Tornatene a casa, Erdogan

Carlo Panella

Il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, ha cercato lo scontro frontale con i Fratelli musulmani egiziani sul tema centrale dell'assetto laico dello stato in Egitto. Nel discorso ufficiale nella sede della Lega araba, il premier turco è stato netto nella condanna di ogni processo di islamizzazione dello stato: “Io sono islamico, non laico, ma sono primo ministro di uno stato laico”.

    Il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, ha cercato lo scontro frontale con i Fratelli musulmani egiziani sul tema centrale dell'assetto laico dello stato in Egitto. Nel discorso ufficiale nella sede della Lega araba, il premier turco è stato netto nella condanna di ogni processo di islamizzazione dello stato: “Io sono islamico, non laico, ma sono primo ministro di uno stato laico e dico: spero che ci sarà uno stato secolare in Egitto; non bisogna diffidare della laicità; l'Egitto crescerà nella democrazia e chi sarà chiamato a elaborare la Costituzione deve capire che deve rispettare tutte le religioni e tenersi alla stessa distanza dagli adepti di tutte le religioni, perché tutta la società possa vivere in sicurezza”. Una frustata al principio fondante dell'islamismo e l'indicazione di un percorso opposto a quello intrapreso dall'Egitto nei suoi primi mesi di libertà.

    Immediata e sferzante è stata la replica
    dei Fratelli musulmani, gli unici che si sono dissociati dalle entusiastiche accoglienze ricevute dal premier turco al Cairo. Mahmoud Ghuzlan, loro portavoce, e Issam Aryane, vicepresidente di Giustizia e Libertà, il partito della Fratellanza, hanno polemizzato con Erdogan: “Non ha alcun diritto di interferire negli affari interni dell'Egitto”. Il premier turco ha portato al Cairo il segno concreto della potenza di Ankara con la promessa di sostanziosi aiuti economici, ma soprattutto con un progetto di leadership sul mondo arabo nel segno di una rottura con l'islam politico, anche quello moderato. Il laicismo difeso da Erdogan è infatti il punto discriminante tra il progetto del suo Akp e tutte le altre correnti islamiche. E' anche il suo punto di forza, che ha permesso all'Akp di attirare il consenso dei settori produttivi più moderni della Turchia. Con la difesa della laicità dello stato pronunciata a un passo dall'Università di al Azhar – che è il simbolo della condanna della laicità – Erdogan ha dimostrato ancora una volta quanto sia complesso e articolato il suo piano.

    Il premier turco che oggi si propone
    come capo del fronte di contrasto con Israele sulla questione palestinese (ma senza mai metterne in discussione la legittimità come stato) è lo stesso che nell'aprile del 2003 inviò la flotta turca a difendere le coste di Israele dal possibile lancio di missili di Saddam Hussein; è lo stesso che nel 2005 ricevette il premio dalla lobby ebraica americana Anti Defamation League pronunciando un vibrante discorso contro l'antisemitismo e di condanna della shoah; e lo stesso che nel 2006 firmò un contratto per fornire a Israele 50 milioni di tonnellate di acqua e innumerevoli contratti (oggi sospesi) per forniture militari da Gerusalemme. Il percorso di Erdogan sembra piuttosto contraddittorio, e se il premier turco non è antisemita, certo condivide il pregiudizio antigiudaico di tanti statisti europei di matrice cristiana o laica (Charles de Gaulle trattò Israele nel 1967 con ben maggiore virulenza politica e verbale). In realtà il percorso del premier turco è determinato dalla spregiudicata (e cinica) volontà di capitalizzare sulla fine dei regimi arabi e sull'esaurimento della fase della politica israeliana dominata dalla capacità di manovra di Ariel Sharon e dal consolidarsi, con il governo di Bibi Natanyahu, di una fase di stasi di iniziativa politica di Gerusalemme. Erdogan cerca di approfittare degli errori di Israele (come il blitz sulla Mavi Marmara), dello stallo nei negoziati con il leader dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, e delle divisioni all'interno del governo israeliano: Netanyahu era disposto a firmare delle “quasi scuse” ad Ankara per chiudere la crisi della Mavi Marmara, ma poi è stato bloccato dal suo ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman. Erdogan punta su uno sviluppo nazionalista e non islamista della leadership palestinese, sino ad arrivare al punto di flirtare con Hamas. Il gioco è pericoloso e potrebbe finire con il dare spazio all'estremismo, ma potrebbe essere vincente.