La scomunica della papessa
Leggere Kant la sera è questione di gusti, ma travestirsi da testa rotonda e far roteare lo spadone nel nome di Dio, è un po' più grave. Ieri la papessa Barbara Spinelli ha firmato sulla Repubblica, l'organo dei cromwelliani armati, un articolo (“Lo strano silenzio della chiesa”) in cui apertis verbis chiede la scomunica da parte della chiesa di Silvio Berlusconi, acciocché – come ai tempi di Gregorio VII e Matilde di Canossa – la messa al bando ecclesiale produca, in automatico, la decadenza dalla carica temporale.
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Leggere Kant la sera è questione di gusti, ma travestirsi da testa rotonda e far roteare lo spadone nel nome di Dio, è un po' più grave. Ieri la papessa Barbara Spinelli ha firmato sulla Repubblica, l'organo dei cromwelliani armati, un articolo (“Lo strano silenzio della chiesa”) in cui apertis verbis chiede la scomunica da parte della chiesa di Silvio Berlusconi, acciocché – come ai tempi di Gregorio VII e Matilde di Canossa – la messa al bando ecclesiale produca, in automatico, la decadenza dalla carica temporale. L'escalation dei mille modi di Rep. per far fuori il Cav. è ormai proverbiale, solo domenica il Fondatore immaginava un fulmine diretto dal Quirinale. Ma la scomunica come teocratico atto di imperio politico, è un bel salto di qualità.
Si fatica a prendere sul serio le sempre più frequenti incursioni in terra consacrata della papessa. Ma bisogna provare a svegliarsi dal suo pessimo incubo storico e teologico. Si chiede Spinelli “cosa occorre ancora alla chiesa perché si erga e proclami che questa persona, proprio perché imperterrita si millanta cristiana, è pietra dello scandalo e arreca danno immenso ai fedeli, e allo stato democratico unitario”. La neo teocratica osa l'impensabile: “Un tempo si usava la scomunica, neanche molto tempo fa”. Evidentemente le è impossibile distinguere tra un peccatore e un eresiarca, ma trovare l'esaltazione della scomunica sul giornale fondato dai nipotini di Giordano Bruno, è grossa.
Per la papessa serve “un gesto simile a quello di Cristo nel tempio, un no inconfondibile allontanerebbe Berlusconi dal potere in un attimo”. Sarebbe facile far notare a Spinelli che i vertici della chiesa sono liberi di fare e dire quel che vogliono, e infatti lo fanno. Semplice ricordarle che Gesù cacciò i mercanti dal tempio, ma non andò da Pilato a reclamare che fossero espulsi dalla città. Era laico, lui. Spinelli, invece, prende molto sul serio la sua arma finale: “Non è necessario che l'espulsione sia resa subito pubblica… Forse basterebbe che un alto prelato vada da Berlusconi, minacci l'arma ultima, la renda nota a tutti”. C'è di che rimanere basiti, dalle colonne del giornale che fu di Eugenio Scalfari e ora è del Mullah Omar. Appare persino offensivo – per la chiesa e per la storia non proprio mozzorecchi del cattolicesimo politico italiano – immaginare come fa la papessa che la chiesa possa assumere un atteggiamento così rozzo, fino a credere che una sanzione morale commini in automatico una cacciata civile. Quella di Spinelli è grezza teocrazia. Un passo più in là anche dal tradizionale azionismo scalfarista, quello per cui la chiesa non deve avere alcuno spazio pubblico se non quello, di volta in volta assegnatole dai Tutori della morale, di agente disponibile a redarguire i reprobi su due – e due soli – comandamenti: il sesto e il settimo, a seconda delle esigenze del momento. Ora Spinelli invoca tutto il Decalogo (“la quintessenza della decenza umana che è il Decalogo”), come un predicatore della Bible Belt, e un potere temporale che non esiste.
Poi c'è la questione di satana. Perché, da puttaniere, il Cav. è passato a essere proprio il grande satana. E la chiesa, addirittura, la sua adoratrice: “Penso che la chiesa sia alle prese con la terza e più grande tentazione. Alcuni la chiamano satanica, perché di essa narra il Vangelo, quando enumera le prove cui Cristo fu sottoposto: la prova della ricchezza, del regno sui mondi: ‘Tutte queste cose ti darò, se prostrandoti mi adorerai'”. Che la chiesa abbia un problema con la postmodernità e i suoi (dis)valori, è cosa nota. E di certo, se i cattolici invece di leggere Zygmunt Bauman su Repubblica provassero a leggere quel che della società opulenta scriveva Augusto Del Noce, forse sarebbero un po' meno afasici in materia. Ma non è Repubblica il pulpito adatto a impartire omelie su come si debba resistere alle lisciate di pelo della postmodernità “che accarezza il ventre”.
Infine. Se Spinelli, anziché di teocrazia, volesse occuparsi del rapporto che la chiesa intrattiene (ormai sono secoli, 150 anni solo in Italia) con lo stato laico, potrebbe magari argomentare, un po' meno rozzamente, che il lasciapassare offerto al berlusconismo, che pure non è mai stato esclusivo nemmeno dentro alle gerarchie, è arrivato a un punto morto. Si potrebbe notare, l'ha fatto Massimo Franco sul Corriere della Sera, che la posizione è d'attesa, consapevole che anche per i cattolici la via del dopo Berlusconi non sarà breve né facile. Ma che ci sia un “silenzio della chiesa”, addirittura “strano”, è assai dubbio. L'editoriale di martedì del direttore di Avvenire Marco Tarquinio sulla “incresciosa corte” del Cav. era piuttosto sonoro. E le prese di posizione analoghe della gerarchia sono state molte, ben più di qualche avventurosa benedizione dei costumi del Cav. Ciò che Spinelli chiama “strano silenzio”, è il “normale” rapporto tra la chiesa e lo stato. Tutto questo, a un laico raziocinante, dovrebbe apparire positivo. Invece la papessa lo chiama scandalo, si arma di spadone e invoca la teocrazia e la scomunica. Sogna di essere Matilde di Canossa. Il sonno della religione genera mostri.
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