Consumare a Ponte Milvio
Giocare, ascoltare, comunicare, ricordare: verbo all'infinito sul muro e infinite stanze. Sembra di stare in un film di Paolo Sorrentino, con Sean Penn ex rocker depresso che chiede alla moglie chi mai possa aver scritto a caratteri cubitali “cuisine” sopra il tavolo da pranzo, e invece siamo a Roma, Roma nord, e chissà a chi è venuta in mente l'idea di quella sfilza di verbi in “are” messi lì a far da corona, sulla parete, alle merci tecnologiche esposte in bell'ordine nel palazzetto Trony, nuovo centro commerciale a Ponte Milvio.
Giocare, ascoltare, comunicare, ricordare: verbo all'infinito sul muro e infinite stanze. Sembra di stare in un film di Paolo Sorrentino, con Sean Penn ex rocker depresso che chiede alla moglie chi mai possa aver scritto a caratteri cubitali “cuisine” sopra il tavolo da pranzo, e invece siamo a Roma, Roma nord, e chissà a chi è venuta in mente l'idea di quella sfilza di verbi in “are” messi lì a far da corona, sulla parete, alle merci tecnologiche esposte in bell'ordine nel palazzetto Trony, nuovo centro commerciale a Ponte Milvio. Trattasi del centro commerciale noto per aver paralizzato la capitale in una mattina di fine ottobre, causa inaugurazione e sconti leggendari nel senso letterale della leggenda metropolitana: ma lo sai che c'erano gli iPhone a 99 euro, e che ti tiravano dietro le stampanti, e che i computer erano al trenta per cento, e che il tablet te lo portavi via a un terzo del prezzo, e che uno ha dormito là fuori due notti in sacco a pelo, e che erano in ottomila, anzi no in venticinquemila, e che i bambini e i disabili non li facevano entrare per paura che la folla li travolgesse, e che il sindaco Alemanno si è incazzato, e che un tizio ha comprato due televisori per rivendere il secondo che era scontato della metà, e che hanno spaccato una vetrina, e che Paolo Fox per colpa dell'ingorgo non ha raggiunto lo studio televisivo, e che la redazione di “Piazzapulita”, quel giorno, è rimasta isolata? Qualcosa è vero, qualcosa no, qualcosa non più (i vigili urbani sono cinque e sono occupati a fare multe accanto al marciapiede, e un commesso dice: “Ma che sconti sugli iPhone vuoi trova', oggi, dovevi venire i primi due giorni, mo' te devi accontenta' de qualche dieci per cento sui televisori e computer o qualche trenta su altre merci. Sennò devi aspettà per il futuro”).
Fatto sta che Ponte Milvio, dalla mattina del 27 ottobre, è tornato ai vecchi fasti di Ponte Milvio e contemporaneamente ha smesso di essere il solito Ponte Milvio. Quel Trony (slogan “Trony-non ci sono paragoni”), nascosto dietro a una quinta di palazzi, è infatti un corpo estraneo nel Ponte Milvio simbolo di Roma nord, con il chiosco e il controchiosco, i lucchetti dell'amore (Federico Moccia), i Parioli in trasferta (aperitivo), i circoli del tennis, i circoli del nuoto, il crocchio di quelli che la sera vanno al Jarro (un bar, dicesi wine bar) e di quelli che il sabato vanno da Mondi (gelateria rimasta identica dagli anni Ottanta, non fosse per i minipanini ripieni introdotti per non sfigurare all'happy hour). E però quel Trony che improvvisamente spunta da una traversa di via Flaminia – palazzotto tarchiato color mattone – rende Ponte Milvio una copia tardiva e timida della nuova Roma sud, orgogliosa dei poli di shopping onnicomprensivo vicini all'aeroporto. Che poi pure da Trony è come essere all'aeroporto, anonimi e inosservati e nel bel mezzo di un non-luogo dove il solo passaggio è la porta per non si sa che cosa, e alla fine ci si sente pure un po' euforici e impuniti quando si prova a cliccare forsennatamente sulle icone di qualsiasi computer in esposizione, sui menu di ogni telefonino, sul block notes dell'iPad, sul telecomando dell'home theatre che promette visioni paradisiache e tridimensionali, sui tasti del telefono vintage che vorrebbe simulare il vecchio modello a rotella – e però al posto della rotella, pur disposti a semicerchio, ci sono tasti enormi, ché evidentemente nessuno comprerebbe un telefono che ti fa perdere mezzo minuto ogni volta che componi il numero.
E sì, a Ponte Milvio si consumava pure prima. Beni di lusso e non di lusso, magari, ma nel bugigattolo delle scarpe di marca su via Flaminia, nell'antro che vende biancheria intima firmata, nell'agenzia di viaggi, nel ristorante multiterrazza sotto al Tevere dove andare il venerdì sera con la comitiva di Roma che è un po' anche quella di Port'Ercole, nel bar grill del sabato (ora di pranzo), sotto la tenda di Rerè o sulla seggiola rosa del “mangia e bevi” Voy – Roma come Milano come Miami come Formentera, dappertutto c'è un brunch con specialità internazionali a buffet. E insomma il palazzone tarchiato e targato Trony, peraltro presente in altre sette varianti architettoniche in altrettante zone della città, ha importato improvvisamente a Ponte Milvio una scala mobile inghiottitrice di passanti e un'orda curiosa, se non consumatrice, che fa capolino da quartieri contigui, quartieri non contigui, borgate e borghi extra raccordo. E sono lavoratori con posto fisso in uscita dall'ufficio il venerdì (uno dice: “Mi faccio un giro, magari decido di passare al BlackBerry”), lavoratori senza posto fisso (uno dice: “Diciamo che sono precario ma mi serve l'iPhone”), padri e madri con carrozzina (“dobbiamo comprare il televisore grande”), famiglie di immigrati cinesi e singalesi alla ricerca “del computer che costa meno di trecento euro” o del telefonino “che dà in regalo la seconda scheda”. Sono adolescenti con genitore disposto a comprare lo smartphone “perché tanto sennò mi dà il tormento”, professioniste sedotte dal copri-computer in tela grezza (“sembra lino”), mariti in lite con la moglie che non vuole lo schermo piatto gigante in salotto “ma che dici, quello più piccolo non scontato costa di più”. E poi professoresse in pensione alla ricerca “della coperta da divano con le maniche che scaldano tipo scaldaletto” e della “macchina fotografica facile color fucsia”, signore che chiedono “se la Wii bianca costa meno di quella nera” (e il commesso risponde che “più o meno è uguale, ma c'è una piattaforma in offerta a 99 euro”), diciottenni in gara alla Playstation all'ingresso (“se vuoi il volante simulatore”, dice un addetto cui si chiede il prezzo per un ipotetico regalo, “costa 499,99 euro” ma “è tuo con 24 rate da 20 e 83”). “Rate”: vecchia parola che qui quasi viene venduta come nuova, tanto è sparata in ogni cartellino che ti dà del tu, e alla fine la rata contamina persino acquisti da 44 euro (casse per stereo “tue” con 24 rate da 2 euro circa – è più il traffico di doverle pagare che il carico della spesa tutta d'un colpo, ma tant'è). Ma “rata” non basta, ché forse la parola magica è il “finanziamento a tasso zero”, stessa cosa della rata detta in altre parole: cinquemila euro per il maxischermo non li hai, ma se porti “l'ultima busta paga o la dichiarazione dei redditi, la carta d'identità e il codice fiscale”, dice un foglio illustrativo, ti finanziamo e ce li ridai in 24 rate (sempre loro). E' così a scendere per tutto, dal MacBook al telefono al lettore mp3 al photo frame alla sedia per massaggio alla schiena (“che comunque è già scontata”, assicura la commessa all'avventore che decida di provarla).
Crisi sì, crisi no. Ma intanto il dato è un dato: 11,7 per cento di spesa in più rispetto al settembre 2010 (secondo Confcommercio) per acquisti di telefonini, computer, maxischermi e compagnia bella di elettronicherie, e pazienza se poi quella stessa indagine viene citata su alcuni giornali con enfasi sulla “contrazione” dei consumi dello 0,1 per cento dall'estate a settembre. Ma, come ha scritto lo statistico Roberto Volpi su questo giornale (a proposito di consumi, crisi e privazioni), “il fatto è che se non si legge la privazione su questo sfondo di consumi ampi e moderni e pure ricchi che caratterizzano la vita quotidiana della maggioranza e lambiscono quella di un'altra bella fetta di italiani, non riusciamo neppure a interpretarla, la privazione, e meno ancora ad affrontarla per porvi rimedio…”. Il dato, dunque, è un dato (quell'11, 7 per cento in più in un anno) e il luogo è un luogo, e il luogo, in questo caso, si chiama Trony: bianco abbacinante alle pareti fino al soffitto, bianco lucido e deserto – set perfetto per un thriller – nel settore frigoriferi (da dove spunterà l'assassino?, viene da chiedersi tra ronzii e neon e improvvise apparizioni di signore robuste che si trascinano solitarie verso lo stand dei piani cottura). E si capisce che il settore frigoriferi (e affini) è la Cenerentola dei megastore di elettronica – nessuno più si sofferma per curiosità tra modelli “con ghiaccio a cascata” e “modelli basic”. Ci si ferma “più che altro per necessità o lista di nozze”, dice una ragazza in divisa al cospetto di quegli elettrodomestici da cucina, paria in un regno di home theatre bislunghi e stereo mastodontici (un ragazzo, girando l'enorme manopola di una radio che pare una radio giocattolo, dice all'amico: “Ma questa la davano in premio 'st'estate su un carretto a Ponza”, e l'amico risponde “mbè se la metti in macchina questa se sente fino ar mare”).
Dietro l'angolo spuntano innumerevoli macchine fotografiche (sempre a rate di pochi euro), batterie di cuffie da passeggio blu, gialle o rosa confetto, e labirinti di televisori con videocamera Skype, ed è quasi sindrome da “Colazione da Tiffany”: nulla di male potrà accadermi finché starò qui, e tutto il bene verrà a me per incanto e per osmosi da quei tablet in cui specchiarmi. E questo fanno, specchiarsi nell'iPad appena uscito, Jasmine e Paula, tredicenni di origine filippina nate a Roma (Jasmine chiede a Paula di farle una foto così poi potrà vedersi sul tablet in esposizione, Paula fa linguacce e si aggiusta la molletta per fare la foto a sua volta. “Siamo venute dopo scuola da vicino al Labaro”, dice Jasmine. Il Labaro, quartiere periferico di Roma nord, che peraltro ha zone residenziali, non è neppure vicinissimo e le ragazze si spostano “coi mezzi”, ma Andrea, compagno di scuola di Paula, motiva il viaggio con la prospettiva di “giocare gratis tutto il pomeriggio”). Accanto alla Playstation da esposizione, in effetti, è in corso un torneo: tre o quattro ragazzini urlano “evvai” e si danno il cinque sotto gli occhi di un addetto-sicurezza per nulla turbato. E' il solo momento di caciara nello sciamare tranquillo degli avventori, ma un cassiere racconta che “il giorno del lancio” la gente “urlava, spintonava, inciampava e si litigava pure le batterie Duracell”, e che “uno ha dormito la notte qui davanti, l'ho visto io che il giorno prima ho smontato alle sei di sera ed era già lì col sacco a pelo”. Una collega invece ha visto “uno che s'è quasi menato con un altro per un telefonino che manco era l'iPhone”. Un cliente con moglie straniera ride: “Sì vabbè, però sta cosa degli sconti è una mezza sòla”, e hai voglia a dire che “è finito tutto i primi due giorni”. Nessuno litiga, per fortuna, attorno alle solitarie pile di libri all'ingresso – sono gli stessi degli aeroporti, degli autogrill e delle stazioni: Benedetta Parodi che sorride in cucina e una miscellanea di storie Disney mischiate a José Saramago, Stieg Larsson e Margaret Mazzantini.
Nel frattempo, al banco dei tablet, un bambino sui dieci anni mostra a una signora le meraviglie di iPad 2. Il cronista origliando carpisce un “nonna, con questo puoi pure scrivere” e un “vabbè, a scrive' so boni tutti”. Interpellata direttamente, la nonna, signora Luigia Moretti, dice che a scuola da suo nipote l'iPad “non è una rarità”, che suo nipote “va a scuola a Prati” e che “nella vita di sacrifici dovrà farne, tanto vale farlo divertire adesso”. Poi il nipote la richiama all'ordine – “c'è la telecamera, ti faccio il film”. Il terzo che si avvicina agli iPad è un signore con moglie (guardano, dicono “bello”, e passano oltre) e il quarto è un commesso (in borghese?) che gentilmente redarguisce chi prende appunti (“per le interviste chieda alla cassa”), e meno male che non siamo in Inghilterra, dove un addetto alla sicurezza di un supermercato Tesco ha vietato al giornalista Patrick Collinson di annotarsi i prezzi. Nei successivi trenta minuti, il tablet è adocchiato da almeno dieci persone, tra cui tre ragazzi cinesi che però presto dirottano ogni attenzione sulla cesta in cui pescare il famoso “telefonino in offerta con la doppia scheda”. Al primo cliente che chiede al commesso informazioni sulle rate per comprare il tablet, il cronista, al colmo dell'indiscrezione (e a commesso sparito) decide di fare qualche domanda. Il signor Marcello Santini, alla domanda “scusi lei ha intenzione di comprare un tablet”, risponde “mi sa proprio di sì”. Santini, impiegato con moglie bancaria (totale dei due stipendi: 3.600 euro al mese, casa di proprietà senza mutuo e spesa mensile per il figlio che studia fuori di 800 euro) dice che la crisi “si sente, paghiamo certe bollette e lo stipendio vale meno di prima, ma che c'entra”. Non c'entra, dice, “perché non è che siccome c'è la crisi uno deve starsene in galera. Ci facciamo un regalo, tanto è a rate”.
Procedendo a casaccio tra un banco e l'altro del settore “comunicare” (almeno così dice la scritta cubitale sul muro), si incontra un anziano con carrello pieno di scatole. Dentro il carrello c'è un televisore di medie dimensioni e due casse (per “mia moglie a Natale”, dice il signor Aldo Ricci), una stampante (“per mio figlio, è scontata del 25 per cento, sempre per Natale”), una custodia fluorescente per iPhone (“per mia nipote, a Natale pure lei”) e un telefonino violetto (“per l'altra figlia dottoressa, ma per il compleanno”). Il signor Ricci dice di essere “in pensione, ex capo ufficio del personale in una grande azienda semipubblica” e di avere “la moglie che prende circa mille e duecento euro al mese da un appartamento dato in affitto”. La signora Giovanna Grantieri, architetto che abita “appena fuori Roma” e ha deciso di comprare un MacBook scontato, non dice quanto guadagna ma fa sapere che “sinceramente” risparmia su altro, per esempio “sul cibo e ogni tanto sui vestiti”. E chissà se a Ponte Milvio è come ad Atene di sabato pomeriggio (su Repubblica del 4 novembre l'inviato Ettore Livini ha parlato di una città in piena crisi con “negozi pieni per lo shopping prenatalizio, code e ressa nei negozi griffati di Kolonaki” ). C'è chi la spiega con il “riposizionamento” dei consumi: uno taglia su viaggi e abbigliamento (ma per le calzature “i venti freddi sono un ricordo”, assicura il sito www.markup.it) e spende per elettronica varia. Oppure risparmia sulla lattuga e compra salmone, taglia sul massaggio dall'estetista (così pare, dice l'Istat) ma resiste sulla mela di Apple.
Alle cinque – è un venerdì pomeriggio – le infinite stanze di Trony si riempiono di persone che più che altro guardano (alle casse non c'è fila, davanti ai computer in esposizione c'è ressa). La scala mobile sputa tre uomini con valigetta, qualche signora con busta del vicino supermercato, qualche signora con giacca elegante, un bambino con cuffia alle orecchie trascinato da un papà barbuto, una famiglia biondissima, due famiglie cinesi (ancora), due ragazze in nero e tacco alto già vestite per la serata prefestiva (di certo non a Ponte Milvio, ché gli avventori dei locali circostanti indossano mise décontracté). La maggior parte degli avventori esce con buste piccole – sono telefonini o soltanto caricabatterie?, ci si chiede, e chiedendo a due tizi a caso di poter sbirciare nelle buste si resta sorpresi: né telefonini né caricabatterie, bensì un mini lettore mp3 da circa sessanta euro, un Dvd e un photo frame in offerta a circa quaranta euro. Chissà perché vengono fin quassù per comprare roba che trovi ovunque, ci si chiede visto che i due tizi vengono l'uno dal centro e l'altro dalla zona Rebibbia – “volevo vedere 'sto Trony, quello dell'ingorgo”, dice uno. “Ndo' stanno le offerte?”, dice l'altro, e alla fine tutti e due sono usciti con una piccola cosa che portasse il marchio del Bengodi elettronico per cui la città un giorno ha perso il senno, per giunta in un giorno lavorativo (Caterina, impiegata con casa a Roma nord, dice: “Ma che hanno preso tutti le ferie apposta?”).
All'ennesima famiglia che entra da Trony con aria vagamente gitante (e però dopo dieci minuti esce con una busta), si affaccia alla mente il ricordo della vecchia Città del Mobile Rossetti, quella di Nonno Ugo, incubo e fascinazione per i bambini romani negli anni Ottanta – si andava a via Salaria chilometro diciannove per fare un giro tra largo del Bagno e via del Salotto, e le televisioni locali erano invase di spot-telenovela con questo fantomatico Nonno Ugo che portava al mobilificio persino Renzo e Lucia, cantava canzoncine e prometteva doni dallo “sputagiò”, un macchinario sputa giocattoli (la vendetta arrivò quando Maria Laura Rodotà, nel libro “Pizza di farro alla rucola con nutella e altre stranezze italiane”, parlò delle camere da letto Rossetti in “stile assiro-babilonese”). Accade oggi all'Ikea e da Mondo Convenienza – gente in giro che non sa bene se e che cosa comprare, e alla fine compra un cuscino, sei piatti o un vaso di coccio blu – e però da Trony non c'è solo eterogenesi dei fini (entri per la stampante, esci con l'iPhone a rate), c'è pure sincretismo dei consumi (un opuscolo in bacheca promette “un fantastico smartphone” allegato in omaggio alla lavatrice ecologica).
“Ma lei, signora, avrebbe fatto qui una fila di dodici ore per riuscire a comprare scontato, il giorno dell'inaugurazione?”, si chiede a una mamma con figlia (la quale risponde: “Beh, se poi davvero c'erano quegli sconti lo capisco, ma pure se non c'erano uno ci provava”). Non importa che l'oggetto supremo del desiderio – l'iPhone scontato – fosse previsto quel giorno in relativamente pochi esemplari rispetto alle migliaia di aspiranti compratori. “Forse si aveva comunque l'impressione di risparmiare”, dice il gestore di un bar nei paraggi che conosce Ponte Milvio “da almeno vent'anni” e trova “utile al quartiere quest'iniezione di gioventù” attirata, a suo dire, dal megastore di elettronica (e però chissà se i ragazzini che giocano con l'iPad senza comprare nulla poi si fermano a bere nei locali della zona). “Guardare, ascoltare, giocare, comunicare”. Manca solo “consumare” (a Ponte Milvio).
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