Bce e governo, sveglia

Stefano Cingolani

Che cosa aspetta la Bce ad abbassare i tassi di interesse? Fino a quando le cancellerie europee nasconderanno la testa nella sabbia, invece di concordare una politica di stimolo economico? E perché il governo italiano non sblocca l'annunciato programma di sviluppo? Non un piano pluriennale di sovietica memoria, ma misure immediate, rapide ed efficaci per dare slancio alla domanda interna, ai consumi e alla produzione. Le borse scagliano fulmini e saette: quelle europee hanno ceduto tra il 4 e il 5 per cento (Milano il 4,5).

    Che cosa aspetta la Bce ad abbassare i tassi di interesse? Fino a quando le cancellerie europee nasconderanno la testa nella sabbia, invece di concordare una politica di stimolo economico? E perché il governo italiano non sblocca l'annunciato programma di sviluppo? Non un piano pluriennale di sovietica memoria, ma misure immediate, rapide ed efficaci per dare slancio alla domanda interna, ai consumi e alla produzione. Le borse scagliano fulmini e saette: quelle europee hanno ceduto tra il 4 e il 5 per cento (Milano il 4,5), preoccupate dallo stato di salute delle banche, allarmate dalla Grecia, inquiete per gli indicatori sulla economia reale. Rallenta la Germania, la Federal Reserve riconosce che l'economia americana è in difficoltà e potrebbe peggiorare. Nemmeno il fantasioso recupero del twist anni '60 per abbassare i tassi a lungo termine (quelli che guidano gli investimenti) è sufficiente a tranquillizzare Wall Street che vuole più moneta subito. E anche ieri, gli indici Dow Jones e S&P sono scesi. Se persino la Cina perde colpi, chi spingerà la domanda dei paesi occidentali?

    L'Italia è lo specchio di questa contraddizione. Fino all'estate la produzione industriale è aumentata grazie alle vendite all'estero. Poi s'è fermata. Ieri il Tesoro ha abbassato le stime sul pil per quest'anno (0,7 invece di 1,1) e per il 2012 (appena lo 0,6). Siamo di nuovo a zero virgola. La condizione per raggiungere il pareggio del bilancio nel 2013 senza gravi conseguenze sociali, secondo la Banca d'Italia, era un tasso di crescita del due per cento. Dunque l'allarme resta e il differenziale con il Bund tedesco torna al quattro per cento. Adesso occorre un segnale forte che il governo punta alla crescita, sollecitata ieri per l'Europa da Tim Geithner.

    Roma deve fare la propria parte.
    Ma anche Francoforte. Nessuna persona di buon senso può credere che la crisi dei debiti sovrani si risolva solo stringendo la cinghia. La macchina produttiva s'è rimessa in moto per ricostituire le scorte bruciate durante il biennio 2008-2009, ma non è ripartito un vero ciclo di investimenti. Perché? La ragione più immediata è che le aspettative restano ancora segnate dalla sfiducia a causa delle divisioni tra i governi e dal timore di un nuovo arresto nel circuito finanziario mondiale, come nel settembre di tre anni fa. Se è così, bisogna mettere a disposizione la liquidità necessaria ad evitare il black out. E' quel che sta facendo la Fed, seguita dalla Banca d'Inghilterra (sia pur con meno ardire, nonostante gli sforzi e le prediche dell'eterodosso Adam Posen). La Bce, invece, è bloccata dai veti tedeschi, dai dissensi interni, da un'ossessione antinflazionistica. In un mercato libero e perfetto, alla guida della Banca centrale basterebbe un pilota automatico, come predica la scuola austriaca. Ma anche sugli aerei di linea quando arriva la turbolenza i comandi passano in mani umane. Nel bel mezzo di questa nuova bufera, poi, ci vorrebbe addirittura un top gun.