Il dandy e lo snob

Umberto Silva

Sconfitta dal Cavaliere in una miriade di processi, la magistratura le pensa tutte. L'ultima trovata è una variante del famigerato Kimbaku, il gioco erotico derivato dallo shibari, l'arte di legare venuta in questi giorni a una tragica ribalta. Si cerca di prendere il Cav. per il collo grazie ai soldi che amici e conoscenti gli hanno scucito: se il Cav. li accusa di estorsione, quelli lo strozzano; se li scagiona lo strozza il giudice. Ma c'è una terza ipotesi. Davvero Tarantini e compagni gli hanno estorto?

    Sconfitta dal Cavaliere in una miriade di processi, la magistratura le pensa tutte. L'ultima trovata è una variante del famigerato Kimbaku, il gioco erotico derivato dallo shibari, l'arte di legare venuta in questi giorni a una tragica ribalta. Si cerca di prendere il Cav. per il collo grazie ai soldi che amici e conoscenti gli hanno scucito: se il Cav. li accusa di estorsione, quelli lo strozzano; se li scagiona lo strozza il giudice. Ma c'è una terza ipotesi. Davvero Tarantini e compagni gli hanno estorto? Non esageriamo; parliamo piuttosto di richieste condite con lacrime e favoretti, di qualche furbata un po' losca che al Cavaliere non può che far piacere, dandy com'è.

    Se lo snob non brilla di luce propria e deve rubarla a qualcuno d'importante o famoso – facendosi fotografare con Gianni Agnelli, anche morto, o con un premio Nobel o con Silvio Berlusconi in manette, come aspirano i pm –, ovunque vada il dandy porta la propria luce. Ama la tenebra, le locande e i bordelli dove divertirsi in compagnia degli sporchi e cattivi, i più interessanti come ben sapeva il dandy fiorentino che cinque secoli orsono ci giocava ai dadi. Michele Serra ha scritto che le puttane e i pappa di Berlusconi non sono quelli di Dickens; vero, ma nemmeno i birbanti di Dickens sono quelli del tempo in cui lo scrittore viveva. Quel che i pappa e le puttane sono non lo sanno neppure loro, indaffarati in ben altro. Tocca al dandy – il vero dandy è l'artista – trasfigurarli con un'occhiata, rivelarli a se stessi con un sorriso, scaraventarli nel teatro del mondo lasciandoli alle prese con un portafogli lasciato apposta incustodito… Prima o poi le intercettazioni del Cavaliere verranno raccolte in un grande libro pari agli “Ultimi giorni dell'umanità” di Karl Kraus, e mi piacerebbe scriverne la prefazione. Anch'io sono un dandy e mi guardo bene dal frequentare gli eletti, preferisco scrivere pagine e pagine sulle gesta del Cavaliere, eccitato dai rimbrotti che mi piovono da ogni parte (zia Erminia, il cugino chiamato “l'Impettito”). I pressanti inviti a non sputtanarmi non tengono conto che niente è per un dandy più glorioso dello sputtanarsi.

    A proposito di scucire – nell'assoluto rispetto della legge, ovviamente – l'unica volta che i giudici sono riusciti a sconfiggere il Cavaliere è stato a proposito del Lodo Mondadori, cinquecentosessanta milioni sull'unghia. Altro che Tarantini, allora sì il Cav. parlò di estorsione. Vale la pena ritornarci sopra perché lì veramente i sommi inquisitori Institor e Sprenger, autori del “Malleus maleficarum”, si sono fregati le mani. Cosa è accaduto, infatti, all'inizio di questa nostra interminabile torrida estate? Che un tribunale civile dichiarasse il Cavaliere colpevole di corruzione, un reato penale, penalissimo. Tale lo bollò “incidenter tantum e ai soli fini civilistici”, al fine di cuccargli la grana; ma intanto che sberla, di quelle che marchiano a fuoco; che incidentino, che tantum, che civilismo! Il tribunale civile si affrettò a precisare di trarre legittimazione per l'infamante marchio dalla formuletta del tribunale penale che dieci anni prima, prescrivendo il reato, aveva sentenziato: “Non è emersa l'evidente innocenza dell'imputato”.

    Sento la voce di Institor che protesta: “Ma quella formula l'ho inventata io!”. Stupisce invece che Franco Cordero, grande esperto d'Inquisizione e dintorni, non si sia pronunciato. Che deve fare il Cavaliere per dimostrare di essere “evidentemente innocente”? Procurarsi le stimmate, tagliarsi i testicoli? Ma innanzitutto: perché l'innocenza deve essere “evidente”? Non basta una semplice innocenza, un'innocenza tranquilla, magari un po' riservata? No, forse perché l'etimo di “evidenza” sta in quel “video” di cui il Cavaliere è magna pars, per il Cavaliere non basta: l'uomo è sopraesposto, la sua natura è caparbiamente esibizionista e la sua colpevolezza reclamata a gran voce sicché, per sfatarla, al Cavaliere non è sufficiente un'innocenza qualsiasi, ma come Venere dalle acque deve emergere in una “evidente innocenza”.

    A meno che la misteriosa formula “non è emersa l'evidente innocenza dell'imputato”, non sia da intendere in modo assai più benevolo: i giudici hanno voluto dire che “l'innocenza dell'imputato è evidente, solo che non è emersa”. Lo si può punire per questa incapacità natatoria? Certo che no, gli si può soltanto suggerire di cambiare avvocato. Sono pronto!