Meno caserme, più birra. Così l'America s'attrezza per vendere
Venditori di terra, di mare e dell'aria. Per una volta in accordo con il Congresso, il presidente americano, Barack Obama, sta meditando di vendere pezzi del patrimonio pubblico per alleggerire le spese e fare cassa in una sola mossa. Strade, municipi, caserme, stazioni, spiagge e appezzamenti abbandonati potrebbero presto finire sul mercato nel tentativo di dare un contributo a quei 1.500 miliardi di dollari che la supercommissione bipartisan istituita dopo la via crucis politica sul tetto del debito pubblico è incaricata di tagliare entro il 2 dicembre. Altrimenti scatterà il progetto lacrime e sangue dei tagli lineari.
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Venditori di terra, di mare e dell'aria. Per una volta in accordo con il Congresso, il presidente americano, Barack Obama, sta meditando di vendere pezzi del patrimonio pubblico per alleggerire le spese e fare cassa in una sola mossa. Strade, municipi, caserme, stazioni, spiagge e appezzamenti abbandonati potrebbero presto finire sul mercato nel tentativo di dare un contributo a quei 1.500 miliardi di dollari che la supercommissione bipartisan istituita dopo la via crucis politica sul tetto del debito pubblico è incaricata di tagliare entro il 2 dicembre. Altrimenti scatterà il progetto lacrime e sangue dei tagli lineari. La grande vendita di Obama non riguarda soltanto terre e strutture: il presidente vuol vendere anche l'aria – i critici hanno la battuta servita – ovvero le onde usate per le trasmissioni televisive di cui sono ghiotti i provider di reti wireless e pure, in un certo senso, il mare, visto che fra le proprietà demaniali più appetibili c'è Plum Island, isoletta a un braccio di mare da Long Island che la Casa Bianca sta già cercando di piazzare con linguaggio da agenzia immobiliare: “Spiagge sabbiose, viste mozzafiato e lo storico faro”.
Poco importa che Plum Island abbia ospitato a lungo il centro federale per la cura degli animali e che i potenziali acquirenti dovranno preoccuparsi di disinfestare l'area prima di soggiornarvi. I conti dell'Amministrazione dicono che la lista delle proprietà stilata dagli esperti della cosa pubblica può fruttare 22 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, contributo modesto rispetto ai numeri del dimagrimento richiesto a Washington ma formula strategica efficace – i soldi s'incassano subito – ed equa, considerato che non soltanto non costa nulla ai contribuenti ma permette un risparmio immediatamente sensibile. Senza contare poi le potenziali virtù di cui il ciclo economico potrà beneficiare nel lungo periodo se queste proprietà saranno gestite con senso della crescita e del mercato. E' proprio sui vincoli legali che gli uomini del presidente stanno lavorando in queste ore.
Vendere a destra e a sinistra. Il deputato repubblicano Jeff Denham, che in quanto eletto nella liberal California è titolato a una certa intransigenza, dice che “questa è un'iniziativa sulla quale possiamo trovare un accordo bipartisan”. Il senatore Jon Kyl è certo che si tratti di una proposta che può andare avanti per via legislativa con il consenso di entrambi i partiti e i democratici la considerano una soluzione per aumentare le entrate a basso costo politico, oltre che economico. Il capo della commissione Budget alla Camera, Paul Ryan, preme perché il progetto sia presentato e votato al più presto, così come spingono, dall'esterno, i suoi economisti di fiducia all'Heritage Foundation e gli ultraliberisti del Cato Institute. Denham, che ha scritto la bozza da presentare al Congresso assieme al senatore del Massachusetts Scott Brown vuole istituire una commissione di vendita simile a quelle – efficientissime – che le Forze armate nominano quando hanno stabili dismessi da piazzare sul mercato.
Il piano, nei suoi termini generali, è identico a quello contenuto nella proposta di budget per l'anno fiscale 2012 che Obama ha inviato al Congresso più di un anno fa; in quella bozza però erano elencate soltanto 12 mila proprietà, l'1 per cento di quelle immediatamente disponibili per la vendita. L'opposizione viene invece dalle emittenti televisive che sfruttano l'etere, lobby che presso il Congresso compete in potenza con quella farmaceutica e delle armi. L'Authority federale per le comunicazioni propone, per ora in via ufficiosa, uno scambio ai broadcaster: voi rinunciate a una parte dell'etere per le trasmissioni e noi vi aiutiamo a trasferire le vostre trasmissioni locali sul cavo (nella vasta America ogni network ha parecchie sedi distaccate, con ampi margini d'indipendenza dalla casa madre). Ma il fatto che il governo voglia rivendere a un valore dieci volte superiore rispetto al servizio patteggiato in cambio non piace affatto ai proprietari delle emittenti, che storcono il naso quando il capo dell'Authority, Julius Genachowski, dice che è un iniziativa “ottima e market oriented che contribuirà alla riduzione del debito e avrà il sostegno di tutti”.
Bere per vendere, vendere per bere. Anche senza rievocare i vecchi fantasmi del proibizionismo il rapporto dell'America con l'alcol è una faccenda irrisolta. A parte alcune isole felici – Las Vegas, New Orleans, le pianure distillate del Kentucky – è vietato consumare alcolici sul suolo pubblico, le leggi di vendita sono restrittive, i controlli generalmente severi, le campagne martellanti. Da qui l'immagine della bottiglia ben nascosta nel sacchetto avana e i bagnanti di San Diego che, non potendo bere sulla spiaggia, si fiondano con le birre ghiacciate sui canotti per sfuggire alla “law of the land”. Per fare cassa però, l'America è disposta a forzare le sue convinzioni culturali e così molti stati e municipalità stanno lavorando per rendere più accessibile l'alcol ai cittadini e le accise alle casse pubbliche. Dodici stati hanno modificato i regolamenti sul consumo: c'è chi, come il Maryland, ha alzato l'imposta sugli alcolici e chi invece ha deciso di allentare i divieti in modo che i cittadini possano bere di più e più a lungo.
A novembre la Georgia voterà per abolire una vecchia legge coloniale mai abbandonata che impedisce ai commercianti di vendere alcolici la domenica, mentre i visitatori della distilleria del Jack Daniel's in Tennessee potranno finalmente assaggiare il whisky durante le visite guidate. Sì, fino a qualche settimana fa la legge permetteva di toccare le botti e lanciare tappi con i vecchi del paese, ma non di bagnarsi le labbra. Ora che l'Amministrazione dello stato ha un disperato bisogno di fare cassa, la retorica del “drink responsibly” è stata accantonata, nel tentativo di dare una frustata al mercato dell'alcol. Addirittura alcune università, facciate alcohol-free che nascondono imbuti e tubi per ingollare meglio, hanno deciso di socchiudere, e in alcuni casi di aprire, le porte alle sostanze alcoliche. La Louisiana State University ha firmato un accordo con un birrificio locale per distribuire fusti e bottiglie nei locali della zona. Per ogni birra consumata l'università incassa fra il sei e l'otto per cento del ricavato. Molte città hanno presentato proposte di legge bipartisan per allungare i tempi di vendita degli alcolici nel fine settimana fino alle quattro della mattina, sperando che gli incentivi legali possano far lievitare quel montepremi da 17 miliardi di dollari l'anno che i vari enti pubblici incassano a costo zero. Nel dubbio che i consumi possano diminuire, è più semplice e redditizio che la legge faccia uno o due passi indietro.
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