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Perché nella piazza di Ramallah è meglio non parlare di Obama

Rolla Scolari

A pochi metri da piazza al Manara, nel centro di Ramallah, sono stati montati un palco e un maxischermo. Stasera migliaia di persone si ritroveranno qui per la diretta del discorso di Abu Mazen all'Assemblea generale dell'Onu: il rais presenterà la richiesta di adesione della Palestina alle Nazioni Unite, come stato membro. “Sarò lì, quando il presidente chiederà il riconoscimento del nostro stato”, dice Amna al Akhrab, giovane impiegata dell'Anp, scesa in piazza in sostegno della leadership.

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    Ramallah. A pochi metri da piazza al Manara, nel centro di Ramallah, sono stati montati un palco e un maxischermo. Stasera migliaia di persone si ritroveranno qui per la diretta del discorso di Abu Mazen all'Assemblea generale dell'Onu: il rais presenterà la richiesta di adesione della Palestina alle Nazioni Unite, come stato membro. “Sarò lì, quando il presidente chiederà il riconoscimento del nostro stato”, dice Amna al Akhrab, giovane impiegata dell'Anp, scesa in piazza in sostegno della leadership. Appoggiata sulle sue spalle, la kefiah bianca e nera, da decenni simbolo del nazionalismo palestinese. Sullo sfondo c'è il muro di cinta della Muqata, la storica roccaforte per mesi forzata residenza dell'ex rais Yasser Arafat.

    Le manifestazioni per il momento sono state contenute. In uno spiazzo di terra battuta, circondato da alti pali con le bandiere dei paesi che hanno assicurato il proprio sostegno all'Onu, poche migliaia di persone – impiegati, funzionari pubblici e soprattutto studenti delle scuole medie e superiori in uniforme – ascoltano qualcuno gridare da un piccolo palco ricoperto da fotografie di Abu Mazen: “Il nostro rais, la nostra guida, il nostro leader”. Attorno, decine di adolescenti sventolano la bandiera palestinese. “Palestina 194” è lo slogan della campagna per il riconoscimento dello stato membro, il 194° all'Onu. Sulle automobili della polizia, sui muri dei palazzi, la scritta appare accanto alla faccia seria del presidente. “Tutti sono con Abu Mazen, ora è molto forte – spiega Tamadour Sawalme, funzionaria del ministero della Gioventù e dello sport in piazza – Prima il presidente faceva tutto quello che gli dicevano America e Israele, ora è cambiato”.

    Mai stato tanto popolare, Abu Mazen. Proprio ora che mancano pochi mesi alle elezioni e lui ha già detto di voler lasciare la scena politica. Il nome di Barack Obama, invece, è meglio non pronunciarlo, dopo che ha detto che uno stato palestinese deve esistere, ma senza “scorciatoie”, cioè deve essere il frutto di un dialogo con gli israeliani. “Avevamo creduto nel presidente americano, ci aveva detto che avremo avuto uno stato. E ora parla soltanto nell'interesse di Israele”, dice la signora Sawalme. “Vuota, vuota”, sussurra un negoziante del centro di Ramallah, riferendosi alla richiesta di riconoscimento. “Non hai visto che cosa ha detto l'America?”. A pochi passi dalla bottega, c'è una sedia azzurra gigante, con il simbolo dell'Onu, in mezzo a un tripudio di bandierine palestinesi.

    Nei Territori, le automobili hanno
    una targa locale, c'è un prefisso telefonico che può essere utilizzato per non digitare quello israeliano, c'è un dominio internet – .ps – ci sono ministeri e amministrazioni locali funzionanti, una forza di polizia addestrata da americani ed europei. Il premier, Salam Fayyad, e Abu Mazen hanno lavorato per anni per presentare alla comunità internazionale le basi di uno stato, istituzioni credibili, per abbattere la corruzione, aumentare la sicurezza, rafforzare la cooperazione con Israele. Ma mancano una continuità territoriale (Gaza e la Cisgiordania sono lontane, geograficamente e politicamente), una sovranità politica, libertà di movimento, un'economia autosostenibile. “Lo stato? Non c'è uno stato”, dice una giovane donna palestinese. Come lei, molti non sostengono l'iniziativa dell'Anp. Su YouTube negli ultimi giorni è comparsa una canzone – “La sedia blu” (il seggio blu) – che si prende gioco dei sostenitori dell'inziativa, ossessionati da “questa sedia, non una sedia qualsiasi, una sedia magica, che può volare alto, ottenere, darci uno stato”. Fuor di metafora, dicono i detrattori, un seggio all'Onu non farà della Cisgiordania e di Gaza uno stato. Gli attivisti-musicisti mettono in rima i problemi irrisolti: i confini, i rifugiati, Gerusalemme, gli insediamenti. Aspettando il discorso di stasera.

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