Tutto secondo i piani
Putin non ha mai smesso di sentirsi al Cremlino
Tre giorni dopo il congresso del Luzhniki, gli opinionisti russi mostrano sorpresa per la scelta del presidente, Dmitri Medvedev, che ha deciso di lasciare il Cremlino alla fine del mandato e ha proposto uno scambio di cariche con il premier, Vladimir Putin. Nessuno dubitava del fatto che Putin avesse una posizione di forza nel tandem di governo, ma Medvedev aveva detto più volte di essere pronto alle elezioni e si era mosso con insistenza per dimostrarlo. Deve essere un processo naturale quando vedi la tua foto appesa in ogni scuola della nazione, da Kaliningrad sul mar Baltico alle terre fredde della Siberia.
Tre giorni dopo il congresso del Luzhniki, gli opinionisti russi mostrano sorpresa per la scelta del presidente, Dmitri Medvedev, che ha deciso di lasciare il Cremlino alla fine del mandato e ha proposto uno scambio di cariche con il premier, Vladimir Putin. Nessuno dubitava del fatto che Putin avesse una posizione di forza nel tandem di governo, ma Medvedev aveva detto più volte di essere pronto alle elezioni e si era mosso con insistenza per dimostrarlo. Deve essere un processo naturale quando vedi la tua foto appesa in ogni scuola della nazione, da Kaliningrad sul mar Baltico alle terre fredde della Siberia. Per le strade di Mosca molti pensano che il presidente abbia semplicemente “capitolato” di fronte all'avversario; altri, come il politologo Gleb Pavlovsky, dicono che Medvedev è vittima di “qualche pressione” sconosciuta. Una cosa è certa: il confronto fra premier e presidente c'è stato e ha occupato per mesi la politica russa e le cronache dei quotidiani europei. Oggi si dice con grande ironia che l'esito fosse scontato, e quindi poco prevedibile.
Metti i tuoi nei posti di potere. Se Medvedev ha mosso le proprie pedine per restare presidente, Putin non è rimasto a guardare. Il premier ha portato gli uomini di fiducia nei posti chiave dell'Amministrazione e ha vinto la battaglia politica nei palazzi del potere, senza bisogno di passare attraverso un voto. I ministeri più importanti sono affidati ai suoi collaboratori, che hanno mantenuto gli incarichi nonostante i problemi della crisi economica e qualche piccolo scandalo. L'unico ad averci rimesso è Igor Sechin, vicepremier e fedele consigliere, costretto a lasciare la guida di Rosneft in aprile: è stato Medvedev a imporgli una scelta fra le due cariche. Putin non ha portato tutti i collaboratori al governo, ma ha fatto in modo che fossero distribuiti in ogni centro di potere del paese. Così, l'ideologo Vladislav Surkov è rimasto al Cremlino, proprio accanto a Medvedev, e l'ex governatrice di Pietroburgo, Valentina Matviyenko, è stata scelta per guidare la Duma. Anche nelle ambasciate e nelle società pubbliche il partito di Putin è considerato il più forte.
Il blocco del governo. L'ultima prova del confronto è nelle parole di Alexei Kudrin, il veterano del governo che controllava un ministero pesante come quello delle Finanze. Domenica ha lanciato un attacco raro e diretto contro Medvedev: “Noi due abbiamo opinioni molto diverse – ha detto – Se lui diventerà premier, non mi sarà permesso di entrare nel prossimo governo”. Le differenze alle quali si allude non hanno certo a che fare con questioni di programma: il liberismo da Università di Pietroburgo professato da Medvedev è molto più vicino alla dottrina Putin di quanto si pensi. Secondo alcuni opinionisti, Kudrin sperava di essere scelto per la guida del prossimo governo e la durezza dell'intervento mostra la volontà di avere un rapporto diretto con Putin, senza alcuna mediazione. La vicenda ha avuto un seguito già ieri pomeriggio: Medvedev ha convocato il ministro riottoso, gli ha ricordato di essere ancora il capo del Cremlino e gli ha detto chiaramente che farebbe bene a lasciare il governo se è questo che vuole. Le dimissioni di Kudrin sono arrivate in serata. Putin ha osservato lo scambio da debita distanza.
L'alternativa liberista. L'alternativa Kudrin non è stata l'unica nelle mani di Putin. Un paio di mesi fa un altro liberista ha fatto il suo ingresso nella scena politica: si tratta di Mikhail Prokhorov, 46 anni, magnate delle materie prime con la passione del basket e della carta stampata. A New York possiede una squadra che gioca nell'Nba e una rivista per russi alla moda; a Mosca ha ricevuto l'incarico di guidare Causa giusta, un partito moderno che avrebbe dovuto garantire competizione e libertà al sistema russo. Il fatto è che questo movimento ha finito per confondere il campo dei liberali, lo stesso in cui si muove Medvedev. L'iniziativa di Prokhorov non è durata il tempo di un'estate, il tycoon ha annunciato le dimissioni una settimana fa e non ha risparmiato accuse ai collaboratori di Putin, partendo proprio da Surkov. Il discorso di Medvedev è arrivato pochi giorni più tardi.
Dalle caserme ai tribunali. Medvedev ha parlato a lungo di “modernizzazione”, il piano per sviluppare le potenzialità del paese senza dipendere troppo dalle risorse naturali, che oggi sono la voce principale del bilancio russo. Questo progetto non sarebbe potuto partire senza le basi costruite nei primi anni Duemila da Putin, ma gli uomini di Medvedev vorrebbero che le differenze fossero più marcate in futuro: la modernizzazione prevede riforme nell'economia come nella politica e nella giustizia. Il premier ha lasciato che il delfino procedesse nei settori meno popolari, come nel caso delle Forze armate, i cui effettivi dovrebbero essere drasticamente ridotti. La campagna ha sollevato l'ostilità dei militari nei confronti del presidente, e in alcune città si sono viste manifestazioni di protesta contro i tagli, un fatto piuttosto singolare in un paese come la Russia. Altri blocchi di potere vicini a Putin hanno rallentato le riforme nelle aziende pubbliche e nei tribunali. Quando si parla di giustizia si finisce per citare Mikhail Khodorkovsky, il miliardario chiuso in carcere dopo un'accusa di corruzione e uno scontro politico con Putin. Ma il problema della giustizia russa non è semplicemente un caso d'accanimento contro un singolo cittadino: è un guaio che attraversa in modo orizzontale molti settori dell'economia, come dimostrano le perquisizioni dei servizi segreti nelle sedi delle società straniere che si trovano a Mosca e Pietroburgo. Il fenomeno ha assunto proporzioni pericolose negli ultimi anni, al punto da produrre un calo negli investimenti europei e americani. Le riforme annunciate dal presidente non hanno avuto alcun impatto sui sistemi usati per le indagini e sulle Corti russe: Medvedev non ha molti seguaci nelle caserme e non ne ha conquistati nei tribunali.
La pelle degli udmurt. Putin si è dato da fare anche sul fronte dell'opinione pubblica. Nei momenti più duri della crisi economica è entrato nei supermercati per chiedere conto degli aumenti di prezzo delle salsicce; durante la stagione degli incendi si è fatto vedere all'opera nelle zone di crisi; negli ultimi mesi è stato ripreso ovunque: a cavallo, a pesca, in tenuta da sci, a spasso su una Harley Davidson, a bordo di un'auto da rally in Siberia, su un caccia da combattimento e a bordo di un sommergibile. E' stata una campagna elettorale combattuta senza bisogno di annunciare alcuna candidatura. I blogger russi dicono che Putin avrebbe anche fatto ricorso alla chirurgia estetica per sembrare più giovane – alcuni di loro scherzano sul fatto che ormai assomigli a un udmurt, la popolazione degli Urali famosa per i capelli rossi e la pelle lucida. Il carisma di Putin metterebbe in difficoltà politici con un programma elettorale migliore del suo, e questo particolare si è rivelato decisivo nel confronto con Medvedev.
Una guerra di clan. Quella tra Putin e Medvedev è stata una battaglia di staff. I due leader hanno sempre mostrato di riuscire a lavorare insieme senza invadere le competenze altrui, si sono fatti fotografare uno accanto all'altro negli incontri pubblici e nei momenti di relax a Sochi, in generale hanno dato l'idea di essere due politici compatibili. La battaglia è avvenuta sottocoperta e ha coinvolto soprattutto i rispettivi consiglieri. “Non c'è alcuna decisione sul prossimo presidente – diceva al Foglio un collaboratore del presidente nel corso di un incontro avvenuto la scorsa primavera – E' impossibile pensare alla modernizzazione senza Medvedev: dopotutto, è stato lui ad averla ideata”. Il team del Cremlino non ha gradito le novità del Luzhniki e ha rotto la tradizionale buona educazione della politica russa. Dopo il discorso del Luzhniki, il braccio destro di Medvedev, Arkady Dvorkovich, ha scritto su Twitter che “non ci sono buone notizie”. Putin non ha ancora accettato lo scambio in modo ufficiale, ma si tratta soltanto di una formalità. Oggi è difficile stabilire quale sarà il destino dei collaboratori di Medvedev: molto dipende dal futuro del leader, che pare indebolito ma è comunque un ex presidente. L'eventuale presenza di pensatori come Dvorkovich nel prossimo governo sarebbe un segnale positivo per il processo di riforme.
Il modello dei diplomatici. Quel che è accaduto nel fine settimana era stato previsto da numerosi diplomatici europei, compresi quelli italiani. Già lo scorso inverno molti avevano ipotizzato il ricorso a un modello di “finzione democratica”: Putin di nuovo al Cremlino per garantire ai conservatori la stabilità del paese, Medvedev alla guida di un governo progressista e modernizzatore. Questa possibilità, sostenevano le ambasciate, avrebbe dato alla Russia la chance di portare avanti le riforme senza rompere con il passato: sarebbe come incanalare una parte dell'opposizione nei meccanismi del governo. La manovra, naturalmente, avrebbe seguito alla lettera i dettami della Costituzione. E' un ragionamento molto simile a quello che Sergio Romano ha riportato domenica nella propria analisi. “Medvedev alla guida del governo potrebbe fare con maggiore efficacia, nella quotidiana amministrazione del paese, ciò che raccomandava nei suoi migliori discorsi presidenziali – ha scritto l'ex ambasciatore sul Corriere della Sera – Se queste sono le sue intenzioni, l'Europa ha interesse ad aiutarlo”.
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