Quei bravi ragazzi

Annalena Benini

Alle feste del grande Gatsby si trovava ogni genere di imbucati. Le persone semplicemente andavano. Salivano su macchine che le trasportavano a Long Island e poi, chissà come, finivano alla porta di Gatsby, e stavano lì, fra bisbigli, champagne e stelle. Tutti con l'aria intenta e un po' affamata, “consapevoli fino all'angoscia dello scialo di denaro lì attorno e persuasi che quel denaro sarebbe diventato loro in cambio di qualche parola pronunciata nel tono giusto”. La Rolls Royce diventava un autobus e dalle nove del mattino a notte fonda trasportava compagnie intere dalla città e ritorno.

    Alle feste del grande Gatsby si trovava ogni genere di imbucati. Le persone semplicemente andavano. Salivano su macchine che le trasportavano a Long Island e poi, chissà come, finivano alla porta di Gatsby, e stavano lì, fra bisbigli, champagne e stelle. Tutti con l'aria intenta e un po' affamata, “consapevoli fino all'angoscia dello scialo di denaro lì attorno e persuasi che quel denaro sarebbe diventato loro in cambio di qualche parola pronunciata nel tono giusto”. La Rolls Royce diventava un autobus e dalle nove del mattino a notte fonda trasportava compagnie intere dalla città e ritorno, mentre il lunedì otto domestici, più un giardiniere supplementare, lavoravano tutto il giorno con spazzoloni e martelli e forbicioni a riparare i danni della notte precedente. Le ragazze ballavano da sole o con qualcuno e non avevano mai voglia di tornare a casa. Fare l'imbucato alle feste poteva bastare anche a Gianpaolo Tarantini, che ha una bella moglie, più alta di lui ed elegante, con l'aria sempre triste, da cui farsi accompagnare, per guardarla flirtare con altri, imbucati o non, e aggiungere eccitazione alla notte stellata, flirtare lui stesso con molte (il suo grande successo, più delle protesi e delle anche artificiali, più della scalata sociale finita male, sono state sempre le donne, che a Bari e a Roma lo trovano “brillante, bello, affascinante”, e gli mandano baci anche in cima alle scale del tribunale). Poteva accontentarsi di bere champagne a bordo piscina, spruzzarsene un po' addosso all'ora giusta, bagnandosi quelle camicie bianche troppo sottili e troppo aderenti, litigare con la moglie in macchina al ritorno, inscenando una gelosia abitudinaria e ubriaca, leggere l'ora sull'orologio firmato e vedere che è una nuova alba e il mondo è lì, pronto per essere preso sulle ginocchia, come una delle ragazze con le guance accese e vestite Prada (e qui un pensiero preoccupato va alla signora Miuccia, che deve soffrire molto per il danno alla sua immagine indossata male: prima o poi chiederà piangendo alle signore Terry De Nicolò, Patrizia D'Addario e le altre, di non nominare in continuazione nelle lamentazioni e rivendicazioni filosofiche, quelle cinque sacre lettere, a Nicole Minetti di smetterla di far dondolare al polso borse con il triangolino di metallo, intimerà a tutte le ragazze di Berlusconi & Tarantini di fingere di non averla mai sentita nominare, e andrà sul lastrico ma con fierezza, certa che i suoi abiti scivolino addosso soltanto a signore dalla moralità indubbia).

    A Gianpaolo Tarantini purtroppo non è bastato imbucarsi alle feste, voleva essere lui un piccolo Gatsby alle cime di rapa, uno come Christian De Sica nel film di Pupi Avati, “Il figlio più piccolo” (che fa incidere sulle fedi i nomi e le date “in corsivo gotico” e dice fiero al figlio: “Tuo padre è capace di entrare in albergo e non prenotare una stanza, ma se gli gira, se lo compra”),  uno allegro e generoso che avrebbe tollerato gli imbucati alle feste e distribuito fragole, bollicine, favori, tuffi in piscina, raccomandazioni e bellezza. “Uno scapestrato anche un po' fesso”, ha detto Valter Lavitola con l'affetto di chi gli ha potuto anche rubare temporaneamente la donna, continuando a essergli amico, come succede non solo nei film dei Vanzina, e fargli le prediche: dille di non andare in giro troppo firmata, non dirle tutti i cazzi sennò quella poi mi fa una capoccia così, non andate nei ristoranti costosi. “Ragazzi viziati, sperperoni che non avevano il senso della realtà, pressanti in un modo esasperante”, ora che è andato tutto storto (anche Barry Lyndon, alla fine, è costretto a tornare in Irlanda, e per di più senza una gamba, e ricomincia a giocare d'azzardo ma senza più fortuna). Tarantini, in quelle notti illuminate dalla luna e movimentate anche da un po' di polvere bianca, sentiva che aveva la stoffa per realizzare i suoi sogni lussuosi, la lingua sciolta, il sorriso e il talento molto di provincia che hanno i social climber di indovinare cosa l'interlocutore ha voglia di sentirsi dire, cosa lo rilassa, cosa lo fa ridere, cosa non lo annoia mai “Allora com'è andata ieri notte?”, “Belen avrebbe bisogno di un uomo come Lei”, “Belen ha fatto dei balli sudamericani mamma mia”, “A sinistra Claudia, a destra Manuela e di fronte Belen”, “Mamma mia eri messo benissimo”, “Ho fatto una fine dell'anno che migliore non potevo farla”, “E ci credo con le tre donne più belle d'Italia”, “Claudia sta bene, Claudia le vuole bene” (frammenti sparsi di conversazioni telefoniche spiate fra Silvio Berlusconi e Gianpi Tarantini, perfetti per soddisfare la nostra morbosità e la sete di verbali scabrosi). Quando indovini la chiave d'ingresso, quando è la cosa che ti riesce meglio, ridere e godere, come a Barry Lyndon, come a Bel Ami, quando vedi che la gente ti sorride e che tu riesci più simpatico quando sorridi, gli amici ti telefonano, ti chiedono di metterli in lista per il privé, le donne lanciano sguardi languidi, piedino sotto il tavolo, stelline tatuate sulle caviglie abbronzate, vestiti leggeri sopra gambe accavallate, allora pensi che puoi andare avanti così per sempre, anzi pensi che possa soltanto migliorare. Pensi che hai fortuna. Il monologo iniziale di “Match Point” di Woody Allen dice proprio così: “Chi disse: preferisco avere fortuna che talento, percepì l'essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo”. Se Gianpi fosse stato un vero pianificatore di fortune, forse avrebbe saputo gestirle in modo più cinico (un vero pianificatore, non “scapestrato e fesso” non mette in viva voce il presidente del Consiglio per ridere e far sentire agli amici quanto è intimo con lui, non si vanta delle donne collezionate, non si dispera al pensiero che la moglie lo ammazzerà appena avrà la conferma giudiziaria ed editoriale di tutte quelle corna). Adesso che la fortuna è scappata via correndo, a Bari (dove tutti sanno chi sono le mogli di notaio, di imprenditori, di avvocato che volevano passare una notte a  palazzo, dove tutti sanno che è meglio dimenticarle, lasciare sonnecchiare i nomi dentro la rabbia e il tedio a morte di vivere in provincia, perché Madame Bovary non sempre deve finire così male) si fa a gara per dire che “no, non era il mio ambiente”, “guarda non lo vedo da anni”, “altri giri”, ma tutti almeno una notte hanno guardato Gianpi Tarantini che entrava ridendo al “Gorgeous”, il locale dove ha organizzato la festa per i trent'anni di Nicla, circondato e vezzeggiato da libellule con le unghie e le labbra rosse, e hanno pensato che era fortunato. In quel momento lui era qualcuno (“non è mai stato un genio, ma un tipo furbo, allegro, sempre pieno di belle donne anche da ragazzino, quando gli altri sbavavano e basta”), ed erano contenti di essere invitati o di imbucarsi alle sue feste. Ma insomma, chi era Gianpi? (Era, perché adesso non è più, ma chi non si vergogna di raccontare la “profonda baresità” di questo trentenne stempiato si dice certo che risorgerà, si rimetterà in sesto e ricomincerà a sorridere e a offrire cene che non può permettersi, a sperperare e ad aprire conti abnormi dal macellaio e dalla rappresentante di vini).

    “Un imprenditore di grande successo, tutti lo vedevano come un mito, uno che era riuscito ad ottenere il successo, ad arrivare all'apice. Tutti quelli che ora lo contestano, lo calpestano, è perché sono invidiosi, non hanno mai vissuto un giorno come l'ha vissuto Tarantini”, ha detto Terry De Nicolò con occhi spiritati, esaltati, con affamata e sincera idolatria, convinta della necessità di “vendersi la madre” per arrivare in alto, per staccarsi da quei disgustosi “duemila euro al mese”. Lei di lui adora quell'uso disinvolto e frizzante del denaro, perché anche nei momenti più sobri ventimila euro al mese garantiscono poco più della soglia del pezzentismo, e invece all'inizio di tutto, in quell'estate del 2008 in cui Tarantini e la moglie presero in affitto la villa in Sardegna vicino a quella di Berlusconi, settantamila euro per l'estate davano allegria, erano un ottimo investimento per entrare nel mondo che conta (per loro contava quello, per il giovane Gatsby invece lo yacht di Dan Cody rappresentava “tutta la bellezza e lo splendore del mondo”, per altri è una casa editrice, un cenacolo di artisti, una cerchia di cinematografari, una prima serata da Fabio Fazio, in tanti hanno un Graal all'orizzonte, e sono disposti a molto per raggiungerlo), prenderne possesso e farsi Gatsby. Una sera di Ferragosto Giampi era al Billionaire, in Sardegna, con Nicla e altri amici, un tavolo centrale dentro il privé, e si infuriò contro il buttafuori che non faceva entrare un ragazzo che conosceva. “Quello sta con me, è amico mio”, e poi: “Bevi, forza, sei mio ospite, mi offendo se non bevi,  prendi altro champagne, guarda quella ragazza, siamo qui, divertiamoci, siamo amici”, ed erano i giorni in cui Nicla sembrava ancora contenta, appagata, fiera di un uomo vincente, lei che fin da adolescente a Bari usciva con i ragazzi più grandi, quelli con la macchina, la moto, la cravatta, che andavano nei ristoranti con tante posate e sapevano riconoscere un Rolex vero da un'imitazione accurata;  poi ha deciso che Gianpi era meglio, con più chance, più bello, lo amava (lo ama, si vede dalla rabbia e dai baci), si è messa con lui, un vero matrimonio a nemmeno trent'anni e ha fatto due figlie (con nomi importanti, Rebecca e Ginevra, perché fosse chiaro che la loro è una famiglia importante, con la casa a Roma in una via elegante e piena di filippini che portano fuori i cani, il negozio di fronte con le Church's, gente azzimata che non saluta il portiere e sembra sempre appena stata in un centro di abbronzatura artificiale, o dal sarto a farsi stringere troppo la giacca e a farsi cucire le iniziali sulla camicia). Adesso Gianpi è “quel deficiente”, l'uomo che le ha fatto sprecare la giovinezza (“Ho trentatré anni, sono talmente scioccata, dovrei avere la vita davanti…perché non mi restituite la mia vita?”), fatta finire in prigione perfino, riempita di tradimenti (ricambiati con rabbia), Gianpi è il fallito, l'immorale che invita minorenni, lo stronzo a causa del quale Nicla, di buona famiglia e laureata, ha dovuto ricominciare a fare l'avvocato per duemila euro al mese (questa storia porta alla luce una nuova realtà: duemila euro al mese, per la provincia griffata e sempre stanchissima che va a Cortina nella speranza di incontrare magari Luca Cordero di Montezemolo e cenare al tavolo accanto, far giocare le figlie insieme alle loro figlie, sono la soglia di povertà, una cifra con cui non si sa cosa mettere in tavola da mangiare, come arrivare a sera, un motivo di depressione e minacce di suicidio, il non riuscire più a occuparsi delle figlie, la giusta causa perfino per fare sesso in cucina con Valter Lavitola, perché lui sembra sapere sempre tutto, rassicura, ci scherza sopra, “futtitinne”, le diceva, mentre Nicla impazziva di ansia, paura e forse anche indole lagnosa).

    La vita non ha sempre a che fare con la realtà, può essere un incubo griffato e inconsistente in cui a un certo punto va tutto male (e non ci si domanda mai perché, ma si continua a muovere a caso le braccia e le gambe, come i granchi quando si incastrano nella sabbia e non trovano il mare) bisogna andare nei negozi vintage di Roma e Parigi a vendere le borse dei bei tempi perché “ci siamo trovati in una condizione pietosa”, e diventare isterica, con la faccia scavata, e chiamare tutti: stronzi e merdacce,  sentirsi morire al pensiero di non andare più in barca a vela, di preparare un sugo al pomodoro per le bambine (“Se tu sei una persona che non ha un lavoro ti devi solo suicidare perché non hai neanche i soldi per campare, figuriamoci per pagare i debiti”, “Sono una donna davvero sfigata”). Gianpi adesso è “quel deficiente”, ma è ancora l'uomo a cui Nicla resta tenacemente e amorosamente aggrappata, anche quando l'avvocato le consigliava di separarsi, è il padre delle bambine ed è il marito da non lasciare, libero, in pasto alle amiche traditrici che gli facevano piedino a cena mentre lei aveva il pancione e si sentiva uno schifo di donna. E adesso che li hanno liberati entrambi e, come dice l'avvocato, “il peggio è passato ma il peggio è ancora lì con loro”, vanno al parco con le figlie, tutti e quattro con le camicie bianche, e si baciano e si abbracciano per dimostrare che almeno loro due, in questo gran teatro con qualche aspirazione letteraria, in questa disabitudine alla vita,  sono veri, anche tra il tintinnare dei braccialetti e di orologi sempre lucidi, anche con i pantaloni cromaticamente coordinati l'uno all'altra. La fortuna si è girata da altre parti, non li tocca più, il benefattore si è disamorato in fretta, si è annoiato, e ha cominciato a considerarli due rompiballe piagnucolosi come gli altri, e le loro meschinerie si sono sparpagliate dappertutto, sotto gli occhi di Bari e del mondo, ma loro restano lì. Lui le ha perdonato Lavitola, lei gli ha perdonato tutto, anche lo sbuffo rabbioso e sgrammaticato (naturalmente intercettato): “A me mia moglie può anche morire di fame, non me ne frega un cazzo, ma le bambine come fanno!”, di quando si sentiva ormai solo un imbucato alle feste, anzi uno di quelli che non vengono fatti entrare dal buttafuori, lui che era fiero di fare entrare tutti. “Fu durante il regno di Giorgio III che i suddetti personaggi vissero e disputarono. Buoni o cattivi, belli o brutti, ora sono tutti uguali”, è la sentenza finale di “Barry Lyndon”, ed è anche la sentenza sui coniugi Tarantini. Che cercavano denaro, ma soprattutto luce soffusa, musica e secchielli per il ghiaccio attorno a sé, confidenza col mondo che a loro sembra magnifico, abitudine a pronunciare con sufficienza nomi importanti (“Dopo il caso D'Addario, Murdoch mi aveva proposto un contratto miliardario che ho rifiutato”). Il volo del tacchino si è fermato presto, ma non abbastanza da non averli illusi per molto tempo che il sogno era così vicino, anzi era già così afferrabile, da non potere sfuggire più. Nicla al cancelliere del carcere ha risposto: “Purtroppo”, alla domanda se fosse sposata con Gianpaolo Tarantini. Perché lui l'ha tradita, con le donne e con i sogni svaniti, ma poi è stata “felice da sentirsi male”, quando, dopo un mese di carcere, lo hanno liberato e il marito è tornato a casa. E adesso di nuovo si sentono qualcuno, con i fotografi sotto le finestre che vogliono sentire la versione e le lacrime dei Tarantini, chiedere se davvero si sono perdonati a vicenda, filmare Gianpi che va dal barbiere a via del Babuino, tanto per non farsi notare, domandare cosa farebbero a Valter Lavitola, se lo incontrassero in un vicolo buio, e come andò davvero con Manuela Arcuri. I Tarantini sono ancora i detentori orgogliosi di un pezzo di teatro a cui si fatica a rinunciare. Ma più di tutto si vorrebbe sapere cosa faranno adesso, che i sogni sono da tempo alle loro spalle, persi dentro l'equivoco assoluto, candido perfino, privo di premeditazione, che la bella vita imbrogliona e fessa potesse durare a lungo e coincidere con una vita bella.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.