Cacciato il direttore di al Jazeera. Fuori è un grande successo, dentro volano i piatti
Ora che il canale al Jazeera è al culmine del successo, ora che ha ispirato – alcuni dicono: che ha scatenato – la rivoluzione araba, ora che è temuto come lo strumento di politica estera più potente nelle mani del Qatar perché condiziona e muove le masse e mette in imbarazzo – quando vuole – gli avversari, proprio ora il direttore che otto anni fa l'ha preso e l'ha trasformato in una macchina straordinaria lascia l'incarico di colpo. I giornali scrivono che Wadah Khanfar se ne va perché è un'altra vittima di Wikileaks.
Il Cairo, dal nostro inviato. Ora che il canale al Jazeera è al culmine del successo, ora che ha ispirato – alcuni dicono: che ha scatenato – la rivoluzione araba, ora che è temuto come lo strumento di politica estera più potente nelle mani del Qatar perché condiziona e muove le masse e mette in imbarazzo – quando vuole – gli avversari, proprio ora il direttore che otto anni fa l'ha preso e l'ha trasformato in una macchina straordinaria lascia l'incarico di colpo. I giornali scrivono che Wadah Khanfar se ne va perché è un'altra vittima di Wikileaks. Sono venuti a galla alcuni dispacci che spiegano come nell'ottobre 2005 uomini dell'ambasciata americana a Doha abbiano incontrato Khanfar, già direttore generale, per mostrargli un rapporto dell'intelligence militare che monitorava il canale: troppi servizi e troppo cruenti contro la guerra americana in Iraq, soprattutto sul sito web. La richiesta degli americani era di dare meno enfasi a un paio di quei servizi, lui disse sì a malincuore, “ma non subito altrimenti farebbe troppo rumore”. Scandalo nel mondo arabo. La rete che è considerata la risposta araba alla disinformazione occidentale tratta sottobanco con diplomatici americani imbeccati dai rapporti dell'intelligence militare di Bush. E' sembrato quasi naturale che il direttore geniale dovesse abbandonare giocoforza il suo posto, come ha fatto lunedì con un messaggio su Twitter e una mail ai giornalisti. Questa è anche la versione, per esempio, del New York Times.
Le cose potrebbero essere diverse. Lo scandalo Wikileaks – dall'ambasciata americana chiesero di togliere le foto di una donna con la faccia ustionata e di due bambini feriti da una galleria di immagini – sarebbe soltanto la scusa perfetta per allontanare il direttore diventato così potente da tenere testa persino agli sceicchi, che sono quelli che mettono i soldi nel canale tv, e anche per coronarne il capolavoro, ovvero tutta l'opera paziente che ha reso al Jazeera la voce dominante sulle altre, con una maligna pennellata finale: levargliela di mano.
Secondo il quotidiano al Quds al Arabi, approfittando dell'arrivo della rivoluzione (ma mai come in questo caso si può dire che “la notizia anticipa il fatto e lo determina”) Khanfar ha ripulito il canale dalle trasmissioni e dagli speciali televisivi troppo ingombranti. Se ne sono andati “In direzioni opposte” di Faisal al Qassem, “Senza confini” di Ahmad Mansour, “Vita e Sharia” dello sceicco Yusuf al Qaradawi, “Qui Washington” di Abdul Rahim Fakara e “L'approfondimento” di Ali al Zhafiri. Una decimazione, perché il canale ha scelto di avere meno star e più facce fresche, buone per presentare le notizie ma senza autonomia.
Cambiare pelle ad al Jazeera non era compito facile. Come in tutte le redazioni del mondo, esistono inimicizie e bande di rivali che rendono complicata ogni riforma interna e il canale satellitare è un grande modello di successo visto dall'esterno, dentro volano i piatti. Ad aprile il capo dell'ufficio di Beirut, il tunisino Ghassan Bin Jiddu, che ogni sabato aveva un programma di successo chiamato “Dialogo aperto”, se ne è andato furente, accusando il direttore di seguire la Libia ma non la Siria o il Bahrein e pertanto di essere servo del nuovo “asse tra Israele e Arabia Saudita”, asse che manovrerebbe la copertura mediatica delle ribellioni nel mondo arabo. Prima di lui negli anni hanno dato le dimissioni per protesta il direttore del bureau di Washington, quello di un altro ufficio cruciale, il Cairo, i direttori di Mosca e Istanbul, la bellissima anchorwoman Joumana Nammour e due colleghe (per reazione rabbiosa alle direttive dall'alto che hanno imposto alle presentatrici un abbigliamento più “conservatore”).
Figurarsi poi tutti gli intellettuali e commentatori tagliati fuori con la morte delle trasmissioni che li ospitavano, proprio in un periodo, si lamentano con al Quds al Arabi, “in cui avremmo così tanto da dire”. La polemica con l'intellettuale e politico israeliano di origine palestinese Azmi Bishara, ora in autoesilio a Doha per fuggire da accuse di spionaggio, era furibonda. Roba da sognarselo di notte, uno scandalo che levasse di mezzo il direttore-sovrano. A questo punto, devono aver pensato al Palazzo reale, riprendiamo in mano il giocattolo: e hanno nominato uno sceicco burocrate, il grigio Ahmed bin Jassim al Thani, ex manager della Qatargas. E' un altro pezzo dell'accorta strategia che consente al minuscolo stato di avere un ruolo così di primo piano – come in Libia – sulla scena internazionale.
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