Ridurre l'uomo alle sue macchie. Lo sputtanamento secondo Dante e Roth

Edoardo Rialti

La nostra letteratura è stata fondata da un uomo accusato ingiustamente di corruzione, un esule costretto a mettere da parte la propria fierezza di libero cittadino comunale chiedendo rifugio lontano da parenti e “ogni cosa diletta più caramente”, un uomo che non si sarebbe stupito dell'uso politico delle intercettazioni, forse sorridendone amaro. Dante Alighieri, nelle lotte tra fazioni del Trecento italiano, sapeva già bene come sia facile fornire una falsa immagine di una persona pubblica e perfino del suo operato politico: basta far perno su quello che ci accomuna tutti.

    La nostra letteratura è stata fondata da un uomo accusato ingiustamente di corruzione, un esule costretto a mettere da parte la propria fierezza di libero cittadino comunale chiedendo rifugio lontano da parenti e “ogni cosa diletta più caramente”, un uomo che non si sarebbe stupito dell'uso politico delle intercettazioni, forse sorridendone amaro. Dante Alighieri, nelle lotte tra fazioni del Trecento italiano, sapeva già bene come sia facile fornire una falsa immagine di una persona pubblica e perfino del suo operato politico: basta far perno su quello che ci accomuna tutti: “E' da sapere – scrive all' inizio del suo “Convivio” – che l'uomo è da più parti maculato, e, come dice Agustino, nullo è sanza macula.

    Quando è l'uomo maculato d'una passione, a la quale tal volta non può resistere; quando è maculato d'alcuno disconcio membro; e quando è maculato d'alcuno colpo di fortuna; e quando è maculato d'infamia di parenti o d'alcuno suo prossimo”, tutte cose che non ostacolano magari la validità delle sue azioni, ma che possono tuttavia inconsapevolmente balzar fuori “per sua conversazione. E queste macule alcuna ombra gittano sopra la chiarezza de la bontade, sì che la fanno parere men chiara e men valente”. Ecco che la perenne verità del biblico “ciascuno profeta è meno onorato nella sua patria” si traduce per il poeta fiorentino anche in un consiglio molto concreto per il politico di ieri e di oggi visto che “l'uomo buono dee la sua presenza dare a pochi e la familiaritade dare a meno, acciò che il suo nome sia ricevuto, ma non spregiato”; ma, che il suggerimento venga accolto oppure no, per Dante una legge rimane tristemente costante: “Manifestamente si vede che per impuritade, sanza la quale non è alcuno, la presenza ristringe lo bene e lo male in ciascuno più che 'l vero non vuole.” Che in Dante questa separazione tra condotta privata e ruolo pubblico non fosse mera consapevolezza teorica lo si evince da quello che è forse uno dei momenti più commoventi della “Commedia”: al momento di commentare poeticamente lo schiaffo di Anagni, la terribile umiliazione subita dal nemico Bonifacio VIII, lungi da esultare Dante ha la forza di non lasciarsi trascinare dalle considerazioni di contrasto fortemente personale, e ricordare a tutti che colui che ha fatto di san Pietro la “cloaca del sangue e della puzza”, è pur sempre il Papa; e nel descrivere lo schiaffo inflittogli dal portavoce del re di Francia l'esule fiorentino parlerà di “Cristo […] nuovamente esser deriso”.

    Centinaia di anni dopo, dall'altra parte dell'oceano, uno dei più celebri scrittori ebrei americani, dedicherà a questo tema dantesco un intero romanzo, fin dal titolo: “La macchia umana”. E nel raccontare le disavventure di un docente accusato (forse) ingiustamente di razzismo e di rapporti sessuali con una donna molto più giovane, Philip Roth intreccerà i fili della trama privata e immaginaria con quella pubblica e storica dello scandalo Clinton-Lewinsky, due vicende accomunate – nel commento di Finkielkraut, al romanzo – dal “semplicismo terribilmente manicheo” degli accusatori, coloro che la macchia umana la brandiscono come una clava per additare, colpire e scacciare, il mondo dominato dalla cappa soffocante del ritornello “tutti sanno”, tanto da far desiderare a uno dei personaggi del romanzo, il suo alter ego narrativo Zuckerman, di stendere per protesta “un gigantesco striscione, dadaisticamente teso come uno degli involucri di Christo da un capo all'altro della Casa Bianca, con la scritta QUI ABITA UN ESSERE UMANO.”

    Di recente Benedetto XVI ha ribadito come debba esserci anzitutto una attenta ecologia dell'uomo: per l'arte iscrivere l'homo sapiens tra le specie protette ha sempre voluto dire, molto laicamente, dai vicoli della Firenze medievale ai college statunitensi, continuare a stendere lo striscione “Qui abita un essere umano”, difenderne il valore da ogni moralistica riduzione alle sue macchie e imperfezioni, che lungi dal costituirne una conoscenza più approfondita si rivela spesso una fuorviante e violenta miopia.