Ma quanto inquina l'energia solare?

Maurizio Stefanini

La sindrome Nimby colpisce anche i pannelli solari. L'intervento della polizia non ha impedito una rivolta popolare contro una fabbrica cinese che li produce, accusata di inquinare in modo gravissimo. “Not in my backyard”: è il famoso slogan in cui incappano infrastrutture in quantità, dalla Tav alle centrali nucleari, che riassume il rifiuto categorico per tutto ciò che di inquinante e fastidioso possa avvenire nel “proprio cortile”, ma non delle utilità ricavate da quelle infrastrutture: basta che sia nel cortile di qualcun altro.

    La sindrome Nimby colpisce anche i pannelli solari. L'intervento della polizia non ha impedito una rivolta popolare contro una fabbrica cinese che li produce, accusata di inquinare in modo gravissimo. “Not in my backyard” (non nel mio giardino) è il famoso slogan in cui incappano infrastrutture in quantità, dalla Tav alle centrali nucleari, che riassume il rifiuto categorico per tutto ciò che di inquinante e fastidioso possa avvenire nel “proprio cortile”, ma non delle utilità ricavate da quelle stesse infrastrutture.

    E' il caso delle centrali nucleari a cui l'Italia ha detto "no" con due referendum a distanza di quasi un quarto di secolo, salvo poi importare l'energia nucleare prodotta in Francia. E adesso tocca al fotovoltaico, che in effetti non emette inquinanti direttamente, a parte un po' di radiazioni e campi elettromagnetici (e per evitarli del tutto bisognerebbe abolire non solo i telefonini e i tralicci, ma addirittura il tufo). Il problema è che, come tanti altri manufatti di oggi, anche i pannelli solari stanno diventano sempre di più un export della Cina, che dal 2009 è diventata il primo produttore mondiale. Al momento, la prima, la quarta, la quinta e la settima società produttrici di pannelli solari al mondo sono cinesi. La sesta è una società canadese creata da un cinese.

    La Cina con la sua manodopera a buon mercato assicura i prezzi bassi che permettono ai pannelli solari di essere convenienti. Purtroppo, non assicura altrettanta sicurezza per le tecniche di fabbricazione che possono essere altamente inquinanti. Ed è appunto il dubbio che è venuto agli abitanti di Hainang: una città nello Zhejiang, dove la Zhejiang Jinko Solar Company ha aperto uno stabilimento. Motivo degli interrogativi: quelle dodici ciminiere che buttano via fumi a tutto spiano accanto a una scuola e a un asilo. Il dubbio è divenuto poi certezza quando si sono accorti che oltretutto la fabbrica buttava gli scarichi in un fiume dove i pesci stavano morendo in massa. Dopo un passaparola cinquecento cittadini inferociti hanno dato l'assalto alla fabbrica, sfasciando veicoli e saccheggiando gli uffici. La polizia è intervenuta, e ne è uscita con quattro vetture distrutte (e trenta arresti e un centinaio di  "rieducazioni"). Dopo tre giorni di proteste la fabbrica è stata chiusa.

    In effetti, le analisi dell'acqua hanno mostrato alti livelli di fluoruri. “Abbiamo capito che la cosa responsabile da fare era chiudere la fabbrica prima di prendere misure correttive”, ha ammesso il portavoce della società Thomas Jing, anche se ha parlato di inquinamento accidentale. A suo parere le sostanze chimiche usate dalla fabbrica erano state improvvisamente messe in un'area aperta invece che in un deposito chiuso, e un violento temporale d'agosto le aveva sparse in giro. Ma il governo della città sospetta che ci sia anche dell'altro. Comunque, l'internauta che ha denunciato i casi di leucemia e cancro è stato arrestato. Tutta la produzione era rivolta all'estero: a quegli occidentali che si mettono i pannelli solari in casa convinti di contribuire a ridurre l'inquinamento del pianeta.