La commedia del baciatore

Stefano Di Michele

Il Lavitola: “Un bacione, stia su…”. Il Cav.: “Grazie, grazie mille…”. L.: “Stia su, stia su, Dottore…”. C.: “Ciao…”. Al momento ancora rintanato dove la saggezza e l'imprudenza berlusconiana gli hanno consigliato di stare (“Resta dove sei”), Valter Lavitola inteso il Baciatore – e detto “Valterino” da De Michelis negli anni della decadenza craxiana, diminutivo ora cassato nei giorni della decadenza berlusconiana.

    Il Lavitola: “Un bacione, stia su…”. Il Cav.: “Grazie, grazie mille…”. L.: “Stia su, stia su, Dottore…”. C.: “Ciao…”. Al momento ancora rintanato dove la saggezza e l'imprudenza berlusconiana gli hanno consigliato di stare (“Resta dove sei”), Valter Lavitola inteso il Baciatore – e detto “Valterino” da De Michelis negli anni della decadenza craxiana, diminutivo ora cassato nei giorni della decadenza berlusconiana: e c'è, chissà, un'intera genìa che sempre compare (e a volte riappare) nei periodi di turbolento tramonto, dell'asciugarsi dei corsi d'acqua, quando ogni ordine si scompone e ogni disciplina pare saltare – è diventato un personaggio da prima pagina, con quella faccia un po' così, che abbiamo noi che abbiamo visto Tor Crescenza e sei ballerine di lap dance in una suite di un albergo di lusso in Brasile. Un bacione simile – e il Cav., che pure di baci e bacioni e bacetti ha rivendicata necessità e ostentata praticità, prende e incassa – pare una generosa intenzione che idealmente si situa tra certi personaggi di Alberto Sordi e certe condiscendenze alla Giandomenico Fracchia, e appunto: “Io sinceramente non credo che ci sia una donna al mondo che se lei telefona, dice vieni qua a farmi una pompa, quella non viene correndo. Dottore, lei mi perdoni se mi permetto” – e figurarsi se non è indubbio un generale scapicollarsi su tacco dodici o a piedi nudi, dottore mi perdoni e mi permetta (rispettosamente un passo indietro il presidenziale “mi consenta”), e il Dottore perdona (magnanimo) e permette (inorgoglito).

    Valter Lavitola è la più straordinaria maschera italiana salita nell'ultimo decennio agli onori della cronaca. Delle vicende giudiziarie si vedrà, e di sicuro da vedere c'è, ma basta il dato di costume, sommato al dato fisiognomico – ché tra gli infiniti peccati del Cav., questo nemmeno da S. E. Bagnasco rilevato, c'è il non tener conto di un saggio ammonimento di Oscar Wilde, di suo magari più interessato al gigolò che alla escort, “solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze” – ché le apparenze dicono tutto, e in momenti in cui tutto apparenza pare (tot metraggio, tot circonferenza, tot tette), la sottovalutazione della sostanza dell'apparenza appare incomprensibile. La faccia di Lavitola, faccia da pupone ben omogeneizzato – così come figura in certi filmati, in certe foto, in certi santini elettorali di alcuni anni fa, dove l'espressione da piacione di chi tenta l'arrampicata dal salernitano fino al cuore del potere sottostà a una folta e phonata capigliatura, tale e quale le foto su certe vetrine di coiffeur pour hommes nel corso principale del paese. Da quando ha smesso di fare attenzione alle apparenze, alla sostanza delle apparenze sopra cui l'intera sua epica ha costruito, il Cav. malamente si affida e sconsideratamente si fida. Lavitola, nel Transatlantico di Montecitorio, tutti lo conoscevano: costantemente l'attraversava, la pacca calata su una spalla disponibile, l'occhio vigile come un pericoscopio, il passo svelto, la chiacchiera facile. E ora tutti a dirsi: ma questo, ma come cazzo ha fatto?, e persino il ministro Tremonti se ne faceva meraviglie, “ma chi è questo Lavitola che va in giro presentandosi come rappresentante del governo per Panama e il Brasile?” – essendo stato, a dar retta al Corriere di un anno fa, “recentemente nominato delegato in Brasile e a Panama”. La saggezza dell'apparenza avrebbe detto: non è il caso, ma all'apparenza nessuno dà più attenzione, e la sostanza dell'apparenza alla fine morde le chiappe – Dottore, lei mi perdoni se mi permetto – e non si sa mai bene se è più il caso di evocare il Totò ambasciatore del Catonga o il John Le Carré de “Il sarto di Panama”. Che adesso ci veniamo – perché lì a Panama tutto pare compiersi, e lì a Panama, al momento, Valter non più Valterino pare accasato, casomai sui bordi del canale, a far la Dolce Vitola, chissà – barche che vanno, barche che vengono, barche da vendere, barche da desiderare (come in dettaglio intercettativo si vedrà).

    E' sui giornali di ieri la notizia di un'improvvisa visita del presidente panamense in Italia ad agosto (“Sorpresivo viaje presidencial”), per firmare accordi tra Poste Italiane e Poste di Panama, e dice la Repubblica che a far spiaggiare il Cavaliere e il Caballero, entrambi molto presidencial, fosse il Lavitola stesso – che di ogni opportuno accomodamento deve aver avuto preoccupazione e gestione. Che straordinaria maschera, quel Lavitola! A ben renderla, e molto meglio delle intercettazioni telefoniche – che il tipo tracciano, ma il tipo non adeguatamente ritraggono – ci vorrebbe un Dino Risi, un fermo immagine felliniano sul sorriso perenne, le sopracciglia di caratura brezneviana, la chioma che il Dottore – mi perdoni se mi permetto – avrebbe scrutata con una cupidigia degna di un'Arcuri. “Resta dove sei” – e figurarsi se il fu Valterino se lo fa ripetere una seconda volta – sveglio è sveglio, ha l'accortezza di un nonno Libero, “una parola è troppa e due sono poche”, tre è il numero perfetto, e casomai il Sudamerica attraversa, “avevo lavori da sbrigare in Brasile, dovevo vendere due barche”, ma pur avendo promesso il ritorno, il ritorno nel “paese di merda”, giustamente esorcizzato, nessuno sensatamente s'aspetta. E dunque, pare congeli pesci c/o l'Empresa Pesqueira de Barra de San Joao Ltda (e anzi, quando la tempesta s'avvistava all'orizzonte, “mi trovo in Bulgaria per contatti con potenziali distributori di pesce congelato”, pensa te che giri fa il merluzzo), e almeno non potrà far danno ai cervi, ché l'orrenda passione per la caccia ai cervi pure il Lavitola ha, e resocontano le cronache di certe carinerie da ceto elevato, molto simili a ruffianerie, “qualche mese fa alcuni imprenditori friulani, conoscendo la sua passione per la caccia, prima di invitarlo a una battuta si sono premuniti di comprare dei cervi dalla vicina Slovenia, in modo da fargli trovare prede adeguate al suo nuovo rango di favorito del sultano” – e riecco l'apparenza, uno si sente Mister Schioppo, mentre in realtà la bestia ammazzata (l'ho beccata! l'ho beccata!) era già bestia destinata a essere ammazzata: indifesa. Pure questo, mica poco italico. Comunque “obrigado”, come recita la segreteria del suo cellulare.
    E' maschera italica, Lavitola – e certo, a perfetto contrappunto del Cav., che maschera più italica non ce n'è – ed è specchio della maschera stessa. Farà il sarto, pure lui, laggiù a Panama? Farà il nostro uomo a Panama – anziché nella meno rassicurante L'Avana? E però – se fa l'uno o se fa l'altro, o se entrambi i ruoli ricopre, sulla sostanza dell'apparenza chi deve (o chi teme) vigili: che poi il sarto Harry Pendel non riferisce agli agenti inglesi tutto quello che sa (e quello che più conviene per sé tiene), mentre l'agente caro a Greene rifila progetti di macchinari di guerra che son progetti, infine, di un innocente aspirapolvere. E' tutto un giro per quelle lande, tra soldi di Tarantini depositati in Uruguay, a miglior sorte futura della “famiglia bisognosa” che toccò il cuore al Cav., Gianpy non meno di Jean Valjean, telefonini con carta panamense o vattelapesca consegnati al maggiordomo del Cav., manco fosse una trama di P. G. Wodehouse, che al Cav. li consegna,e lo sventurato lì usò – pur giustamente rimarcando che son cose da mafiosi, queste, e in scena pure un collaboratore lavitoliano, tale Rafael Chavez detto Giuanin (e siamo, per restare nella tradizioni, dalle parti di Gassman quando faceva il Gaucho). Lavitola è un personaggio esemplare del tardo-berlusconismo, quel singolare codazzo che segue come un'ombra i passi del Cav. e l'ombra già non sterminata dello stesso fanno precipitare nel buio – ballerine e attricette e procacciatori e barzellettieri e musici e narratori di cazzate e fanfaroni di prodezze sessuali, un misto tra Moulin Rouge e Fortezza Bastiani, sempre un sospetto di Bagaglino sopra si distende: e quasi logicamente il Bagaglino vero ha chiuso i battenti, scalzato e ansimante dietro il Bagaglino virtuale che si è fatto reale. Lavitola è uno che rassicura e che s'impegna, che s'interessa e che s'appella – e italianamente, come certi che vogliono accasarsi da te, appurato che hai due locali al mare, così dal Cav. vuole la sua bella barca, per farci un giro su per l'oceano. E' un meraviglioso momento (ah Risi! ah Monicelli! ah, persino, fratelli Vanzina!), lo scambio di battute tra il Cav. e l'assaltatore di cervi che gli preme alla porta. Una perfetta sceneggiatura alla Verdone, da “Gallo Cedrone”: L.: “La vogliamo portare a Panama?” (ma tutto a Panama, deve arrivare?). C.: E' già a Miami, grazie”. L.: “Ah, peccato… Ma dico, qualche giorno a Panama non la può mandare? Mi faceva fare qualche giro a me, lei m'aveva detto…”. C.: “Ma non a Panama… Puoi farlo a Miami… Compatibilmente col programma dell'estate… Dovresti avvisarci, perché credo che ci vada una volta una mia figlia…”. Imperdibile. Così come imperdibile – meglio di Sordi che in “Un borghese piccolo piccolo” cerca l'accasamento massonico con il capoufficio forforoso, e gli fanno bere come prova della morte l'amaro Montenegro: “Vuoi la luce?”. “Sì, voglio la luce!”. “E luce sia!” – dev'essere la faccenda della sua adesione, tanto che è venuto fuori persino un puntiglioso comunicato ufficiale della nientemeno Gran Segreteria Grande Oriente d'Italia: “Valter Lavitola, classe 1966, diviene apprendista del Grande Oriente d'Italia l'8 novembre 1990, all'età di anni 24 – numero di brevetto 45.108. Non lascia memoria di sé. E', infatti, ancora apprendista quando se ne esce con lettera di ‘assonnamento', ovvero di dimissioni dall'Obbedienza, in data 27 dicembre 1994”. E dunque, citando Ernesto Nathan, la Gran Segreteria ecc. ecc. saggiamente annota: “Non c'è trippa per gatti” – e meravigliosamente la battuta in un film di Sordi troverebbe spazio.

    E' tutta una fenomenale commedia all'italiana, quella lavitoliana. Persino le “foto” ritirate presso la fedele (al Cav., s'intende) Marinella, e da molti intese come soldi da dare al Tarantini bisognoso per il mantenimento dei suoi cari, da Lavitola quali foto del Cav. con insistenza vengono ripresentate. Assediato dai militanti sparsi tra le pampas e la foresta amazzonica, il Lavitola, militanti che premevano per un'immagine del Cav. “In realtà erano foto vere, foto richieste da molti simpatizzati del Pdl residenti all'estero, dovrei averne ancora qualcuna non consegnata. Non sono consigliere di Palazzo Chigi per il Sudamerica, ma avrei tanto voluto esserlo…” – così smentendo il Corriere di un anno fa, così rafforzando i dubbi di Tremonti: “Ma quello chi è?”. E a Panama (da lì non ci si schioda, da lì ogni sospiro lavitoliano ora parte e ora approda, così che pare di sentirlo canticchiare la canzone di Fossati, “oh, mamacita Panama dov'è / ora che stiamo in mare / sull'orizzonte ottico non c'è / si dovrà pur vedere… Di andare ai cocktails con la pistola / non ne posso più / pina colada o Coca-cola / non ne posso più…” – però ne potrà ancora, c'è da scommetterci, e domani sera, da Panama, farà addirittura capolino sugli schermi de La7), invece, di “Lavitola chi?” ognuno pare sapere Lavitola chi è. E il memorabile filmato scovato dal Fatto, con Valter scravattato che scende dall'aereo presidenziale, è degna testimonianza di questa gran commedia che sta andando in scena. Che ci fa, l'Ittico lì sopra? E un altro filmato lo mostra a una festa, pacche sulle spalle a Frattini – che però fa sapere che sull'aereo suo non se l'è portato, lì a bordo pista l'ha trovato, con la cravatta nel taschino, e mentre fa capoccetta (la chioma lavitoliana spesso spunta, dietro questo genere di foto) mentre i due ministri degli Esteri s'appataccano a vicenda: quello italiano consegna apposita meglia, quello panamense replica con non meno apposito ornamento: tutto un tintinnar di bicchieri, di onorificenze, di saluti – ola! ola! – e attavolamento finale al tavolo presidenziale e ministeriale.

    Potrebbe essere una sorta di Forrest Gump italiano, il Valter Lavitola – non fosse lì in fuga, anziché transitare per caso, come all'eroe americano succedeva. Non dovesse, già un mese fa, comicamente comunicare che “è passata sui media la notizia che sono latitante. Non è vero. Sono all'estero per lavoro”. E il suo gran rondò tra i potenti e i potentati, mentre un surreale coniglio da cucinare affiora tra le intercettazioni, e faccende sentimentali private fanno quasi delicatamente ala alle più sostanziose vicende spesso richiamate – ah, chi mai una pompa a Lei rifiuterebbe? Deve essere una gran fatica, essere un Lavitola. Un correre continuo, un continuo blandire, un continuo darsi da fare. Rassicurare, far la voce grossa, dir male di uno e non poter dire bene di un altro – ah, l'odiatissimo Bisignani, che forse fu inarrivabile modello, o forse ostacolo a certe imprese, e generali e donne e ministri e giornalisti e soldi da trovare e soldi da mettere e l'Uruguay e Panama e persino il lodo Alfano – tanto che il Cav., a maggior considerazione del Lavitola, con lui s'intrattiene su tali aspetti costituzionali e istituzionali, il mercante ittico trasmutato in noto costituzionalista: C.: “Non credo che in Parlamento si possa ripresentare la stessa legge…”. L.: “Ma lei non la ripresenta identica, con qualche modifica, così si riblocca tutto e nei tre mesi arriva la prescrizione e chi se ne frega…”. 

    “Conversando casualmente con il Lavitola…”, scrive il Cav. nella sua memoria ai giudici di Napoli – un po' come “la sventurata rispose”. Ma le mille maschere di Lavitola – il mercante di pesce, il venditore di barche, “ho venduto un peschereccio in Brasile”, il costituzionalista, il custode dei beni di famiglie bisognose, l'amico del presidente di Panama, l'amico del ministro di Panama, l'uomo sul cui soggiorno pure il vicepresidente di Panama è dovuto intervenire, l'editore dell'Avanti! a caratura cicchettian-berlusconiana, il direttore dello stesso (con accorati appelli di antichi direttori del vero Avanti!, “questo scandalo deve finire!”), l'uomo di Panama, il distributore di foto del Cav. ai danzatori berlusconiani di samba, il massone troppo assonnato, il cacciatore di cervi, il teorico della pompa irresistibile… E il nemico di Letta e di Ghedini, e quindi la tentazione di prendere “a bastonate”, nientemeno, il segaligno giureconsulto che aveva sconsigliato al Cav. la sua candidatura – così che a ragione Michele Serra ha evocato le maschere di Brighella e di Arlecchino, e dunque niente di più italiano era possibile scovare. La meglio storia non è di sicuro, questa di Valter Lavitola ma certo storia perfettamente italiana. E perfettamente cinematografica – degna, oltre che della procura, dello schermo. Come Sordi, come Gassman – nuova incarnazione dei personaggi di Gassman e Sordi: “Voglio la luce!”. E come la pompa, luce è.