Un prigioniero politico sta morendo al Cairo. “Sto con Israele”
Maikel Nabil Sanad è oggi al quarantaduesimo giorno di sciopero della fame dentro una prigione del Cairo. Secondo chi ha potuto vederlo è in pericolo di vita, ma giura che non interromperà il digiuno fino a quando non sarà liberato. Considerato che è malato di cuore e che il 10 aprile è stato condannato da un tribunale militare a tre anni di carcere, lui che pure è civile, ma questa è la norma, rischia di diventare il primo prigioniero politico a morire dopo le dimissioni del presidente Hosni Mubarak a febbraio.
Il Cairo, dal nostro inviato. Maikel Nabil Sanad è oggi al quarantaduesimo giorno di sciopero della fame dentro una prigione del Cairo. Secondo chi ha potuto vederlo è in pericolo di vita, ma giura che non interromperà il digiuno fino a quando non sarà liberato. Considerato che è malato di cuore e che il 10 aprile è stato condannato da un tribunale militare a tre anni di carcere, lui che pure è civile, ma questa è la norma, rischia di diventare il primo prigioniero politico a morire dopo le dimissioni del presidente Hosni Mubarak a febbraio. Il fratello Mark, disperato, dice ai giornalisti che in queste condizioni anche una condanna minima a otto mesi sarebbe stata una condanna a morte.
Nabil è stato un problema per i militari egiziani quando ancora la rivoluzione sembrava un'improbabilità della storia. E' stato il fondatore dello sparuto gruppo di obiettori di coscienza egiziani che rifiutano di prestare il servizio di leva, in un paese dove ancora oggi una parte della popolazione venera le Forze armate, custodi fedeli del paese – così vuole la versione che immancabilmente viene fuori nelle discussioni – davanti allo spettro dell'anarchia. Il gruppo ne ha ispirato un secondo gemellato in Siria, ed entrambi sono confluiti nei grandi movimenti antiregime. Prima di febbraio, però, le tesi di Maikel erano terribilmente indebolite da un dettaglio: lui è un fan esplicito di Israele, in un Egitto che è ancora preda dei suoi demoni peggiori, dove dichiararsi non anti israeliani a prescindere è come minimo un errore di buona educazione, se non un indizio grave di debolezza mentale. “Sono un pacifista – diceva il refusnik proprio un anno fa al quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth che si era incuriosito della sua storia – sono contrario a portare armi e ad arruolarmi in organizzazioni militari o paramilitari. Non voglio agire contro la mia coscienza e non voglio agire come una pedina sulla scacchiera delle lotte sanguinose in questa regione. Non voglio puntare un'arma contro un giovane israeliano, obbligato anche lui a fare il servizio militare, che sta difendendo il diritto del suo stato a esistere. Il servizio militare è una forma di schiavitù e ho lavorato anni per avere la mia libertà”.
Persino Roee Nahmias, l'intervistatore di Yedioth Ahronoth, ammetteva nel pezzo di essere sconcertato dalla foga del giovane egiziano, che diceva: “Sto con Israele, non voglio prendere parte a operazioni antisemite scatenate da chi nega il suo diritto a esistere in questa regione. Considero Israele uno stato moderno e liberale a carattere religioso. Ho amici in Israele e penso che gli israeliani abbiano il diritto di difendere se stessi”. E ancora, sull'operazione Piombo fuso: “Se i palestinesi avessero una leadership democratica, non sarebbe successo. Hamas ha cominciato. Rifiutano le elezioni a Gaza e la tengono sotto il loro regime, rifiutano di parlare con Israele e sparano razzi, provocandone la reazione. Piombo fuso è stata un'operazione normale: non vedo la differenza con quello che fa la Turchia contro i curdi nel nord dell'Iraq. E' esattamente la stessa cosa”. Alla domanda se avesse paura a parlare così in pubblico, scrollava le spalle: “Sono otto anni che lo faccio. Sui giornali sono stato accusato di essere una spia, e sono stato arrestato più di una volta. Naturalmente non posso andare in Israele. Gli arabi che sono là e che ho sentito mi hanno detto che preferiscono vivere sotto il governo israeliano che sotto uno arabo”.
Dopo le dimissioni a febbraio del presidente Mubarak, Maikel Nabil s'è preso il ruolo di cane da guardia del Supremo consiglio delle Forze armate che è arrivato a prendere il posto del vecchio regime – senza neanche spostarsi più di tanto: il generale Hossein Tantawi, che in questi giorni apre fabbriche e gira in abiti civili come fosse un candidato alle presidenziali (che cominceranno però non prima dell'estate 2012) è stato ministro della Difesa di Mubarak per vent'anni. Era solo uno tra i tanti blogger inebriati dall'aria di cambiamento, ma l'8 marzo ha scritto sul suo sito un lungo post che analizza perché “la rivoluzione è finora riuscita a liberarsi del dittatore, ma non della dittatura”.
“Nello studio seguente presenterò tutte le prove e i documenti che dimostrano come l'esercito non fosse schierato al fianco della gente, neanche durante la rivoluzione, e che la condotta dell'esercito è stata ingannevole per tutto il tempo, orientata soltanto a tutelare i propri interessi”. Seguono congetture sul fatto che l'esercito egiziano in realtà aderì al regime fino all'ultimo, ma non si mosse perché preferì abbandonare Mubarak al suo destino per prenderne il posto e cominciare fin da subito ad aiutare una nuova generazione di profittatori politici, e segue soprattutto un lungo elenco di soprusi, dentezioni arbitrarie, torture con getti d'acqua, percosse e scosse elettriche, che dimostrano il carattere autoritario del potere militare.
Non tutte le denunce del blog sono fondate. Scrive Maikel: “Sebbene la rivoluzione abbia scardinato la Costituzione del 1971, le Forze armate hanno rifiutato la proposta di una nuova dichiarazione costituzionale. Di fatto l'esercito non vuole emendare quella del 1971 fondata sulla tirannia. Questo dimostra ancora la posizione ambigua delle Forze armate. Allo stesso modo l'esercito insiste su indire nuove elezione presidenziali, prima della formazione di un Parlamento. Un processo inverso garantirebbe l'esistenza di un Parlamento migliore e più sano del precedente”. In realtà, oggi c'è una nuova Carta provvisoria e il presidente secondo un calendario elettorale fissato da poco sarà eletto dopo il Parlamento (anzi, forse con molto ritardo rispetto al Parlamento: ieri si diceva addirittura nel 2013).
L'ingenuità di Maikel è stata credere che con la caduta di Mubarak fosse scomparso anche il controllo ubiquo sul pensiero e sulle intenzioni degli egiziani. Più ingenuo di lui è stato Ilan Grapel, un cittadino israeliano arrivato nell'Egitto dopo la rivoluzione per vedere il paese e imparare l'arabo. “S'è messo nei guai da solo – dice al Foglio chi lo ha conosciuto al Cairo – Continuava a vantarsi di avere combattuto con l'esercito di Israele in Libano, di essere stato ferito”. E' in cella da tre mesi con l'accusa di spionaggio. Il Supremo Consiglio, dopo normali verifiche, ha accertato che non si tratta di un agente del Mossad. Eppure per liberarlo aspetta la visita del nuovo segretario alla Difesa americano, Leon Panetta, oggi al Cairo, per ottenere in cambio un aumento degli aiuti americani alle Forze armate egiziane.
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