“L'Onu istiga contro Israele”

Giulio Meotti

“Un progetto totalitario per criminalizzare Israele e fare degli ebrei i più grandi violatori del mondo”. Così Yossi Klein Halevi, figura di spicco della classe intellettuale israeliana, politicamente un “centrista”, politologo dello Shalom Hartman Institute di Gerusalemme, editorialista di Wall Street Journal, New York Times e New Republic, definisce la richiesta palestinese di indipendenza che verrà presentata questa settimana al Palazzo di Vetro.

    Un progetto totalitario per criminalizzare Israele e fare degli ebrei i più grandi violatori del mondo”. Così Yossi Klein Halevi, figura di spicco della classe intellettuale israeliana, politicamente un “centrista”, politologo dello Shalom Hartman Institute di Gerusalemme, editorialista di Wall Street Journal, New York Times e New Republic, definisce la richiesta palestinese di indipendenza che verrà presentata questa settimana al Palazzo di Vetro.

    “Il rischio per Israele con il voto all'Onu è quello di una internazionalizzazione del conflitto, che fu il sogno di Yasser Arafat e che è da sempre l'incubo di Israele”, spiega Klein Halevi al Foglio. “Con questa iniziativa si vogliono distruggere i negoziati fra Israele e palestinesi, si vuole fare della Palestina una questione internazionale e si intende creare una maggioranza anti israeliana all'Onu. Poi si vuole incoraggiare il boicottaggio d'Israele in occidente, trasformando lo stato ebraico in entità illegale. Si vogliono ingigantire le aspettative nazionali dei palestinesi e porre fine alla quiete degli ultimi anni, dovuta alla crescita economica della Cisgiordania. Ma, soprattutto, si vuole rendere irrilevante la sicurezza d'Israele. La comunità internazionale all'Onu sta dicendo che è più importante creare lo stato arabo numero 23 e lo stato islamico numero 58 che garantire la sicurezza dell'unico stato ebraico”.

    La scorsa settimana la missione diplomatica dell'Olp a Washington ha reso noto che il futuro stato palestinese deve essere “senza ebrei”. Elliott Abrams, ex consigliere per la Sicurezza nazionale, lo ha definito “il primo stato ‘Judenrein' (senza ebrei, ndr) dai tempi di Hitler”.

    Inoltre la scorsa settimana il capo negoziatore palestinese, Saeb Erekat, ha detto che l'Anp non cederà neppure sul “diritto al ritorno”, il che spiega perché si rifiuti di riconoscere Israele come stato sovrano del popolo ebraico. “I palestinesi hanno detto chiaramente che non vogliono ebrei nel loro stato, al massimo si terranno degli ebrei antisionisti ultraortodossi come cartolina, per dire ‘siamo contro i sionisti, non gli ebrei'”, ci dice Klein Halevi. “Il progetto palestinese prevede la rimozione degli ebrei dalla terra. Per gli israeliani la domanda cruciale è quale sia il fine del movimento nazionale palestinese. Creare uno stato che viva in pace con il vicino israeliano? Oppure uno stato in Cisgiordania e Gaza che poi porti al rovesciamento ultimo dello stato ebraico, magari con mezzi demografici come i profughi? La risposta è la seconda. La mia sensazione è che se il movimento palestinese emerge da questo voto con una unanimità pressoché virtuale potrebbe interpretarlo come il permesso per una Intifada contro Israele. Gli israeliani come me vedono lo stato palestinese in termini contraddittori: una necessità esistenziale per preservare uno stato ebraico democratico e una minaccia esistenziale, con i missili su Tel Aviv. La domanda è come creare questo stato senza porre in pericolo Israele”.

    Veniamo alla politica estera americana.
    Gli americani stanno facendo un ultimo tentativo per convincere i palestinesi a fermare il loro piano alle Nazioni Unite. “Obama ha una grande responsabilità su quanto accade all'Onu, non solo per la sua naïveté, ma perché Obama ha eccitato i palestinesi nelle aspettative, ha ignorato Hamas e l'unità di Gerusalemme, e oggi i palestinesi sono furiosi con lui. Obama è un misto di debolezza e irresponsabilità”. Il voto all'Onu, dice Klein Halevi, è parte della convulsione che attraversa il medio oriente. “Esiste una mentalità dominante per cui il mondo arabo-islamico non è mai giudicato responsabile, così adesso si ignora il caos nel medio oriente e si preferisce incolpare Israele. La Turchia è in un processo di radicalizzazione interna, vuole sostituire Israele con l'Iran come partner per costruire un fronte antiamericano in medio oriente. La Turchia era la speranza dell'islam, oggi ne è uno dei maggiori problemi. Sull'Egitto a rendermi furioso non è tanto l'assalto arabo all'ambasciata israeliana, ma il fatto che i militari al potere abbiano tradito Israele rifiutando la loro telefonata nel momento del bisogno. Per centinaia di anni le ambasciate sono state luoghi sicuri, oggi non più. Quando è iniziata la ‘primavera araba' Israele fu l'unico a dire che era come Teheran nel 1979 e anche io fui critico di quella affermazione. Oggi non più. Trent'anni fa sostenni gli accordi con l'Egitto e dissi che era giusto ritirarsi dal Sinai. Quel trattato ci ha dato trentacinque anni di pace. Ma temo sia morto”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.