Assoluzione

Annalena Benini

E' finita. Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati assolti. La sentenza ha restituito loro tutta quella vita rubata e ridotta a insopportabile talk show. Si spera che quella di ieri sia stata l'ultima puntata e che le telecamere, fameliche delle loro facce, si spegneranno presto, dichiareranno concluso lo spettacolo. Entrambi si sono adeguati, con il lungo appello emozionale, con il braccialetto regalato da Raffaele alla Corte, con le lacrime non trattenute.

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    E' finita. Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati assolti. La sentenza ha restituito loro tutta quella vita rubata e ridotta a insopportabile talk show. Si spera che quella di ieri sia stata l'ultima puntata e che le telecamere, fameliche delle loro facce, si spegneranno presto, dichiareranno concluso lo spettacolo. Entrambi si sono adeguati, con il lungo appello emozionale, con il braccialetto regalato da Raffaele alla Corte, con le lacrime non trattenute (ma può una ragazza di ventiquattro anni, in carcere da quattro, trattenere le lacrime il giorno della sentenza che decide della sua vita?), all'insopprimibile ed eterno desiderio di fiction, che ha trasformato il processo per l'omicidio di Meredith Kercher in un'edizione internazionale di “Centovetrine”.

    Una ragazza è stata ammazzata, la notte fra il 1° e il 2 novembre 2007, e la giustizia si è subito travestita da fiction macabra in cui i tasselli dovevano per forza unirsi a formare la verità, quella che veniva meglio in foto: la bella e torbida assassina dominatrice e il suo fedele e soggiogato servitore. Amanda e Raffaele sono due ventenni in prigione da millecinquecento giorni, anche se il Dna di lei era in realtà amido di patate, anche se l'impronta della scarpa di Raffaele sul tappetino del bagno non era della sua misura, anche se le perizie erano tutte sbagliate. E' spaventoso, ma forse al posto della bilancia, simbolo di giustizia, si potrebbe decidere di mettere un cuore rosso trafitto: simpatia, antipatia, amore, odio. Cosa vi provocavano, dentro, quelle due facce? Non sono troppo azzurri gli occhi di Amanda, troppo ceruleo lo sguardo di Raffaele? Non furono strani quei baci poco dopo il delitto? Non è troppo bella, lei, troppo consapevole? Perché il processo è questo, adesso. Ci si gioca la libertà, il futuro, la vita, con una strizzatina d'occhi, con un abbraccio troppo languido al nuovo fidanzato, con un sorriso al momento sbagliato. La prima impressione è tutto, come al cinema, quando lo sguardo all'improvviso si indurisce e lo spettatore attento allora capisce che quello è l'assassino, e se una ragazza di vent'anni si mette a fare ginnastica durante una notte di interrogatorio in una lingua non sua, allora, come in un film, è chiaramente una “luciferina” (definizione del pm) pianificatrice di delitti a sfondo sessuale. Se ha una maglietta con su scritto: “All you need is love”, è per ingraziarsi la Corte, per mettere in scena un'ingenuità che non le appartiene. Non importa che il barbone non avesse visto Amanda quella notte, ma la sera prima. Non importa quali siano davvero le prove, le carte processuali, il movente, e che siano stati fatti molti sbagli per costruire una verità sentimentale e perfino seducente. La Venere in pelliccia, il signor Nessuno, l'assassino che nessuno ha più voluto interrogare, i colpevoli dovevano essere loro. Il pubblico ministero, nei giorni scorsi, ha detto che non bisognava assolvere Amanda per “il rischio di una fuga all'estero alla quale non sarebbe possibile rimediare”.

    Una fuga? Quindi un imputato assolto non è un libero cittadino, nelle condizioni di chiedere un risarcimento per l'immane danno subìto, ma un fuggitivo? La giustizia non dovrebbe mai essere una cosa spericolata a metà strada fra una crociata e la millesima puntata di “Beautiful”, e nemmeno una gara mediatica, oltre che giudiziaria, in cui il pubblico ministero ha bisogno di un colpevole per vincere, ed è sconfitto se l'imputato viene assolto. L'assoluzione non è una sconfitta. Quindi questa è una grande vittoria.

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    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.