Quelli che non investono
Cari imprenditori, concentratevi sulle vostre aziende. Un richiamo agli industriali italiani affinché tornino a fare il loro mestiere, che fino a prova contraria è quello di rischiare capitale e investire per far crescere le imprese e creare posti di lavoro, è arrivato ieri dalla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, dove Riccardo Gallo, economista industriale, ultimo vicepresidente repubblicano dell'Iri e docente alla Sapienza ha tenuto la lezione inaugurale del master in Management, innovazione e ingegneria dei servizi dell'anno accademico 2011-2012.
Cari imprenditori, concentratevi sulle vostre aziende. Un richiamo agli industriali italiani affinché tornino a fare il loro mestiere, che fino a prova contraria è quello di rischiare capitale e investire per far crescere le imprese e creare posti di lavoro, è arrivato ieri dalla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, dove Riccardo Gallo, economista industriale, ultimo vicepresidente repubblicano dell'Iri e docente alla Sapienza ha tenuto la lezione inaugurale del master in Management, innovazione e ingegneria dei servizi dell'anno accademico 2011-2012. Gallo ha proiettato 37 slide e ha dimostrato che sono sei anni, dal 2004, che le imprese industriali italiane fanno investimenti inferiori al semplice autofinanziamento e fanno anche meno ammortamenti del necessario, lasciando così invecchiare gli impianti produttivi. In questo modo presentano utili maggiori e li distribuiscono quasi tutti ai soci come dividendi, ha detto Gallo dati alla mano: quel po' di risorse non distribuite che restano a disposizione dell'impresa – ha aggiunto – invece di essere investite, vanno a ridurre i debiti finanziari. Insomma, le società industriali sembrano sane finanziariamente e anche sufficientemente redditive, ma sono state fatte invecchiare senza prospettive imprenditoriali. Si potrebbe pensare: ma questa è la riprova che in Italia non vale più la pena di restare, che bisogna andarsene all'estero. E invece no, perché tra gli investimenti che le imprese fanno in misura molto ridotta ci sono anche quelli per acquisire il controllo di partecipazioni estere e, quindi, se gli investimenti sono pochi vuol dire che le imprese italiane nemmeno s'internazionalizzano come invece potrebbero, è il ragionamento dell'economista: “Il bello è che questi imprenditori sono gli stessi che hanno fatto il manifesto al governo per insegnargli come si rilancia l'economia”, è la conclusione della ricerca.
Dalla lezione di Gallo è emerso che il nostro sistema industriale negli ultimi vent'anni ha perso valore aggiunto a prezzi costanti, ma ancor più ha dimagrito la sua base occupazionale, così la produttività (valore aggiunto per addetto) è riuscita lo stesso a migliorare fino al 2007, ma poi ha cominciato a crollare. Un paio d'anni dopo l'introduzione dell'euro, le imprese industriali grandi ma anche quelle medie hanno allungato la speranza di vita degli impianti produttivi (da 16 anni nel 2003 a 26 nel 2010), e così hanno potuto fare minori accantonamenti. Il guaio è che in questi stessi anni nei principali paesi industrializzati si è verificato un processo di innovazione e questo prefigura che la vita degli impianti sia sempre più breve. Così nel 2010 le industrie italiane per ammortizzare i loro impianti avevano bisogno che questi campassero 26 anni, il doppio delle multinazionali (13 anni).
Questo comportamento imprudente – secondo Gallo – ha consentito alle imprese di far apparire nei bilanci una redditività delle vendite oscillante intorno al 5 per cento, quindi non troppo lontana dall'8 per cento minimo delle concorrenti multinazionali.
“In realtà, se avessero fatto ammortamenti congrui, le nostre imprese avrebbero faticato a chiudere in pareggio”, ha detto Gallo. Un punto sul quale gli industriali italiani hanno ragione è che negli ultimi venti anni, secondo i calcoli dell'economista, le loro società hanno pagato tasse pari al 41 per cento del reddito imponibile, contro il 33 per cento delle multinazionali, e questo per colpa dell'eccessiva spesa pubblica che nessun governo ha voluto mai smantellare. Per la crescita di un sistema produttivo è necessario che gli investimenti siano superiori all'autofinanziamento (ammortamenti più utili non distribuiti): è bene che un'accelerazione degli investimenti sia finanziata con nuovo credito, con apporto dei soci e con la finanza straordinaria. Invece il sistema italiano ha investito meno dell'autofinanziamento, già reso basso dalla compressione degli ammortamenti e dalla distribuzione degli utili.
Nel corso degli anni, consentendo la distribuzione di utili senza colpo ferire, gli amministratori delle società industriali si sono dimostrati poco indipendenti dagli azionisti. Gallo ha mandato un messaggio indiretto al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, in vista dell'emanazione del decreto sviluppo: sarebbe bene che gli amministratori fossero obbligati a formulare una motivata proposta per la destinazione del reddito, con previo avallo del collegio sindacale. “La capacità del decreto sviluppo nello smuovere gli imprenditori – dice Gallo al Foglio – si vedrà fin dalle prossime settimane, se gli investimenti nel budget 2012 delle imprese industriali saranno rivisti all'insù”.
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