Posen, il keynesiano “charming” che chiede a Londra un po' di liquido
John Maynard Keynes sarebbe orgoglioso dell'allievo. L'allievo in questione è Adam Posen, membro laico del comitato di politica monetaria della Banca d'Inghilterra – cioè l'organismo operativo supremo cui spettano le decisioni finali sui tassi di interesse – che sta spingendo perché Bank of England metta in atto un nuovo maxi acquisto di titoli di stato, per risollevare l'economia e scongiurare la recessione.
Si è conclusa la tre giorni di vertice dei venti paesi più ricchi del pianeta a cui hanno partecipato i ministri, i governatori delle banche centrali, e i regolatori. Tra le misure economiche discusse c'è l'ipotesi di un nuovo piano europeo da 3 mila miliardi di euro.
John Maynard Keynes sarebbe orgoglioso dell'allievo. L'allievo in questione è Adam Posen, membro laico del comitato di politica monetaria della Banca d'Inghilterra – cioè l'organismo operativo supremo cui spettano le decisioni finali sui tassi di interesse – che sta spingendo perché Bank of England metta in atto un nuovo maxi acquisto di titoli di stato, per risollevare l'economia e scongiurare la recessione.
Posen, un quarantaquattrenne bostoniano, ha un cursus honorum transatlantico perfetto: laurea e phd in Economia politica ad Harvard, un esordio alla Federal Reserve, esperienze in Germania in Bce e Bundesbank, poi al ministero dell'Economia del Giappone, al Fondo monetario internazionale, membro del Panel of Economic Advisers della commissione Finanza del Congresso. Siede nella Trilateral.
Faccia simpatica e paffuta, bon vivant, amante della buona cucina e delle buone maniere, “outspoken but charming” secondo il Financial Times, è uno dei quattro membri laici che Bank of England ha al suo interno per assicurare “il beneficio di un pensiero esterno e indipendente”. Indipendente Posen lo è di sicuro, con tocchi di eccentricità che lo rendono molto keynesiano e molto british: la settimana scorsa, in epigrafe a un seriosissimo, ennesimo appello sul perché le Banche centrali debbano mettere fine all'appeasement e muoversi rapidamente pompando moneta nel sistema per evitare la catastrofe, ha citato non un Malthus o un Marshall, bensì la Madonna del film “Dick Tracy”: “Something's better than nothing, yes! But nothing's better than more!” (… ma nulla è meglio che fare di più).
I salotti londinesi sono deliziati da questo americano a Londra, con una moglie sondaggista, Jennifer Sosin, che come lui si divide tra Londra e Washington, anche lei con una faccia molto british, carnagione chiara e capelli rossicci. I due sono di simpatie obamiane, non disdegnano i party e i ristoranti stellati. Meno entusiasti sono gli osservatori politici: Posen da anni si batte perché le Banche centrali inizino a stampare moneta, perché “le grandi crisi, quella degli anni Trenta in America, quella degli anni Venti in Germania, sono avvenute perché le Banche centrali sul più bello hanno avuto paura di andare avanti nelle loro politiche espansive, a causa dei soliti profeti di sventura”.
Posen non è Neville Chamberlain, sostiene che l'appeasement ci porterà tutti alla rovina, bisogna intervenire subito contro “il disfattismo dei politici”. Osa sfatare il tabù dello stampare moneta, e non teme il fantasma dell'inflazione. E' un esperto di questi temi, insieme a Helicopter Ben (Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, così soprannominato perché teorizzava il lancio di dollari con l'elicottero in funzione espansiva) ha scritto un saggio, “Inflation Targeting”, su come le economie possono convivere con l'aumento dei prezzi. Ed è, secondo il suo amico ed estimatore, oltre che Nobel, Paul Krugman, “l'uomo da consultare per capire la crisi giapponese”, cioè la più lunga trappola della liquidità della storia. Posen sulla “liquidity trap” ci ha scritto quattro saggi e 50 articoli scientifici: è quella situazione in cui i tassi d'interesse sono ormai arrivati a zero, e non ci sono più modi per convincere la gente a spendere e a investire, perché gli “animal spirits” preferiscono tenere i soldi sotto il materasso (“puoi versare quanta acqua vuoi, ma se il cavallo non beve non beve”, sempre Keynes).
Così il 13 settembre Posen ha detto che servono altre manovre “unconventional”, cioè acquisto di titoli di stato, il cosiddetto Quantitative easing (QE), per “ristabilire la fiducia degli investitori”, e serve anche una banca per le piccole e medie imprese, perché “le banche sono le prime ad avere paura e non fanno credito a nessuno”. Quest'ipotesi naturalmente fa inorridire i liberisti britannici, ricorda una demitiana Cassa del mezzogiorno o una tremontiana Banca del sud, e come Tremonti in effetti Posen odia le grandi banche: pur essendo filo Obama, ha molto criticato i salvataggi delle “too big to fail” dopo la crisi, sostenendo che “è curioso che dopo aver passato tutti gli anni Novanta a insegnare ai giapponesi come gestire la loro crisi, gli americani adesso facciano gli stessi errori”, cioè comprare titoli tossici dalle banche senza cambiare i loro manager e azionisti disgraziati.
Come Keynes, Posen coltiva il gusto dell'invettiva: ad Angela Merkel ha detto che “non conosce neanche l'abc dell'economia” (Spiegel, 31 marzo 2009: in quell'occasione, a una cancelliera riluttante a mettere in atto nuovi piani di stimulus, disse che “si accorgerà di quanto è grossa la crisi tra qualche anno”, e così è stato). Non si sa se, come il suo maestro, Posen sia anche in grado di azzeccare investimenti redditizi (Keynes si vantava di essere l'unico economista della storia a guadagnare in Borsa) ma di sicuro non ha paura di fare previsioni: ha detto che se l'inflazione supererà nel 2011 la soglia prefissata da Bank of England (il 2 per cento) lui non si ricandiderà. Tutto questo keynesismo ovviamente fa infuriare i liberisti del Wall Street Journal e dintorni: hanno scritto che è un “socialista alla Banca d'Inghilterra”, che è “l'uomo spedito dagli Stati Uniti per affossare la Gran Bretagna e vendicarsi così di aver esportato Keynes cinquant'anni fa da loro”, che fa “esperimenti di eugenetica economica in un piccolo paese”, che è un “entusiasta di trasferire risorse da chi risparmia a chi s'indebita”. Di sicuro non è “a quiet american”, ma non è neanche un romantico, semplicemente sostiene che un po' di inflazione non è un dramma se l'alternativa è finire tutti morti (nel lungo ma anche nel breve periodo). Nel 2008, nel mezzo del dramma dei subprime, aveva già capito che bisognava aprire i cordoni della borsa, non perché fosse la soluzione più equa, ma perché era l'unica efficace: “Molti americani stanno perdendo molti soldi; alcuni il loro lavoro; non è il caso di mettere l'intera economia in ginocchio solo per fare a un gruppo di trentenni colletti bianchi una lezione di economia che poi da grandi non si ricorderanno neanche”.
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