La sinistra di Nichi Vendola al governo? Meglio di no, dice Bertinotti
Alla sinistra conviene governare, andare al governo? Meglio, è ancora possibile governare cioè applicare al governo l'autonomia del pensiero e della pratica politica? Se la risposta è no, se questa possibilità non esiste, allora la sinistra non deve andare al governo del paese, anzi starne fuori per un orizzonte temporale abbastanza lungo: è il pensiero di Fausto Bertinotti presentato e provocatoriamente riassunto dal direttore degli Altri, Piero Sansonetti, nel prossimo numero del settimanale.
Alla sinistra conviene governare, andare al governo? Meglio, è ancora possibile governare cioè applicare al governo l'autonomia del pensiero e della pratica politica? Se la risposta è no, se questa possibilità non esiste, allora la sinistra non deve andare al governo del paese, anzi starne fuori per un orizzonte temporale abbastanza lungo: è il pensiero di Fausto Bertinotti presentato e provocatoriamente riassunto dal direttore degli Altri, Piero Sansonetti, nel prossimo numero del settimanale. Sono questioni tutt'altro che peregrine e paradossalmente più attuali a ridosso di elezioni che le opposizioni potrebbero vincere.
La contrapposizione fra movimenti radicali antagonisti e riformismo di governo non è nuova, è nella storia e nella cultura politica della sinistra. L'esito dell'ultimo governo Prodi ha però dimostrato l'impossibilità di essere due cose insieme, per l'appunto sinistra di lotta e di governo. L'ex presidente della Camera nonché ex leader dell'ex Rifondazione comunista, en “reserve” della Repubblica ma non della politica, indica una strada diversa da quella che Nichi Vendola si appresta a percorrere al galoppo, forte dell'8 per cento e passa di voti di cui lo accreditano i sondaggi. Il governatore delle Puglie è convinto che la sinistra, la Sel, non possa non essere forza di governo determinante nel quadro del nuovo Ulivo con Pd e Idv che ha fortemente voluto. Meno traumatizzato del suo predecessore dal 2008, è pronto a ingoiare rospi, a comportarsi come Giacomo Brodolini in un governo alieno di democristiani, pur di raggiungere un obiettivo che dia sostanza e identità alla “sua” sinistra, proprio come nel centrodestra ha fatto la Lega con il federalismo. Non sa con precisione quale possa essere questo segno identitario, lo cercherà strada facendo, ma da buon pragmatico pensa che pochi maledetti e subito è pur sempre meglio che tanto domani. Sullo sfondo c'è anche ovviamente una diversità di vedute sulla riforma della legge elettorale. Vendola ha firmato per il referendum, metterà la faccia e getterà il peso della Sel nella campagna, vuole che sia abrogato il Porcellum e si torni al Mattarellum. Bertinotti invece rifiuta entrambi, crede che solo la proporzionale pura lasci a ogni rappresentanza le mani libere e la più larga autonomia.
A ben guardare, quella tra Bertinotti e Vendola, è qualcosa di più della solita querelle di cui la sinistra ha il segreto. Va oltre la tattica e riguarda la visione strategica di come il capitalismo stia rimodellando il mondo. L'ex leader di Rifondazione, di cui pure è noto il penchant per la fabula utopica, questa volta è estremamente concreto nella denuncia e particolarmente pessimista. Parla di golpe bianco in agosto, di governo tecnico sopranazionale disseminato tra Francoforte Bruxelles Berlino Londra e New York che ha preso decisioni per tutti e imposto ovunque che si rimettesse in questione il welfare. Parla di pesante sconfitta di Obama, strapazzato dalle stesse banche da lui generosamente salvate con fondi pubblici, denuncia l'idea di scrivere nella Costituzione principi che toglierebbero sovranità al popolo e cita Rino Formica che ricorda come solo il colonialismo abbia potuto imporre mutamenti costituzionali con interventi esterni. Per questo vuole che un potente vincolo interno contrasti a sua volta il Podestà straniero di cui parla Mario Monti. Una sinistra al governo sarebbe costretta a seguire un sentiero già tracciato e inutile allo scopo. Non sarebbe male se non solo la sinistra, ma tutte le élite, comprese maggioranza e governo, così veloci nell'allinearsi ai “vivi consigli” della Bce, riflettessero su cosa significhi perdere ancora sovranità e diminuire la forma della democrazia.
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