Rock 'n' Jobs

Stefano Pistolini

La tecnologia è stato l'ultimo rock' n' roll. Qualcosa che trasmetteva il brivido e l'eccitazione della gioventù. La morte di Steve Jobs, dopo lunga e invincibile malattia, diventa un passo decisivo nella sbrigativa storicizzazione del fine Novecento, perché il distacco, il divario s'allarga, eppure il nostro stile di vita del presente affonda le radici e le origini principalmente lì, non certo più nelle euforie anni Sessanta.

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    La tecnologia è stato l'ultimo rock' n' roll. Qualcosa che trasmetteva il brivido e l'eccitazione della gioventù. La morte di Steve Jobs, dopo lunga e invincibile malattia, diventa un passo decisivo nella sbrigativa storicizzazione del fine Novecento, perché il distacco, il divario s'allarga, eppure il nostro stile di vita del presente affonda le radici e le origini principalmente lì, non certo più nelle euforie anni Sessanta. Lì la nostra esistenza e la nostra figura sociale hanno acquisito la nervatura (tecnologica) che oggi ne organizza l'indispensabile connessione sociale. Lì il concetto di rete virtuale permanente ha ridefinito il senso e la geografia della comunità, soppiantando le questioni di censo e rendendo la vita un'esperienza d'infinito contatto.

    Steve Jobs risiede al centro di questo disegno civile e per questo va fatto santo subito e del resto il procedimento s'è avviato per proliferazione spontanea, per unanime acclamazione popolare. Però è anche vero che il commiato dal grande fondatore contiene una cifra d'insopprimibile malinconia con la quale tanti faranno i conti, nel retrobottega delle proprie occupazioni abituali. Fa paura il vuoto lasciato dalla convergenza tra l'intelligenza visionaria di Jobs e la sua capacità di concretizzare le intuizioni, trasformandole da aura di mistico progresso in fantastici gadget, dotati di un rigenerativo, misterioso potere spirituale. E viene a mancare il suo modello, quel suo vivere dentro la tecnologia senza la pretesa d'essere il miglior tecnico del mondo (nei giorni eroici era stato un fenomeno anche in quello), immergendosi nella digitalizzazione come in un'esperienza religiosa, dove l'invenzione diventa la miracolosa manifestazione del futuro, il progresso che si fa cosa, al termine di un percorso di volontà ed eccellenza. Jobs ormai si era elevato al di sopra dell'essere il genio della telematica, verso un ruolo profetico, di potere e rilievo superiore a quello dei capi assoluti della politica e delle confessioni del pianeta, confermando il superamento dell'età della politica e della contrapposizione dei pensieri a favore di un'epoca di comunione verso una possibile felicità, il cui combustibile è rappresentato proprio dalla chance tecnologica.

    La molto annunciata era dell'Acquario in sostanza, di cui due nerd come Jobs e Gates sono stati i messaggeri. Con la controindicazione che ora questi filosofi del nuovo stanno invecchiando, le rughe li divorano e uno di loro prematuramente se n'è andato. Per milioni di fan che ci hanno creduto è un momento nero, perché la sostituibilità non è data, come quando John Lennon venne ammazzato. Il ritorno dei Beatles, e quindi la possibilità di riafferrare la giovinezza per la coda, decadeva senza appello. Altrettanto, l'addio di Jobs ingoia la possibilità di mantenersi in presa diretta con quel movimento verso il domani che è stato l'ultimo modo per dare brivido rock, sexy e velocissimo, alla nostra vita – oltre che al mito dell'innovazione americana.

    Mica è un caso che l'ultima presentazione delle novità Apple, la prima condotta dal nuovo ceo Tim Cook che ha rilevato un Jobs troppo malato per andare avanti, sia stata una delusione. Niente annuncio dell'iPhone 5, con cui milioni di fedeli già pregustavano di giocare a Natale, e solo rivisitazioni di vecchi modelli ed esoteriche novità nei sistemi operativi. Niente show. Steve era agli sgoccioli e non era il caso di sovrapporre il lancio di una meraviglia alla notizia del suo addio. Adesso, per qualche giorno, il giz mondo del quale era lui il dio, s'ammanterà di un lutto che appare incongruo quanto opportuno. Poi la gente comincerà a chiamare “Stevejobs” i propri gatti e anche questa diventerà materia per la cultura popolare. Che in fondo ci fa capire che, per quanto ci siamo sentiti figli del futuro, ogni cosa si smorza in qualcosa che somiglia, tristissimamente, alla visita al museo delle cere di Madame Tussauds – se mai c'è stato un posto che ci conforta la sensazione che tutti si morirà a stento.

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