Da Arbasino alla “guerra” di Capalbio, involuzione del premio letterario

Marianna Rizzini

Il premio Boccaccio alla fine Alberto Arbasino se l'è preso, ma le sue parole restano: “Lunghe cene e lunghe colazioni, omaggi a tutte le istituzioni, ritardi: mi sono stufato e me ne sono andato”. Resta che Alberto Arbasino dal premio Boccaccio se n'è andato (con un vaffa alla presentatrice insistente e tanti saluti alle insostenibili “fanfaluche”, per dirla con Boccaccio stesso). Ed è il segno (finale?) di un'involuzione. Perché prima, a sentire quei nomi (Strega, Campiello, Viareggio, Bagutta), ci si immaginava un rito, un omaggio a un passato di cenacoli, ninfei, versilie e salotti.

    Il premio Boccaccio alla fine Alberto Arbasino se l'è preso, ma le sue parole restano: “Lunghe cene e lunghe colazioni, omaggi a tutte le istituzioni, ritardi: mi sono stufato e me ne sono andato”. Resta che Alberto Arbasino dal premio Boccaccio se n'è andato (con un vaffa alla presentatrice insistente e tanti saluti alle insostenibili “fanfaluche”, per dirla con Boccaccio stesso). Ed è il segno (finale?) di un'involuzione. Perché prima, a sentire quei nomi (Strega, Campiello, Viareggio, Bagutta), ci si immaginava un rito, un omaggio a un passato di cenacoli, ninfei, versilie e salotti letterari non contaminati da buffet e zuffe correntizie. Spuntava come niente, da quel passato, la leggenda di Orio Vergani in trattoria, Italo Calvino contestatore e Primo Levi sul palco. Poi è arrivato il fratello bancarellaro del premio, il festival: letteratura come fosse sagra della porchetta. Ci vado, c'è lo scrittore, assaggio il libro e poi magari ceno nel ristorante tipico. O forse i premi letterari sono troppi (circa milleottocento secondo il dato di Repubblica, che pure del libro-evento si è fatta spesso aedo).

    Certo non può essere tutta colpa di Gianni Aringoli, l'arruffato patron del premio Capalbio che sognava invano l'Opa sul malandato premio Grinzane, se l'oggi non somiglia per niente ai giorni in cui il premio letterario faceva genere letterario a sé. Fatto sta che attorno al premio Capalbio è tutta l'estate che amabilmente si litiga. Non che altrove si stia meglio: al premio Strega il pubblico si è infuriato con un cronista che aveva dato Edoardo Nesi vincitore prima della proclamazione, e al premio Campiello, dopo un anno passato a dimenticare Bruno Vespa che lodava la mise di Silvia Avallone, gli industriali veneti hanno mugugnato contro la vittoria targata Sellerio – alcuni hanno chiesto più rappresentatività nelle giurie (cencellizzare anche la presenza del nord est all'interno dei romanzi selezionati?). Neppure a Viareggio si ride, dopo aver udito la presidentessa Rosanna Bettarini annunciare la rottura con il comune. Ma a Capalbio il libro è ancora più libro e la lite sui libri ancora più lite. Passi per il sindaco Luigi Bellumori che rimane senza sedia la sera del premio e sbotta (che se lo facciano nelle loro ville, pare abbia detto a un amico). Passi pure per la controffensiva di Rocco Cangelosi, consigliere diplomatico di Giorgio Napolitano che ha “interrotto” la collaborazione con l'amministrazione comunale, tanto più che Bellumori non s'era visto alla serata per l'Unità d'Italia.

    Ma ciò che a Capalbio quest'anno non si poteva digerire, narra un habitué, era la tensione silenziosa tra due fronti librari contrapposti. Da una parte, dunque, la persistente presa di Aringoli sul premio Capalbio (e sulla rassegna “Uno scrittore, un'estate”). Dall'altra la più altisonante (nei nomi) rassegna “Capalbio Libri”, ideata e diretta con successo di pubblico da Andrea Zagami (un nome su tutti: Walter Veltroni). Troppe concessioni al mondo, troppa musica, troppa grancassa, dicevano i puristi di fronte alla comparsa nel cartellone di Zagami di un libro firmato “Martina Colombari”, e per fortuna l'ex modella si mostrava più rispettosa dei costumi locali del presidente della regione Lazio Renata Polverini, giunta allo stabilimento balneare Ultima Spiaggia con l'idea gradassa di arrivare in macchina fin dove tutti vanno a piedi, e subito frustrata in quell'inaudita intenzione da un parcheggiatore duro e puro (con gran soddisfazione di Giovanna Nuvoletti). E insomma la rassegna di Zagami, tra un Pier Luigi Vigna e un Giancarlo Leone, quest'anno ha fatto molti proseliti: pare infatti che anche i più potenti sans pouvoir capalbiesi (da Fabiano Fabiani a Claudio Petruccioli), solitamente aringoliani, abbiano cambiato fronte nel corso dell'estate. Unica eccezione alla diaspora anti Aringoli, il filosofo Giacomo Marramao (il quale peraltro, molto democraticamente, compariva alle presentazioni dei libri dell'una come dell'altra rassegna).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.