“Lutero amava Dio, noi meno”
Racconta lo storico Alberto Melloni che quando Joseph A. Komonchak, prete dell'arcidiocesi di New York, professore alla Catholic University of America di Washington e grande studioso del Concilio, scrisse in un pamphlet che i teologi tomisti sono vita natural durante o riformatori o conservatori mentre gli agostiniani nascono riformatori ma muoiono conservatori, Joseph Ratzinger sorrise felice di trovarsi d'accordo col suo collega americano. Perché anche lui, da studioso agostiniano, “ritiene che le riforme restano comunque pleonastiche, superflue, rispetto al cuore della vita di fede”.
Leggi Biancaneve e i 7 antipapisti - Leggi Il vento di riforma tedesco - Leggi Solo un Papa ci può salvare di Giuliano Ferrara
Racconta lo storico Alberto Melloni che quando Joseph A. Komonchak, prete dell'arcidiocesi di New York, professore alla Catholic University of America di Washington e grande studioso del Concilio, scrisse in un pamphlet che i teologi tomisti sono vita natural durante o riformatori o conservatori mentre gli agostiniani nascono riformatori ma muoiono conservatori, Joseph Ratzinger sorrise felice di trovarsi d'accordo col suo collega americano. Perché anche lui, da studioso agostiniano, “ritiene che le riforme restano comunque pleonastiche, superflue, rispetto al cuore della vita di fede, l'interrogativo su Dio, quello stesso interrogativo che ieri in Germania il Papa ha ricordato essere anche il centro della vita e del pensiero di Martin Lutero”.
Il nodo della divisione dei cristiani è per natura sua il centro del viaggio del Papa tedesco in terra tedesca, quel Papa che a Bari, nel suo primo viaggio dopo l'elezione, definì “impegno fondamentale” del suo pontificato la ricerca dell'unità tra cristiani. Non è stata tappa di routine, insomma, quella di ieri che ha visto Benedetto XVI, con al suo fianco il presidente della chiesa evangelica tedesca Nikolaus Schneider e il presidente della chiesa evangelica di Turingia Katrin Göring-Eckart, partecipare a una celebrazione ecumenica a Erfurt, la città dove il monaco agostiniano Lutero visse dal 1505 al 1511. Sembra essere soltanto la riscoperta del Lutero più profondo e intimo, infatti, che per Ratzinger può sciogliere il nodo della grande e tormentata divisione che si è aperta nella cristianità dopo che lo stesso Lutero pubblicò nel 1517 le 95 tesi in cui criticava aspramente la simonia delle autorità ecclesiastiche asserendo che l'essenza del cristianesimo non risiede nella complicata organizzazione che fa capo al Papa, ma nella comunicazione diretta tra l'individuo e Dio.
L'ecumenismo, in questo senso, o è un ritorno all'essenziale, a “ciò che unisce”, ha detto ieri il Papa, e cioè l'“interrogativo su Dio” che fu centrale anche nella vita di Lutero, la domanda su chi sia Dio e chi sia l'uomo innanzi a lui, una domanda oggi più grave per la “pressione della secolarizzazione”, oppure è un'attività sterile. Perché “in fondo”, come dice ancora Melloni, “l'agostiniano Ratzinger vive davanti a Dio lo stesso dramma che visse Lutero. E qui cattolici e luterani possono tornare a incontrarsi”.
Ratzinger, soprattutto da cardinale prefetto, ha lavorato a lungo per la ricomposizione delle divisioni. Il suo atto più decisivo fu la spinta per la firma della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione del 31 ottobre 1999, nella quale chiesa cattolica e federazione luterana mondiale concordarono su un punto fondamentale: l'uomo dipende interamente per la sua salvezza dalla grazia salvifica di Dio. Una dichiarazione che limò in modo decisivo le differenze e che, proprio per questo, fu molto criticata sia “da destra”, da chi come il mondo lefebvriano l'ha ritenuta troppo conciliante con i luterani, sia “da sinistra”, ad esempio da Hans Küng che accusò Ratzinger di aver trattato una sorta di resa soltanto con quella parte di luteranesimo più conservatrice. Ma, critiche a parte, un dato resta. Ratzinger, cercando di tornare all'essenziale nel rapporto coi luterani, non ha fatto altro che assecondare coloro che nella stessa cattolicità ritengono che nonostante le divisioni del secolo XVI la radice sia rimasta comune. E' il concetto che espresse il cardinale Johannes Willebrands, ex presidente dell'Unità dei cristiani, nel 1980 in occasione della celebrazione della Confessio augustana. E fa niente se, come ricordò lo stesso Ratzinger in un'intervista per Communio poco dopo, “il cardinale Hermann Volk fece, nello stesso tempo umoristicamente e seriamente, questa domanda: ‘Vorrei sapere se nell'esempio di cui parla Willebrands si tratta di una patata oppure di un melo. In altre parole: quello che è venuto fuori dalla radice sono tutte foglie oppure è proprio la cosa più importante, cioè l'albero?'”.
Fulvio Ferrario è teologo evangelico, docente alla facoltà teologica valdese di Roma. Dice: “Che l'agostinismo leghi in qualche modo Ratzinger e Lutero è innegabile. Lutero pose la domanda su Dio, la questione del rapporto tra essere umano e Dio in modo tanto potente quanto, direi, indiscreto. Fu Nietzsche, non a caso, a definire Lutero ‘monaco funesto' perché a Roma, invece di comprendere ‘il grande prodigio' del superamento del cristianesimo nella sua stessa sede, tuonò contro il Rinascimento e tornò a rimettere al centro la domanda su Dio. E questo prendere sul serio Dio senz'altro accomuna il Papa a Lutero. Entrambi, in fondo, sembrano essere anacronistici rispetto a ciò che li circonda. Ma ciò che resta a mio avviso eluso è il protestantesimo, cioè ciò che è venuto dopo Lutero. E' sul dopo che mi sembra anche a Erfurt il Papa sia rimasto il silenzio. E' tornato da Lutero ma il dopo è come se non esistesse”.
Leggi Biancaneve e i 7 antipapisti - Leggi Il vento di riforma tedesco - Leggi Solo un Papa ci può salvare di Giuliano Ferrara
Il Foglio sportivo - in corpore sano