “l'ultimatum” al Cav., da giorni si sforza di neutralizzare le punte (“è civile”, dice un fan, “è disorientato”, dice un critico): siamo disponibili, si troverà un modo, dice Lepore, troveremo la data, non siamo fiscali (e intanto però dalla sua procura l'idea dell'accompagnamento coatto non s'allontana più di tanto). Lepore l'aveva sognata anzitempo, la pensione che ora si fa rifugio dalla tempesta, e però quella procura dove due diverse idee di azione penale facevano a botte lo attirava. Motivo per cui oggi un garantista forse troppo fiducioso dice: “Lepore ci stupirà”.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.