Poteri forti contro
Ora anche il Corriere sferza gli industriali e la loro “patrimoniale”
Sorpresa: il quotidiano della borghesia italiana critica la Confindustria. Sì, proprio così: l'austero Corriere della Sera, posseduto dai principali esponenti del capitalismo italiano che si ritrovano ai vertici della confederazione degli industriali stigmatizza la medesima confederazione. Non solo: il quotidiano della Rizzoli accusa l'associazione presieduta da Emma Marcegaglia di ammiccare a una patrimoniale per evitare, magari, riforme strutturali. I fatti. Sulla prima pagina del Corriere di ieri, gli economisti Francesco Giavazzi e Alberto Alesina ribadiscono che il problema dell'Italia è la crescita asfittica.
Sorpresa: il quotidiano della borghesia italiana critica la Confindustria. Sì, proprio così: l'austero Corriere della Sera, posseduto dai principali esponenti del capitalismo italiano che si ritrovano ai vertici della confederazione degli industriali stigmatizza la medesima confederazione. Non solo: il quotidiano della Rizzoli accusa l'associazione presieduta da Emma Marcegaglia di ammiccare a una patrimoniale per evitare, magari, riforme strutturali.
I fatti. Sulla prima pagina del Corriere di ieri, gli economisti Francesco Giavazzi e Alberto Alesina ribadiscono che il problema dell'Italia è la crescita asfittica e aggiungono un allarme: che si usi la facile via di un aumento delle tasse per ridurre il debito pubblico. I due editorialisti aggiungono: “Molti oggi auspicano un'altra tassa, la patrimoniale: sarebbe, nella migliore delle ipotesi, un'imposta inutile, nella peggiore fatale”. E' inutile ridurre il debito con una “botta secca” se non cambia il ritmo di crescita dell'Italia. E' fatale una patrimoniale per la crescita perché diffonderebbe la falsa impressione che le riforme non sono poi tanto urgenti. “E' proprio ciò che spera – concludono Giavazzi e Alesina – chi le riforme non le vuole perché metterebbero a rischio i propri piccoli e grandi privilegi”. Infine la domanda (retorica?): “E' questo il motivo per cui anche la Confindustria sta convertendosi alla patrimoniale?”. Alla domanda doveva rispondere, su invito del Corriere, il capo economista di Confindustria, Luca Paolazzi, in un'intervista (ma l'intervista è stata annullata). D'altronde proprio nel rapporto curato dal centro studi diretto da Paolazzi, presentato giovedì scorso, si indicava esplicitamente l'ipotesi di una patrimoniale sugli immobili (reintroducendo ad esempio l'Ici sulla prima casa) in un ridisegno che prevedeva anche la riduzione del fisco su lavoro e imprese.
Ma quali sono le riforme su cui Confindustria ha la voce flebile? Risponde Giavazzi al Foglio: “Tagli alla spesa pubblica, liberalizzazioni, privatizzazioni. D'altronde è fisiologico. Di Confindustria fanno parte gli ex monopolisti dell'energia, dei trasporti, delle autostrade”. Giavazzi paventa che gli industriali ritengano ineluttabile una patrimoniale.
Una prospettiva considerata nefasta anche da Ferruccio de Bortoli, direttore del quotidiano di Via Solferino, criticato per questo anche da uno dei principali giornalisti-commentatori del Corriere come Massimo Mucchetti. A replicare indirettamente all'editoriale di ieri del Corriere è stata la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: “Siamo assolutamente contrari a una patrimoniale spot, come si parla, per abbattere il debito dal 120 al 90, al 100 per cento. Perché questo sarebbe una specie di rubinetto in mano ai politici: e se poi, invece, non facciamo riduzione di spesa pubblica in modo costante rischiamo di abbattere il debito per un po' e poi il debito risale”. “Altro discorso – ha detto Marcegaglia – è nell'ambito di una riforma fiscale complessiva che abbia l'obiettivo di abbassare le tasse, ossia l'Irap e l'Irpef su imprese e lavoratori; siamo anche disponibili a ragionare per un aumento dell'Iva e a mettere anche una piccola tassa sui patrimoni complessivi”. Per questo il vertice della confederazione ha proposto al governo di inserire nelle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche anche lo stato patrimoniale: se con le pensioni e altri provvedimenti – ragiona con il Foglio un esponente del vertice confindustriale – si toccano i ceti medi e bassi, è giusto da parte dei più abbienti dare la disponibilità a un aggravio fiscale sui patrimoni. Ma una “patrimoniale una tantum per abbattere il debito non servirebbe a niente – ha aggiunto Marcegaglia – anzi sarebbe controproducente e ridurrebbe ulteriormente la fiducia dei cittadini e degli investitori nei confronti del nostro paese”.
Per recuperare la credibilità che l'Italia sta perdendo – non solo sui mercati, ha chiosato Marcegaglia – “servono subito riforme, quelle da fare sono chiarissime: pensioni, privatizzazioni e liberalizzazioni, fisco”. E se non si realizzano riforme strutturali non è responsabilità degli industriali, bensì del governo: “Le riforme non si fanno perché non c'è il coraggio di fare cose impopolari, c'è una certa distrazione”.
L'editoriale di Giavazzi e Alesina è così declinato dall'Istituto Bruno Leoni, che ieri ha presentato l'annuale “Indice delle liberalizzazioni”: per crescere bisogna aprire i mercati alla concorrenza invece di tassare i patrimoni. Il rapporto curato da Carlo Stagnaro analizza 16 settori, confrontando il livello raggiunto dall'Italia rispetto al più liberalizzato paese europeo. Su 16 settori, solo sette passano la soglia del 50 per cento. I comparti con le maggiori barriere all'ingresso sono i servizi idrici, le infrastrutture autostradali, il trasporto ferroviario, il trasporto pubblico locale, i servizi postali e le telecomunicazioni.
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