Boy's club
La reazione giusta dovrebbe essere: indignazione. Non questa meschina Schadenfreude. Ma scoprire che tutto il mondo è uno spogliatoio di calcetto, e la Casa Bianca lo è anche di più, ha lati interessanti. Barack Obama era, ancora prima del presidente perfetto, l'uomo perfetto. Un uomo che, se si trovasse, come in “Carnage” di Roman Polanski, in mezzo a una discussione fra genitori apparentemente civili, non direbbe mai di avere un modello di virilità alla John Wayne, non mortificherebbe la moglie sfottendone gli slanci umanitari.
La reazione giusta dovrebbe essere: indignazione. Non questa meschina Schadenfreude. Ma scoprire che tutto il mondo è uno spogliatoio di calcetto, e la Casa Bianca lo è anche di più, ha lati interessanti. Barack Obama era, ancora prima del presidente perfetto, l'uomo perfetto. Un uomo che, se si trovasse, come in “Carnage” di Roman Polanski, in mezzo a una discussione fra genitori apparentemente civili, non direbbe mai di avere un modello di virilità alla John Wayne, non mortificherebbe la moglie sfottendone gli slanci umanitari, non si accenderebbe un sigaro in casa di un bambino asmatico. Cresciuto in mezzo alle donne, riconoscente alla nonna, ammiratore della madre, amorevole con la moglie, grandioso con le figlie, Barack Obama guida però uno staff di donne “frustrate”, convinte di essere emarginate dai colleghi uomini, escluse dalle riunioni importanti o lasciate, nonostante l'autorevolezza, a “fare le piante in vaso”.
Lo racconta quest'ultimo libro del premio Pulitzer Ron Suskind, “Confidence Men: Wall Street, Washington and the Education of a President”, uscito ieri in America: oltre Barack Obama, Suskind ha intervistato molte persone dello staff del presidente (che adesso sostengono di non avere mai pronunciato frasi del genere) e il ritratto che ne esce è più simile a un club per soli uomini che al luogo illuminato dove si decidono i destini del mondo. “Se fossimo in un tribunale, ci sarebbero tutti i requisiti legali per definirlo un luogo veramente ostile alle donne”, avrebbe detto Anita Dunn, ex direttore delle comunicazioni della Casa Bianca (ha già smentito). Un posto in cui gli uomini parlano solo fra di loro, non interpellano le donne, e anche il presidente parla più che altro con gli uomini. Un posto dove una consigliera molto autorevole si è sentita “un pezzo di carne”. Tanto che, a fine 2009, un gruppo di donne parlò a Barack Obama, chiedendogli di intervenire personalmente: “C'è un problema e bisogna che facciamo qualcosa”.
Lo circondarono, non si intimidirono (Valerie Jarrett, una dei principali consiglieri di Obama, temeva che non avrebbero espresso fino in fondo la loro opinione, ma si sbagliava). Lui le ascoltò, si mostrò comprensivo, ma non fece nulla. Non si comportò da capo. Alla fine della riunione disse: “Rahm Emanuel e Larry Summers (i consiglieri da spogliatoio di calcetto che la maggior parte delle donne avevano indicato come l'origine del problema) sono persone importanti per me, io ho bisogno di questi ragazzi”. Gli uomini sanno fare squadra e Rahm e Larry vinsero.
Larry Summers riuscì persino a escludere Christina Romer, ex capo del Council of Economic Advisers, da una riunione fondamentale. “Ero stata avvisata prima di arrivare a Washington che alla West Wing circola sempre molto testosterone”, ha detto, e poi è tornata a insegnare a Berkeley. Come nella pièce di Yasmina Reza, “Il dio del massacro”, gli adulti assennati, pieni di correttezza politica, anzi davvero in gamba, di successo, praticamente a capo del mondo, lasciano cadere in fretta le maschere di perfezione per gettarsi nell'oscura lotta nel fango fra uomini e donne, creando psicodrammi e ritorsioni (fare la spia al capo, chiedergli di mettere in castigo i cattivi, negare qualunque tipo di discriminazione, sogghignando). Governare l'America, tutto sommato, dev'essere più semplice che mettere d'accordo maschi e femmine in ufficio.
Il Foglio sportivo - in corpore sano