Un arancione pallido

Cristina Giudici

L'hanno chiamata la rivoluzione arancione, ma sembra un po' il festival degli ossimori. Il sobrio, gentile e schivo sindaco di Milano, l'avvocato Giuliano Pisapia, che all'inizio della campagna elettorale Enrico Mentana aveva paragonato alla Gioconda (“Se lo osservi sembra sempre che guardi te”, aveva commentato il direttore del Tg di La7) – e che all'inizio preoccupava il suo team per le impacciate performance oratorie ai comizi – ora viene descritto come un amministratore intransigente e pragmatico. Che tradotto significa: ascolta tutti, ma decide solo lui.

    L'hanno chiamata la rivoluzione arancione, ma sembra un po' il festival degli ossimori. Il sobrio, gentile e schivo sindaco di Milano, l'avvocato Giuliano Pisapia, che all'inizio della campagna elettorale Enrico Mentana aveva paragonato alla Gioconda (“Se lo osservi sembra sempre che guardi te”, aveva commentato il direttore del Tg di La7) – e che all'inizio preoccupava il suo team per le impacciate performance oratorie ai comizi – ora viene descritto come un amministratore intransigente e pragmatico. Che tradotto significa: ascolta tutti, ma decide solo lui. Con la capacità però di trattare con tutti, pesi piccoli, medi o massimi che siano. “Letizia Moratti e Roberto Formigoni hanno litigato due anni per decidere chi dovesse gestire l'Expo. Lui ci ha messo un'ora a mettersi d'accordo con il governatore della Lombardia”, fanno notare al Foglio, beffardi, alcuni membri della ex giunta Moratti. A poco più di tre mesi dall'inizio del suo mandato, il primo cittadino di Milano, è diventato commissario straordinario dell'Expo (a Formigoni è stato affidato il compito di commissario generale) e alla fine è riuscito a portare il comune all'interno della società Arexpo spa con 32 milioni di euro che dovrà acquistare i terreni e gestire il sito dell'esposizione internazionale. E anche se dice di non condividere il progetto ideato dai suoi predecessori, lo ha adottato, suscitando critiche e perplessità sia all'interno della sua maggioranza sia fra i comitati cittadini che lo hanno sostenuto in tutti i quartieri, continua a ribadire di “voler metterci la faccia”. Pur sapendo di compiere un azzardo. E infatti il suo sorriso, sempre più tirato, ha ancora un'aria rassicurante, ma passa le sue giornate e le sue serate chiuso in ufficio a lavorare, a controllare ogni cosa che viene fatta, ogni riga che viene scritta, e a volte per parlargli, bisogna mandare un sms a sua moglie, Cinzia Sasso, scherzano i suoi collaboratori, esausti, che non avendo come lui alle spalle una formazione rigorosa catto-comunista, ogni tanto pensano “di andare in miniera a lavorare”, così magari si riposano un po'.

    L'hanno chiamata rivoluzione arancione, ma l'ex avvocato di CDB, che veniva considerato da avversari e sostenitori la variante lombarda di Nichi Vendola, quando si è insediato a Palazzo Marino, aveva piuttosto l'aria di uno che aveva combattuto le Cinque giornate di Milano, statuti albertini e moderazione. E infatti alla fine ha scontentato (quasi) tutta la sinistra ingaggiando l'ex democristiano Bruno Tabacci per risanare i bilanci pubblici di Milano. E sul caso del bilancio dissestato ha innescato una polemica mediatica di lunga durata e una politica di lacrime e sangue. Secondo il neo rigorista Tabacci, nella scala del virtuosismo economico, su 1.300 comuni lombardi Milano si trova all'ottocentesimo posto. E ora ha annunciato una manovra economica da 54 milioni di euro per risanare i buchi del bilancio 2011, circa 450 milioni di euro, che potrebbe incrinare definitivamente la luna di miele già un po' smorta con i cittadini. I tagli che non risparmieranno nessuno: servizi sociali, cultura, scuola, sicurezza, viabilità, mense scolastiche, e addirittura le divise dei ghisa. Anche se l'assessore al Welfare, Pierfrancesco Majorino, ha cercato di rassicurare l'opposizione che ha annunciato ostruzionismo, dicendo che gli interventi sulle politiche sociali riguardano residui di spesa. Pisapia ha scontentato anche il partito di Repubblica. Tenendo a distanza, almeno per ora, persino Piero Bassetti, che aveva creato il “Comitato 51 per cento” per sostenerlo ed era sembrato essere il deus ex machina della sfida a Letizia Moratti. Ma chissà se è proprio così, visto che dopo l'autogol fatto dal sindaco, che in un'intervista all'Unità aveva dichiarato di temere la pressione “dei poteri occulti”che tramano nell'ombra contro il cambiamento (tranne poi smentire il giorno dopo con una lettera sul Corriere della Sera), Bassetti gli ha ricordato – fra le righe ma assai ben leggibile – che quei poteri forti, ma buoni ovviamente, sono quelli che lo hanno portato a Palazzo Marino.

    Attorno a Pisapia si muove un piccolo gruppo composto dall'ambientalista Maurizio Baruffi (oggi capo del suo gabinetto), Davide Corritore, che dopo le primarie ha lasciato il Pd per seguirlo, Gianni Confalonieri, considerato lo spin doctor del sindaco, l'ex socialista Franco D'Alfonso, oggi assessore al Turismo e marketing e avversato dalle anime belle del movimento arancione, che lo considerano un recidivo della Prima Repubblica. E ovviamente dall'immacolato, faccia e stazza da gigante buono, insegnante Paolo Limonta, indefesso animatore dell'onda arancione dei comitati cittadini in ogni quartiere, l'uomo che più di altri ha contribuito a trasformare l'ex presidente della commissione Giustizia a Montecitorio nel simbolo della brezza del cambiamento. E' presto per sapere quale sarà il rapporto fra il nuovo arcivescovo di Milano Angelo Scola (si vedranno questo pomeriggio all'incontro “La politica e le istituzioni” organizzato dal cardinale) e Giuliano Pisapia, l'ex boy scout che ha accolto nella sua giunta e in Consiglio comunale molti cattolici cresciuti alla scuola catto-progressista delle Acli e della Caritas ed era stato benedetto esplicitamente dal cardinale Dionigi Tettamanzi durante la campagna elettorale. Per ora le parole di entrambi sono cordiali, ci mancherebbe altro, ma è evidente che fra le righe della dichiarazione del sindaco, “si potrà trovare un accordo comune” al di là delle “differenze che possono essere superate”, si cela il timore che la presenza dell'ex Patriarca di Venezia, costituirà una sorta di contrappeso alla giunta Pisapia. Un po' a sorpresa, la forza del primo cittadino di Milano, che lo rende per ora popolare fra i milanesi è quella di saper scontentare un po' tutti, ma senza mai esagerare. E di voler accontentare tutti, ma mantenendo un profilo decisionista. Senza mai perdere di vista le ragioni della Realpolitik. Anche se qualche osservatore di quella borghesia che ha cambiato strada, voltando le spalle a Letizia Moratti, già commenta che “Pisapia ha una libertà vigilata”, lui non dà l'impressione di essere uno che si spaventa facilmente.
    Più che alla volubile borghesia meneghina, al momento il sindaco deve guardare con attenzione a quel che succede nella sua parte politica. Ha lasciato un po' a bocca asciutta il Pd, pur forte del 30 per cento dei voti raccolti alle elezioni (ma che dopo le primarie si era diviso fra quelli che lo hanno sostenuto e quelli che invece, più vicini a Penati, hanno fatto un passo indietro) al quale ha concesso molto meno spazio politico di ciò che si aspettava.

    Pisapia lo ha lasciato a rosicare, a giudicare dai commenti livorosi che abbiamo ascoltato. Ha emarginato anche la sinistra radicale, lasciata fuori da Palazzo Marino, forse per evitare di finire sotto il fuoco amico, una specialità della ditta, tranne che per il presidente del Consiglio comunale, Basilio Rizzo, un passato in Democrazia proletaria e nei Verdi, una specie di monumento cittadino, ma che a luglio ha votato, bello arrabbiato, contro l'accordo di programma su Expo. Al Foglio dice: “Sull'Expo mi devono dare ancora molte spiegazioni. E' facile mettersi d'accordo con i tuoi avversari se concedi loro tutto”, riferendosi alla compravendita dei terreni che molti sostenitori di Pisapia avrebbero voluto fossero pubblici.

    Nei primi cento giorni, il duello più spettacolare ingaggiato da Pisapia è però quello con l'archistar dei giardini verticali, nonché ideatore del concept plan dell'Expo durante la giunta Moratti, Stefano Boeri. L'architetto, battuto alle primarie, si considera un monarca usurpato dal suo ruolo, manco fosse re Artù. Predestinato dai media, e dal partito di Repubblica, all'Urbanistica o all'Expo, Pisapia lo ha confinato al ruolo di assessore Responsabile per la moda, la cultura e gli eventi legati all'Expo. Ma, ogni volta che cerca di occuparsi della pianificazione del grande evento, viene stoppato dal sindaco. Al punto che questo duello ha permesso all'ex assessore all'Urbanistica, il ciellino Carlo Masseroli, amareggiato perché viene accusato di essere stato troppo accondiscendente verso le cordate più potenti dei costruttori (ma lui gira con il suo Pgt sotto braccio per dimostrare che aveva previsto molte aree verdi e un 30 per cento di cubature da destinare all'housing sociale), in Aula ha fatto una bella battuta che, sintetizzata, suonava più o meno così: “Signor sindaco, il commissario dell'Expo è lei, lasci Boeri a giocare con la playstation delle sue deleghe”. Un duello anche psicologico, oltre che politico, visto che Boeri, forte delle sue 12 mila preferenze, ha una personalità che potrebbe fargli ombra. Al punto che i pretoriani di Pisapia recentemente gli hanno dovuto ricordare di smetterla perché, hanno sibilato, lui sindaco non sarebbe mai stato eletto.

    L'hanno chiamata rivoluzione arancione, ma la parola che più si sente dire è tsunami. Uno tsunami che avrebbe spazzato via un'intera classe dirigente, restituendo a Milano il suo antico bastione di capitale morale. Ma lo tsunami, per ora, è il buco di bilancio – causato anche, ovviamente, dalla manovra economica –, i soldi che mancano per cambiare i connotati sociali al capoluogo lombardo. Nonostante i suoi giovani, e per alcuni inesperti, assessori ogni giorno annuncino o compiano una iniziativa molto politicamente corretta per assecondare le attese dei cittadini che li hanno votati. Pierfrancesco Majorino (Welfare) prima di andare alla marcia della pace Perugia-Assisi ha scritto a tutti i figli degli immigrati, per spiegare loro le regole per ottenere la cittadinanza e mantenere così una delle due promesse fatte in campagna elettorale: dialogare con i cittadini e promuovere l'integrazione. Il vicesindaco, Maria Grazia Guida, dopo anni passati accanto a don Virgilio Colmegna, alla quale è stato affidato il rapporto con le comunità religiose per costruire moschee in ogni quartiere, togliendo i musulmani da garage e incontrollabili scantinati, si è fatta fotografare nella moschea di via Padova, quella più moderata della città, avvolta in una sciarpa che le copriva i capelli. Messaggio inequivocabile: bisogna togliere ai milanesi le paure verso gli immigrati musulmani. Pierfrancesco Maran, assessore al Traffico e alla mobilità, inciampato o fatto inciampare nell'affaire Penati, perché era uno dei giovani che appartenevano al “cerchio magico” dell'ex presidente della provincia, ha fatto sorridere molti, quando alle lamentele dei milanesi sul caldo soffocante in metropolitana ha risposto: “Basta tirare giù i finestrini”. Ora ha inaugurato la rete notturna dei mezzi pubblici e su Facebook ha scritto con entusiasmo: “Il vento è cambiato e Milano è più europea”. E chissà come si è sentito invece l'assessore alla Sicurezza, Andrea Granelli, anche lui giovane, un passato nel volontariato cattolico progressista, a dover pronunciare queste parole: “Nelle ultime 48 ore la polizia locale ha effettuato importanti interventi sul territorio, per arrestare prima una banda di topi d'appartamento, un rapinatore a Monza per poi bloccare un'operazione di spaccio…”. Definendo insomma una normale attività di contrasto alla microcriminalità come una magnanima opera di prevenzione. Intanto fanno impazzire lo staff comunicativo di Pisapia perché non resistono a Facebook, e spesso vi anticipano le loro iniziative.

    Ma ora che i famosi cento giorni sono passati e la festa è finita da un pezzo, bisogna trasformare il vento del cambiamento in fatti, Pisapia deve combattere con tutti. I commercianti che avversano l'estensione dell'Ecopass a tutte le auto e che costerà 4 euro dal gennaio prossimo – la trasformazione della pollution charge della Moratti in congestion charge è per ora uno degli atti più “ideologici” della giunta. Gli utenti dei mezzi pubblici, ai quali è stato alzato il prezzo del biglietto del 50 per cento (sono stati risparmiati anziani, cassintegrati/disoccupati, studenti e abbonati), manovra che porterà nelle casse del comune circa 30 milioni di euro, ma travasandoli direttamente dalle tasche dei cittadini. I costruttori, che chiedono al sindaco di non fermare una città che stava timidamente provando a ripartire, dopo che il Pgt è stato bloccato per essere rivisto. I sindacati, che hanno annunciato barricate davanti all'eventualità di privatizzare la Sogemi, la società (in perdita) che gestisce l'Ortomercato milanese e non hanno gradito i tagli previsti dalla manovra che in discussione da questa settimana. Pisapia ha fatto arrabbiare persino il prefetto e il comandante provinciale dei carabinieri, dichiarando che un negoziante su cinque a Milano paga il pizzo. Poi ci sono i comitati cittadini, circa un centinaio, che hanno dovuto accettare le sue scelte moderate e prudenti e ora, per rilanciare il sogno arancione, hanno deciso di organizzare una grande kermesse alla fine di ottobre. Un malumore decisamente più preoccupante, per il sindaco della società civile, della ben più scontata campagna di guerra messa in atto dalla Lega sul tema dei rom e degli immigrati.

    Ma le partite più difficili, per il sindaco gentile votato dalla società civile, vengono adesso, con la manovra di bilancio in corso e senza la quale, secondo Tabacci, Milano richia di “portare i libri in tribunale”. Una di queste partite, paradossalmente, porta un nome assai doloroso per la sinistra milanese, specie sponda Pd: Serravalle. Sulla manovra infatti il centrodestra sta picchiando duro, ma un punto su cui potrebbe essere trovato un accordo – “vedremo”, dice la Moratti – è quello di un emendamento che imponga alcuni criteri virtuosi per la possibile vendita delle quote in mano al comune dalla società che controlla autostrade e tangenziali milanesi. Quattrini necessari. E in un modo o nell'altro, i quattrini a Milano transitano sempre dalle tangenziali. Partita diversa ma ugualmente complicata è quella che riguarda il nuovo assetto proprietario di A2A, la multiutility dell'energia di cui sono azionisti i comuni di Milano e Brescia, e che poco convince l'assessore al Bilancio Tabacci. Per non parlare di Sea, la società degli aeroporti controllata all'85 per cento dal comune e da cui Pisapia conta di incassare al più presto oltre 150 milioni, a costo di venderne un pezzo. Tutte operazioni complicate ma necessarie. Da svolgere, in aggiunta, sentendosi addosso gli occhi puntati e sospettosi di una buona parte della propria maggioranza, quella per così dire non proprio di estrazione penatiana, per la quale la cosa più importante è la trasparenza di conti e procedure.
    Da quando Pisapia, che all'inizio sembrava uno schermo bianco sul quale ognuno poteva proiettare il proprio film, è arrivato a Palazzo Marino, ha licenziato in tronco 31 dirigenti esterni su 32, tranne il comandante dei vigili: con uno spoil system più simile a un “non faremo prigionieri”. Un segnale di discontinuità e un taglio dei costi, e un messaggio “rassicurante” per la parte più scalmanata dei suoi sostenitori. Ma anche, come nel caso della sostituzione in blocco dei vertici di Atm, un'esibizione di potere politico che ha lasciato qualche strascico amaro nell'opposizione.

    Sia come sia, quando Giuliano Pisapia esce dal suo Palazzo viene ancora accolto come una pop star, manco fosse Bono degli U2. “O il Papa buono”, ammettono sospirando i suoi avversari. Se gli viene rimproverato qualcosa, è invece di aver voluto decidere sempre da solo, senza eccessivi condizionamenti da parte dei partiti. Ed è per questo motivo che probabilmente, spiega qualche ben informato osservatore delle cose di Palazzo Marino, ha sbagliato a scegliere gli assessori (o quanto meno a distribuire le deleghe) pur di non venir meno ai suoi principi: parità dei sessi e rinnovamento generazionale. In ogni caso, gli uomini forti della giunta sono il centrista Bruno Tabacci (argomento di tensione non sopita a sinistra) e l'assessore all'Urbanistica, l'avvocatessa specializzata in Diritto amministrativo Lucia De Cesaris, che ha idee molto chiare su ciò che vuole fare. E cioè correggere il Pgt, il Piano di governo del territorio varato in extremis dalla Moratti. La cosa ha suscitato qualche preoccupazione fra i costruttori, tanto che il presidente di Assimpredil, Claudio De Albertis, spaventato dalla recessione del settore, ha chiesto al sindaco di non bloccare la città. “Non ho alcuna intenzione di fermare la città”, spiega la De Cesaris al Foglio, “voglio solo correggere un Pgt che lasciava ai privati la gestione del territorio, mentre io intendo riequilibrare il rapporto mattoni-aree verdi, difendere l'uso agricolo del Parco sud (in parte proprietà di Ligresti) e soprattutto prendere in considerazione le 5.000 osservazioni fatte dai cittadini”. E promette: “Entro la fine dell'anno avremo rivisto il Pgt”.

    Nella parabola arancione degli ossimori, c'è posto anche per gli equivoci comunicativi. L'ironico gruppo su Facebook “Tutta colpa di Pisapia” per esempio, in cui gli si dà la colpa anche del peccato originale, è nato per sbeffeggiare i suoi avversari, mentre il blog “Pisapia, Ja bitte”, curato da Angelo Biraghi, che prima si chiamava “Boeri, Nein danke” e ancora prima “Penati, Nein Danke” sembra ideato dai suoi fan – e in parte lo sono perché lo hanno votato sia alle primarie che alle urne e hanno concesso a Pisapia “una fiducia a priori, perché rappresenta un'opportunità di cambiamento” – non perdono occasione di sparare contro la sua giunta. O meglio contro quattro dei suoi assessori: Pierfrancesco Majorino, Pierfrancesco Maran, Franco D'Alfonso, ex socialista, che secondo Biraghi ha un serio conflitto d'interesse perché è “ex sodale di Berlusconi, titolare e amministratore di un'importante società che opera nel settore del turismo e del marketing, ovvero è leader nella fornitura dei servizi di cui il suo assessorato dovrà usufruire”, e ovviamente l'assessore al Bilancio. Nell'ultimo post, “Due domande a Tabacci”, si legge: “Se a ogni taglio corrisponde una spesa fatta con gli euro risparmiati grazie al taglio, il buco chi lo copre? Quando si dimette dal Parlamento e la smette di scroccare agli italiani il ricco stipendio e le prebende che non gli spettano?”. Insomma Pisapia scontenta e accontenta, mantenendosi per ora in equilibrio come un giocoliere. Continua con la sua idea fissa in testa, cambiare Milano. Anche se già molte anime belle della sinistra si lamentano per tutti i compromessi che sta facendo, a tenere viva la fiammella della luna di miele c'è al momento un semplice, ma assai popolare, motivo: Pisapia è considerato un simbolo anti casta. E in una fase in cui il nemico numero uno è il politico professionista, tutti gli stanno intorno per ritrovare la verginità. Al momento ha solo due nemici che possono diventare letali: il mancato pareggio di bilancio e l'eventuale fallimento dell'Expo. Non sono proprio i due sogni preferiti dal popolo arancione, eppure potrebbero trasformare la rivoluzione arancione in uno tsunami.